“IL DENARO”

22 settembre 2001

 

I delfini tra mito e storia

 

Tra mille pericoli continuano a danzare nel Nostro Mare

 

di Michele Capasso

 

Ischia, settembre. L’eco della tragedia americana ha invaso anche l’isola verde. E tuttavia la vita continua e loro, i delfini, sembrano ignorare questa immane catastrofe provocata dall’uomo.

Barbara Mussi e Angelo Miragliuolo, a bordo della loro imbarcazione – il veliero Jean Gab – partono per l’ennesima crociera d’osservazione. Con loro amici e volontari del W.W.F.: ecoturisti con gli occhi fissi sul mare per cogliere il minimo movimento di una pinna che, fortunatamente, arriva dopo breve tempo. Ecco i delfini saltare intorno alla barca, incrociarsi a prua. Viene calato un altoparlante in acqua che diffonde le note che Barbara Mussi, pianista, produce con l’aiuto di una tastiera. I delfini si avvicinano, giocano, emettono lunghi fischi: sembrano gradire il “concerto” improvvisato per loro.

Da 15 anni la biologa americana Rachel Smolker studia i delfini, li chiama per nome, conosce dettagli su loro parentele, amicizie, storie. Nel suo libro “Vita segreta dei delfini” (Mondadori) la ricercatrice racconta i giochi, i sistemi di caccia, gli amori ed altre curiosità dei delfini di Monkey Mia, una remota spiaggia australiana dove questi mammiferi vivono vicino agli uomini, giocando con loro e mangiando dalle loro mani.

Interessante è il lavoro svolto da Isabelle Bernard per “Sos Grand Bleu” sui diversi aspetti dei cetacei e sui delfini.

Ed è proprio un delfino il simbolo della nostra Accademia del Mediterraneo. Dopo alcuni mesi di dibattito un apposito comitato, presieduto dal Premio Nobel Claude Cohen-Tannoudji, ha scelto come logo per il prestigio dell’istituzione un delfino che nuota nelle acque azzurre, incorniciato dai simboli della mediterraneità: l’ulivo, la vite, l’alloro la palma.

Perché i delfini?

Da moltissimo tempo questi cetacei hanno incuriosito l’uomo.

Considerati – di volta in volta – compagni di gioco, divinità o semplici intralci per i pescatori, questi “cugini” delle balene, ancora oggi, nelle tradizioni e culture delle rive mediterranee, vengono idolatrati. I delfini furono oggetto di culto soprattutto per le antiche civiltà mediterranee che hanno generato le nostre attuali società e la cui mitologia costituisce una parte importante del patrimonio culturale.

In greco “delphys” significa “matrice” e dimostra il rispetto per questi mammiferi marini.

Le prime testimonianze scritte di questo culto risalgono al 1500 A.C. quando poeti, scrittori e filosofi – sia greci che romani – ritenevano che i delfini e le balene fossero creature divine: reincarnazione di anime umane che rappresentano la forza vitale del mare.

Rappresentazioni di delfini le ritroviamo su dipinti, affreschi, monete e mosaici che erano molto diffusi in queste civiltà: in particolare a Creta, in Grecia e in Italia.

Già verso il 2200 A.C. alcuni delfini venivano rappresentati sui muri di una grotta in Norvegia. Successivamente molteplici opere d’arte avranno, quali soggetti principali, i delfini: Apollo si trasforma in delfino per guidare i cretesi a Corinto; Nettuno seduce e sposa la figlia di Nereo grazie ai delfini; Eros cavalca i delfini per attraversare il mare; Ulisse fa dei delfini le sue armi e la sua guida e sarà proprio un delfino a salvare suo figlio Telemaco.

Le divinità greche, che avevano contemporaneamente l’aspetto umano e i poteri soprannaturali, spesso assumevano le sembianze dei delfini: Apollo, Demetrio e Afrodite furono per lungo tempo identificati con questi mammiferi.

La dea Delfina annunciava il tempo buono e la dea Pesce era associata alla fertilità: questi due elementi si fusero e, successivamente, la dea nabatea Galenaia (simbolo dell’amore fisico nato dal mare) aveva come simbolo i delfini. I Nabatei sono solo un esempio delle tante civiltà che nutrivano un culto fervente verso i delfini.

Un sarcofago ebreo del II secolo dopo Cristo, ritrovato a Beit Shearim vicino Harfa, è ornato con delfini. Coppe, vasi, monete e monili micenei, fenici, greci e romani rappresentano i delfini. Ritroviamo questi cetacei anche all’interno di templi e palazzi reali: a Creta, nel Palazzo di Cnosso, la camera della regina è ornata con affreschi risalenti al 1500 A.C. che raffigurano delfini; e così a Delfi, Napoli, Ios, Naxos, ????

Spesso ritroviamo l’effigie di un delfino anche su monete antecedenti la civiltà greca: una tradizione ancora oggi in uso in alcuni villaggi greci vuole che una moneta con la riproduzione di un delfino venga messa nella mano destra di un defunto per assicurargli un “viaggio felice e senza intralci” verso l’aldilà.

Per i primi cristiani il delfino costituiva il simbolo della resurrezione ed intercedeva  per proteggere l’uomo nei tumulti del mare  guidandolo fino a terra, finalmente “purificato dei suoi peccati”.

Siracusa, 480 A. C. In onore della sposa del tiranno Gelone, viene coniata una moneta d’argento attico di 10 dracme: su un lato è riprodotta la testa di Aretusa cinta da una corona di lauro e circondata da 4 delfini.

Sempre 4 delfini li ritroviamo in molti mosaici come quelli della Casa dei Tridenti a Delo, a Pompei, in Cina e in altre popolazioni indiane.

I delfini sono i protagonisti anche della letteratura: racconti, poesie, leggende, favole, canti e miti hanno come protagonisti i nostri amici cetacei.

Nell’antichità, sia Atene che Roma consideravano sacri i delfini.

In Grecia essi erano considerati sacri ed il loro nome veniva associato al culto di Apollo a Delfi. Nei miti dell’antichità i delfini sono considerati messaggeri di Apollo con la funzione di intermediari tra l’Olimpo e i mortali.

A Roma Plinio il Vecchio, Plinio il giovane, Plutarco ed altri scrittori, filosofi e viaggiatori dell’epoca descrivono la particolare amicizia tra uomini e delfini. Essi descrivono episodi di incontri con i delfini nel Mediterraneo. Proprio Plinio il Vecchio ci racconta ne “Le storie naturali” il modo in cui i delfini e gli uomini comunicano tra loro per catturare pesci negli stagni di Languedoc. E la città di Sète, vicina alla Camargue in Provenza, ha come logo il delfino.

I delfini hanno suscitato negli scrittori e nella letteratura in genere sentimenti di pace, di positività, di intelligenza: la loro disponibilità a relazionarsi con l’uomo, ad essere “gentili e nobili” ha loro attribuito, sin dall’antichità, “poteri sovrannaturali”. Queste leggende sono comunque utili per spiegare ciò che l’uomo allora non sapeva: l’anatomia dei delfini, il loro essere mammiferi, la fisiologia.

La mitologia e sacralità dei delfini non è solo presente sui bordi del Mediterraneo. Si ritrova anche in Africa, Asia, America e Oceania: in questi luoghi tradizioni e leggende ci trasmettono preziose indicazioni sulla presenza dei delfini.

Oggi i rapporti con i delfini sono limitati a poche espressioni e, spesso, lontano dal mare che è diventato sempre di più un luogo in cui l’inquinamento, i traffici e lo sfruttamento costituiscono le caratteristiche principali.

Recuperare il rapporto con l’amico delfino e con i cetacei in generale, ricominciare ad amare il mare e le sue creature dovrà essere un impegno per le nuove generazioni.

Per quanto riguarda l’Accademia del Mediterraneo, il delfino è il simbolo di un messaggio di pace: un bene prezioso e malato che, anche grazie alla cultura, speriamo di curare nella “Maison de la Méditerranée”: la Casa comune dei popoli euromediterranei che la città di Napoli ospiterà e che  costituirà il luogo fisico per curare, valorizzare, promuovere e trasmettere la grande identità ed i valori dello spazio euromediterraneo. Un capitale prezioso specie quando una globalizzazione non governata tende ad appiattire ed omologare.