"LIBERAZIONE"

18 Maggio 1995

Sarajevo Stremata

di Anna Bredice

Milano. I violenti bombardamenti di questi giorni su Sarajevo colpiscono una popolazione già prostrata da tre anni di guerra. Nella capitale bosniaca sono rimaste 300 mila persone a dividersi i pochi aiuti umanitari che riescono ad arrivare, in città. L’aeroporto è chiuso da settimane, manca l’acqua e il gas.

Predrag Matvejevic’ è uno dei saggisti più importanti della letteratura contemporanea. È nato a Mostar 63 anni fa. Costretto a lasciare la Bosnia all’inizio della guerra, ora vive tra Parigi e Roma, dove insegna lingua e letteratura slava all’Università di Roma. Torna spesso a Sarajevo e a lui, proprio in questi giorni che il conflitto è tornato violento abbiamo chiesto piccoli pezzi di vita quotidiana nella capitale bosniaca.

"Il primo anno a Sarajevo la gente aveva una speranza, quella che l’Europa doveva arrivare in Bosnia. Il secondo anno era una rivolta continua. Perché l’Europa non arriva? Questo chiedeva la gente. Il terzo è stato un anno completamente disperato, il peggiore. Siamo entrati nel quarto anno. Poche settimane fa sono stato a Sarajevo e ciò che ho visto è peggio di tutto quello che si vede nelle immagini. Le immagini di uno schermo hanno soltanto due dimensioni, l’evento è appiattito, mutilato, la vita reale è molto peggio di quello che si vede. La vita a Sarajevo non è solo tragica, ma anche umiliante: quando sono stato a Sarajevo faceva ancora molto freddo, meno sette gradi. Come gli altri, dormivo vicino a una finestra senza vetri. La famiglia che mi ospitava era molto colta, molto pulita, ma sentivo una puzza. Da dove veniva? Tutti gli scarichi erano bloccati. C’è pochissima acqua a Sarajevo e c’è il gelo. La gente si sveglia e va a cercare un po’ di cibo, "umanitario". Ogni giorno mancano sempre più persone, anziani che non possono più alzarsi, gli altri se ne accorgono e vanno a cercarli. Li trovano morti, uccisi dalla fame, dall’esaurimento, dalla stanchezza. Sono le vittime che non si contano".

Lei ha scritto uno dei libri più profondi sui Balcani, "Il Breviario Mediterraneo"; perché questa terra continua ad essere così profondamente divisa?

Osservando il Mediterraneo, il libro teneva conto di una grande spaccatura che passa attraverso i Balcani. È la spaccatura di tutto il bacino del Mediterraneo. È lo scisma cristiano. La guerra in Bosnia non è una guerra religiosa, ma è l’odio disseminato attraverso i secoli. È in questa frattura che si inserisce la componente islamica. C’è una memoria tragica che incita a questa guerra, è come se la seconda guerra mondiale continuasse, vediamo le stesse facce, le stesse uniformi.

Il mio modo di scrivere in futuro avrà un elemento in più.

"L’ex". Sto scrivendo un libro che si chiamerà proprio "Il mondo Ex". C’è l’ex Jugoslavia, l’ex comunismo, l’ex Unione Sovietica, c’è anche da voi una ex democrazia cristiana. È come se vivessimo questa fine del secolo come un ex secolo. Ed è proprio così che si possono cercare le colpe de mondo verso la Bosnia. Ci sono le Nazioni Unite, inadatte ai cambiamenti del nostro mondo, una Nato rimasta prigioniera della guerra fredda, l’Unprofor incaricata di un ruolo assurdo e paradossale, di mantenere la pace dove la pace non c’è. E su tutto questo c’è l’indifferenza del mondo. Sono tre anni che sono uscito dalla Bosnia. Sono stato due anni e mezzo in Francia e sei mesi in Italia. Mi sembra di urlare la mia collera nel deserto.

Lei non crede a una Bosnia multietnica?

La Bosnia multiculturale è mortalmente ferita. La gente a Sarajevo è troppo stanca. Non vive, sopravvive. In alcuni circoli molto ristretti ci ritroviamo e parliamo.

Il "circolo 99", a cui appartengo, è un gruppo laico, composto da tutte le nazionalità, da tutte le religioni. Vogliamo creare uno stato di diritto, a volte opponendoci anche al governo bosniaco. Ma la gente non ci segue, è scarso il consenso tra la popolazione di Sarajevo.