"LA REPUBBLICA"

8 maggio 1995

 

 

MOSTAR COLPITA DALLE BOMBE SERBE

di Vanna Vannuccini

Mostar, la capitale dell’Erzegovina, posta sotto l’amministrazione dell’Unione Europea, è stata nuovamente colpita dai cannoni serbi. Il bombardamento, a quanto ha riferito Radio Croazia, ha causato una vittima. "Questi attacchi contro la zona smilitarizzata di Mostar non possono avere alcun obiettivo militare, si vuole solo terrorizzare la popolazione civile", deplora un comunicato dell’amministrazione europea. Mostar è stata già teatro di furiosi combattimenti prima tra i serbi e croato-musulmani, poi tra croati e musulmani. Le bombe hanno distrutto il famoso ponte ottomano, il più importante monumento di tutta la Bosnia.

Il mondo guarda con orrore le immagini dei caschi blu tenuti per ritorsione dai serbi come scudi umani, ma a Sarajevo la gente resta indifferente. Chiediamo a Predrag Matvejevic’, autore di Breviario mediterraneo, se anche lui pensa, come ha scritto ieri Zlatko Dizdarevic su Repubblica, che sia troppo tardi per una grande amicizia tra i bosniaci e l’Occidente.

"L’Occidente ha sempre messo sullo stesso piano aggressori e aggrediti, carnefici e vittime. Almeno dopo Vukovar, dopo Mostar (dove gli aggressori non erano solo croati ma anche serbi) questa equidistanza non era più ammissibile. E certo non dopo Sarajevo. Ma l’Occidente ha continuato così. Non si leggeva fino a ieri su tutti i giornali che "neanche i bosniaci vogliono la tregua"? Come se accettare la tregua non significasse per i bosniaci accettare una mutilazione che rende impossibile la sopravvivenza.

"Ora che l’Unprofor è attaccata direttamente dall’Occidente ha finalmente capito chi sono gli aggressori. Ma per la gente di Sarajevo non è una sorpresa. Come non è una sorpresa che il mandato dell’Onu è assurdo, che l’Europa occidentale è incapace di affrontare i problemi dell’altra Europa, e che la Russia sta tentando di riconquistare il ruolo che era stato dell’Urss. In Bosnia all’inizio si è sperato nell’aiuto dell’Occidente. Poi è seguita la rabbia. Oggi c’è solo disperazione e rassegnazione.

L’Occidente ha accumulato solo errori, dunque, secondo lei.

"A questo proposito, pur con tutta la stima e il rispetto che ho per i caschi blu francesi, che si sono comportati molto bene, devo sottolineare proprio gli errori della Francia. Io sono un grande amico della Francia, e sono un molto amico anche dei socialisti francesi, ma fu Mitterand a frenare l’Occidente, puntando sull’amicizia franco-jugoslava o franco-serba. Tre anni fa la Nato avrebbe potuto fare molto più efficacemente quello che fa oggi e si sarebbero evitati migliaia di morti. Mitterand disse che non si doveva aggiungere una guerra all’altra".

C’è in Occidente l’idea che i nazionalismi serbi siano tutti ugualmente feroci…

"Questo è un altro errore che può essere fatale all’Occidente: demonizzare in blocco i popoli balcanici. O lo stesso popolo serbo. Esiste un fascismo serbo, questo va capito. Dietro Karadzic c’è Milosevic, è lui il maggiore colpevole. Croazia e Slovenia se ne sono andate per conto loro, ma è lui il vero architetto della distruzione della Jugoslavia. Purtroppo, le colpe di cui si macchiano i Karadzic e i Milosevic ricadranno sui serbi. I serbi onesti dovranno vergognarsi come i croati onesti si sono vergognati delle azioni degli ustascia".

Lei ha sostenuto il diritto alla identità nazionale delle repubbliche jugoslave. Dov’è il confine tra diritto alla nazione e nazionalismo?

"Questo mio parere è il compito maggiore a cui dovranno far fronte gli intellettuali, perché il problema non è solo jugoslavo ma mondiale. In Jugoslavia è stata proprio l’intellighenzia a prefabbricare questi proiettili. L’ideologia nazionalistica si è nascosta dietro il diritto a una cultura, a differenza nazionale".

L’Occidente punta ancora su Milosevic per trovare un accordo. Anche questo è un errore?

"Bisogna riconoscere che Milosevic è il politico più capace dei Balcani. Per esempio, ha creato una opposizione mille volte peggiore di lui, un’impresa non da poco. In effetti, pur essendo il principale architetto della distruzione jugoslava è anche l’interlocutore insostituibile per il dialogo".

Come è possibile che i serbi di Pale, la gente normale, non provino imbarazzo a vedere disarmati osservatori dell’Onu incatenati, nel disprezzo dei più elementari diritti umanitari?

"Questo è il risultato di una mitologia nazionale che vede i serbi come gli eroi della storia. Questa falsificazione ha nutrito un’intellighenzia provinciale che dallo stalinismo è facilmente passata al nazionalismo. Nella coscienza di uno stalinista c’è un sistema rigido, che si trasferisce facilmente in un sistema nazionalista. Devo aggiungere che l’atteggiamento serbo giustifica la controffensiva croata in Slovenia di tre settimane fa. Non c’era altra strada. Ma a due condizioni: che Tudjman si liberi dei nostalgici degli "ustascia" e ponga fine a un discorso nazionalista che fa paura ai serbi di Croazia".