“IL DENARO”

15 settembre 2001

 

 

Cultura e politica insieme contro il terrorismo

di Nadir Aziza*

 

Il mondo arabo è frastornato, attonito. Le due torri americane costituivano un simbolo di potere e, insieme, di speranza e ambizione.

Ho visto egiziani, tunisini, marocchini ed altri arabi, piangere e pregare per le migliaia di vittime. Ho visto pochi di essi esultare e ringraziare Allah.

Gli Stati Uniti, colpiti oggi dal più sanguinario attentato della sua storia, ha fornito al mondo intero una grande lezione di dignità, conquistando il rispetto anche degli arabi più reticenti.

E’ crollato il mito della sicurezza americana, ma insieme è crollata la speranza di un mondo più giusto, in cui pace e sicurezza potessero convivere senza essere prigionieri di noi stessi.

Non ho trovato molta differenza tra gli arabi estremisti che alzavano le loro bandiere in segno di vittoria e gli americani che piantavano bandiere ovunque inneggiando “Good Bless America”: due facce della stessa medaglia, l’eterno rito del bene e del male, dei buoni e dei cattivi, dei vinti e dei vincitori.

Ma sarà sempre così? Deve essere sempre così? Se il martirio diventa punto d’onore per gli arabi oltranzisti e fondamentalisti, l’indifferenza dell’Occidente, il mito del successo, del denaro, dell’opulenza – senza una visione globale – è una cancrena che, se non fermata, avrà conseguenze ben più gravi.

Una grande responsabilità è imputabile alla politica, allontanatasi dal suo antico rapporto cooperativo con la cultura e la scienza.

Oggi occorre rivedere il delicato rapporto tra cultura,  scienza, morale e potere. Dopo che per decenni la cultura e la scienza erano state considerate una forma di conoscenza in grado di fornirci una rappresentazione del mondo neutrale ed oggettiva, in tempi più recenti si è compreso che la fiducia nella possibilità di determinare un punto di vista «privilegiato» era mal riposta. Considerati i limiti delle nostre capacità cognitive, le proposte sono, inevitabilmente, più di una, e occorre pertanto passare ad una visione più ‘funzionale’. L’abbandono del punto di vista privilegiato e assoluto comporta altresì l’introduzione del pluralismo all’interno dell’edificio culturale e scientifico, e le conseguenze di questo stato di cose sono ovviamente fondamentali ai fini dei rapporti tra cultura, scienza e società nel suo complesso. Partendo da tali premesse, risulta evidente che la cultura (e la riflessione che ad essa si accompagna) non può isolarsi dal contesto sociale; come pure la scienza è una delle più importanti pratiche umane, e in quanto tale va giudicata sia in riferimento alla storia, sia avendo presenti le pratiche umane che con essa interagiscono.

 

 

 

 

 

 

 

 

* Segretario Generale dell’Accademia del Mediterraneo

 

 

 

 

 

Un aspetto molto importante che influenza ancor oggi gli equilibri nell’area del Mediterraneo è il rapporto esistente tra cultura, scienza e potere. Di questo ancor oggi discutiamo a lungo raccontando vari episodi. Emblematico il caso di uno dei piloti americani che sganciò la bomba su Hiroshima impegnando poi il resto della propria vita a compiere atti di protesta contro la società che aveva autorizzato quella missione; finì perfino in prigione e fu completamente dimenticato dalla società. Altro esempio è quello di una giovane inglese che lavorava come assistente alla facoltà di fisica la quale, avendo appreso dell’esistenza della bomba atomica, abbandonò la fisica per gli studi giuridici. In questo caso si è trattato solo di una fuga individuale, una via di salvezza personale. Il problema resta: la scienza e le sue applicazioni nefaste non possono essere soppresse rinunciando ad essere scienziati. Nessuno dei fisici che avevano ideato la bomba atomica è caduto in simili eccessi. Nel caso di quel pilota e degli scienziati che contribuirono a realizzare la bomba, il complesso di colpa era ben più vivo e drammatico, considerato il loro coinvolgimento personale nella vicenda. Anche il più grande fisico del nostro secolo, Albert Einstein, non si perdonò mai di aver attirato l’attenzione del Presidente Roosevelt sulla possibilità di costruire l’arma nucleare. Dopo la guerra, infatti, egli dichiarò che se avesse saputo che i nazisti non sarebbero riusciti a fabbricare la bomba atomica, non avrebbe mosso un dito per contribuire alla sua costruzione. Persino Robert Oppenheimer, capo dell’equipe che costruì la bomba, dichiarò nel 1956: «Abbiamo fatto il lavoro del diavolo». Chi, oggi, ha condotto 4 aerei diretti verso obiettivi civili e militari causando migliaia di vittime non avrà neanche la possibilità di comprendere ciò che ha fatto o di pentirsi: la sua fede in un fondamentalismo cieco, alimentato però spesso dall’indifferenza dell’Occidente, lo ha educato ad avere un'unica ambizione: morire. Uccidersi per uccidere.

Di fronte a ciò tutti i sistemi di sicurezza sono inutili. Occorre però chiedersi se uomini di cultura e di scienza  possano prendere realmente le distanze nei confronti del potere.

La responsabilità morale degli uomini di cultura e di scienza non può prescindere dal potere politico. Ritornando agli esempi di Einstein e Oppenheimer, il primo consigliò Roosevelt di non lasciare ad Hitler il monopolio della bomba nucleare temendo la vittoria dei nazisti, il secondo cercò in seguito di prendere le distanze dal proprio passato, dicendosi convinto che uno studio più approfondito avrebbe potuto condurre i responsabili dei progetti nucleari ad usare le nuove armi in maniera diversa. La strage americana alimenterà altre imprese folli: ha dimostrato che è possibile farcela.

I rischi di armamenti nucleari o similari provengono soprattutto da paesi poveri: l’India, il Pakistan, l’Iraq ed altri. E il Mediterraneo è, come sempre, al centro di tale processo. Promuovere il dialogo, costruire la pace, anche se i risultati appaiono spesso vani o inconsistenti, è un atto di fede e, al tempo stesso, un dovere di tutti. L’Accademia del Mediterraneo, con la Città di Napoli, potranno avere un ruolo insostituibile e di portata storica.