“IL DENARO”

24 luglio 2001

 

G8 E GLOBALIZZAZIONE, UNA SFIDA PER IL FUTURO

I grandi della terra devono impegnarsi per la difesa della natura e dell’uomo.

I paesi poveri devono essere aiutati a riprendere la via dello sviluppo.

 

di Michele Capasso

Giovedì 19 luglio 2001. Il presidente Berlusconi visita i luoghi genovesi dove si svolgerà il G8: il porto, la stazione marittima, il palazzo ducale. Appare soddisfatto. La festa può cominciare, tra tensioni e paure.

Questa incontro dovrebbe costituire un simbolo forte, perché rivolto al futuro e fondato sulla speranza che i popoli possano gustarsi una pace duratura,  lavorare per la ricostruzione economica, sociale e politica  nei limiti delle frontiere oggi riconosciute, vivere le loro differenze in perfetta armonia e con uno spirito di tolleranza, dialogo e libertà.

E invece questi appuntamenti sembrano essere sempre di più una festa per burocrati. Ed anche la risonanza dei media appare spropositata ottenendo l’effetto opposto: richiamare l’attenzione di gruppi contestatori che, utilizzando gli strumenti disponibili, fanno di “tutt’erba un fascio” e non danno più importanza alla coerenza della protesta ma alla diffusione spropositata della notizia.

Questo incontro tra gli 8 “grandi” (ma lo sono davvero?) avrebbe dovuto avere un approccio originale caratterizzato dalla ricerca di un equilibrio tra i grandi contrasti esistenti nel pianeta in termini di risorse, occupazione, sviluppo, diritti umani:  avrebbe dovuto promuovere il processo d’integrazione dei paesi poveri sacrificando le oligarchie economiche che, di fatto, governano il mondo ed hanno condotto ad enormi disparità, esemplificabili, per esempio, nel fatto che un piccolo elettrodomestico prodotto in occidente vale 80 chili di riso prodotti nei paesi poveri.

Sarebbe stato un approccio originale e realista, perché sono fermamente convinto che il dialogo e la mediazione devono comunque prevalere sulle imposizioni economiche e, soprattutto, su quelle militari.

La vigilia di questo ventottesimo summit ha visto elevarsi voci propositive. Come quella del ministro degli Affari esteri italiano Ruggiero che, riunendo a Roma i ministri degli esteri degli 8 Paesi interessati, ha avuto la possibilità di illustrare più analiticamente le proposte italiane su grandi temi quali la povertà, l’ambiente, le migrazioni, la pace. Primo principale punto è il progressivo annullamento del debito dei paesi africani: su questo tema occorre insistere per evitare lo sprofondare in un sottosviluppo senza freni, che renderebbe la sponda Sud del Mediterraneo il confine drammatico tra povertà e ricchezza, producendo frizioni insanabili e contrasti indelebili. Le proposte del Governo italiano prevedono misure interessanti e realistiche: investimenti per lo sviluppo tecnologico nei paesi sottosviluppati, sostegno alla salute ed all’istruzione, abbattimento delle barriere doganali. 

Questa è una sfida politica, economica sociale e culturale che coinvolge tutti noi.

L’interdipendenza tra uomini, società e spazi è ormai la norma e le mutazioni scientifiche e tecnologiche, la globalizzazione economica e finanziaria, la circolazione immediata dell’informazione conducono tutta l’umanità verso una comunità omologata. Ciò non significa affatto verso un destino comune, anzi: le ineguaglianze e le povertà che si aggravano nel mondo ne sono la prova. Come costituiscono prova il rischio di egemonia di qualche potenza su decisioni che coinvolgono l’avvenire del nostro pianeta oppure il blocco dell’informazione operato verso le fasce più deboli e meno abbienti.

Un altro rischio è la sottomissione delle economie locali a strategie industriali che hanno poche relazioni con i bisogni reali di quel paese o i monopoli di attori specifici – privati o pubblici – sulla costruzione e diffusione di modelli standardizzati  di comportamento, di consumo, di pensiero, di creatività e, quindi, di esistenza.

Un altro tema sul tavolo dei “Grandi” è legato alla riduzione del “gap” tecnologico esistente (specialmente l’uso del telefono e di internet) tra il Nord e il Sud del mondo, unitamente al reperimento di risorse energetiche , quali l’elettricità, per oltre 2 miliardi di persone che ancora ne sono privi.

Clima, armi, commercio internazionale, sviluppo sostenibile, ambiente, epidemie: su questi temi i “Grandi” si confrontano in queste ore cercando di proporre soluzioni compatibili con il protocollo di Kyoto che, di fatto, conferma la spaccatura esistente tra gli Usa e gli altri Paesi.

Ma la sfida più importante è la gestione della globalizzazione e la difesa delle diverse identità per evitare l’acuirsi di processi autonomi di “autodifesa” che possono sfociare in nazionalismi ed estremismi pericolosi.

Quando gli scambi internazionali si diffondono e si ingigantiscono gli Stati, ma specialmente i cittadini, hanno la sensazione di vedersi sottrarre la gestione del proprio mondo e si sentono imporre una “monocultura”. Di fronte a questa perdita d’identità grande è la tentazione di rifugiarsi in se stessi, di cristallizzarsi su valori arcaici radicati nel passato, in un clima di intolleranza che spesso conduce al fanatismo, all’odio, al rigetto dell’Altro. E se vogliamo evitare che la guerra fredda di ieri si trasformi in un suicidio cultuale, agevolato da massicci movimenti migratori internazionali, occorre – nel senso più ampio del termine –democratizzare la mondializzazione prima che la mondializzazione snaturi la democrazia. Ciò significa promuovere, in maniera veloce ed efficace, il dialogo e la cooperazione tra spazi potenzialmente generatori di conflitti.

Sono convinto che le grandi aree culturali del pianeta costituiscono oggi spazi privilegiati di solidarietà che, se rafforzati dal dialogo e dalla cooperazione, sono la migliore garanzia per la democrazia, la pace e lo sviluppo condiviso.

Gli 8 Grandi riuniti in questi giorni a Genova dovrebbero convincersi (ma lo faranno mai?) che il dialogo tra le culture, tra le fedi e tra i popoli in generale  è oggi più che mai indispensabile come progetto di scala planetaria: un progetto di società in cui le culture si completano senza escludersi, si rinforzano senza scomparire, si  accorpano senza perdere ciascuna la propria identità.

Dobbiamo tutti concorrere alla costruzione di un mondo multipolare, rispettoso delle lingue, delle culture, delle tradizioni e di una gestione veramente democratica delle relazioni internazionali.

Ma tutto questo presuppone che la diversità culturale mondiale divenga una condizione preliminare per costruire un dialogo reale tra i popoli, che il riconoscimento della cultura come forza dominante non costituisca un’eccezione bensì il fondamento del nuovo processo di civilizzazione.

Riconoscere che cultura e sviluppo sono indissociabili, senza limitarsi ad un semplice approccio commerciale ed economico della cultura, è essenziale per costruire il futuro.

Questo processo ha bisogno di azioni concrete: sapranno gli 8  Grandi promuoverle ed assicurarne una rapida attuazione?