"Il Denaro"

29 gennaio 2000

Trieste capitale del cinema est-europeo

di Michele Capasso

22 Gennaio 2000, Trieste. Bora e neve hanno preso il posto di un sole tiepido ed insolito in questo periodo. Si conclude l’undicesima edizione del "Trieste film festival", organizzato da Alpe Adria cinema in collaborazione con la Fondazione laboratorio Mediterraneo.

Ancora una volta questo festival sottolinea, attraverso le diverse sezioni in cui si articola la produzione su pellicola dell’area europea centro-orientale, il ruolo strategico che la città di Trieste può assumere nell’intensa opera di collegamento tra l’Est e l’Ovest, tra l’Europa centrale e il Mediterraneo.

In questa edizione viene ulteriormente valutata ed approfondita la conoscenza della produzione di Paesi che avranno una significativa importanza nei rapporti tra l’Europa e il Mediterraneo.

All’attenzione verso il cinema indipendente si associa, con uno scrupolo di analisi che contribuisce ogni anno al rilancio di questa iniziativa presso il pubblico e la stampa nazionale e internazionale, una "registrazione" delle diverse tradizioni e delle differenti scuole che, senza dimenticare le produzioni dei trascorsi decenni, non si sottrae al compito — essenziale per un evento che da sempre mira a stringere fattivi contatti — di dare rilievo e puntuale testimonianza delle realizzazioni più recenti, dunque del mutato clima sociale e politico che si respira in molte delle realtà nazionali presenti nella rassegna.

Accanto a cineasti cechi, tedeschi, ungheresi, in questa edizione ampio spazio è stato dedicato al cinema macedone, rumeno, greco, bulgaro, albanese, turco, croato e jugoslavo, in modo da accentuare il ruolo — riconosciuto e sempre più fortemente affermato — di appuntamento fondamentale sulla via di una maggiore conoscenza delle "diversità" culturali intese quali fonte preziosa e insostituibile di ricchezza e premessa ineludibile del processo di armonizzazione che è stato nel passato, e lo è nuovamente nell’Europa dei popoli, caratteristica d’eccezione dell’area danubiana e balcanica.

Quest’anno il programma presenta parecchi punti d’interesse e qualche novità di impostazione e di forma. Prima novità, un ritocco al nome del festival che aggiunge al tradizionale Alpe Adria cinema (il nome di nascita) e sostituisce alla parte esplicativa (Incontri con il cinema dell’Europa centro-orientale), un nuovo "Trieste film festival", per rendere immediatamente individuabile il luogo non casuale in cui questi incontri avvengono: Trieste infatti è parte viva della storia di quest’area europea e ponte ideale verso l’Adriatico ed il Mediterraneo. Soprattutto intende legare indissolubilmente a questa città la specificità della ricerca permanente su un bacino cinematografico diventato campo d’interesse, ormai così legittimato dal lavoro svolto in questi anni e così risaputo che sembra inutile continuare ad appesantire il logo del festival con definizioni precise di area. Far sparire coraggiosamente dal logo questa definizione geografica significa non solo ipotizzare un allargamento di orizzonti e di interessi per il lavoro futuro, ma anche sottolineare che oggi "centrale" e "orientale" sono connotazioni geografiche politiche e ideologiche molto spostate e molto relative così come il concetto di storia presente e storia passata.

La nuova geografia dei rapporti europei, più che da un logo, emerge dai percorsi che le varie sezioni del festival tracciano con le proprie proposte cercando di trovare, attraverso l’analisi del cinema, la saldatura tra le ragioni del presente e le forti testimonianze del passato. Di edizione in edizione, infatti, sono diventate sempre più fragili le barriere divisorie tra le varie sezioni e sempre più positivamente e reciprocamente penetrabili i vari programmi. La sintonia nel lavoro di ricerca e l’unità dell’intento finale hanno portato con naturalezza all’altra novità di questa edizione: tutti i film prodotti nel biennio ‘98-’99, e inseriti per appartenenza tematica nelle varie sezioni o sottosezioni del festival (Dopo il muro — Catene. Dai Balcani ai Carpazi — Fuori Gioco: Cinema e Calcio di Regime — Immagini), concorrano al Premio Trieste (lungometraggi) e al Premio laboratorio Mediterraneo (cortometraggi e mediometraggi). Un criterio che ha il merito di cancellare la "freddezza" della competizione fine a se stessa (creatrice di involontarie categorizzazioni di valore) e di potenziare invece la vitalità del concorso con l’energia del progetto particolare che anima e tiene insieme ogni singola sezione. In questa edizione è stato svolto un lavoro intenso ed unitario al fine di proporre un piccolo bilancio a dieci anni dalla caduta del muro di Berlino e delle cinematografie di stato (Dopo il muro), un altro viaggio nel fascino dei Balcani (Catene) con un focus sulla Macedonia alla scoperta di strade comuni con le terre vicine dalla Grecia alla Romania verso i paesaggi carpatici, uno sguardo curioso nel cinema ungherese per celebrare i cinquant’anni della prestigiosa scuola di Budapest e per spiare i retroscena politici e umani del mondo del calcio (Fuori gioco) e tante altre Immagini libere, giovani, indipendenti. Molti film appartengono a una sezione ma avrebbero una collocazione altrettanto giusta e legittima in un'altra (qualche esempio: 6:3, Kinai védelem, Belo odelo e altri ancora). Questa stretta interazione tra le parti ci sembra un segno di forza del festival.

Ore 21. Con i ministri macedoni Andreev e Popovski consegniamo il "Premio laboratorio Mediterraneo". La giuria - composta da studenti universitari delle Facoltà di lettere e filosofia e di Scienza della comunicazione — non ha esitato a spazzare via, in un solo colpo, tutti i favoriti alla vittoria dell’XI edizione del festival. Essi hanno assegnato il Premio Trieste al lungometraggio del regista sloveno Janez Burger "Vieru" (In folle). Il premio della nostra Fondazione è stato selezionato tra i migliori cortometraggi. A vincerlo è "Lendulet" ("Momento"), il corto dell’ungherese Imre Juhasz con la seguente motivazione: "Nel panorama eterogeneo e di indubbio valore artistico delle opere in concorso, il film si è distinto per la qualità del montaggio sonoro, per la completezza formale della fotografia e per la tecnica narrativa scelta".