Intifada, un anno dopo

 

di Michele Capasso

 

28 settembre 2000. Sono a Gerusalemme e vivo in prima persona l’inizio dell’intifada. E’ il giorno del Capodanno ebraico. I volti di Shimon Peres e Shmuel Hadas sono cupi: la visita alla spianata del Tempio da parte di Sharon è una provocazione che  annega il  processo di pace.

Gaza, 26 settembre 2001. E’ la vigilia dello Yom Kippur, il giorno del pentimento. Dopo un anno i morti sono più di mille e la situazione è precipitata, fino ad essere sull’orlo della guerra: sospesa non per convinzione ma per l’imprevisto tragico attentato alle Twin towers newyorkesi.

Arafat e  Peres, dopo  annullamenti e veti imposti da Sharon, si incontrano. Occhi stanchi, animi delusi, una fredda stretta di mano, nessuna conferenza stampa, un magro risultato negoziale: sono gli esiti di un incontro che ha come valore principale quello di aver evitato di spegnere definitivamente le speranze del dialogo. Arafat, pur conoscendo benissimo l’inglese, parla solo in arabo: da oltre un anno il rais palestinese, quasi per difendere le fondamenta della propria identità, quella lingua e filtra il colloquio attraverso gli interpreti. Da parte sua Shimon Peres, accompagnato da un generale dell’esercito, si sente imbrigliato dall’arabo di Arafat e da Ariel Sharon, con il quale condivide una difficile coalizione governativa sull’orlo della crisi.

Tre i punti del documento siglato da Arafat e Peres:

1) l’impegno di Israele a ridurre l’assedio e la chiusura dei territori abitati dai palestinesi;

2) l’accordo sui piani Mitchell e Tenet che includono il congelamento delle colonie ebraiche ed il ripristino della trattativa a livello politico; 

3) la ripresa delle consultazioni  sulla sicurezza   per mantenere il cessate il fuoco, con la partecipazione  della Cia americana con il  ruolo di coordinamento.

Questi punti del documento dovranno essere sottoposti alla prova dei fatti ed il cammino, come sempre, è irto di imprevisti.

Venerdì 28 settembre 2001. Le organizzazioni palestinesi commemorano un anno di intifada con una giornata di protesta e con nuovi tragici scontri. Jihad islamica ed Hamas ribadiscono che continueranno le azioni violente, ignorando le indicazioni di Arafat. Israele  chiude nuovamente le frontiere e rafforza le misure di sicurezza.

E’ il solito circolo vizioso senza fine. Con una variante: non c’è più il silenzio di Bush. Il presidente americano vuole oggi concentrarsi sulla lotta al terrore senza distrazioni in altre aree del pianeta: per questo invita palestinesi e israeliani a compiere “atti concreti” ed intende esercitare, fino in fondo, la propria influenza. Come pure cerca di allargare al maggior numero di Paesi arabi l’alleanza contro il terrorismo.

Washington, 27 settembre. Abdullah II di Giordania, anche quale presidente in carica del summit arabo, consegna a Bush l’adesione di gran parte dei leader musulmani del Medio Oriente, pronti ad entrare nella grande coalizione anti-terrorismo. Il re giordano era in viaggio per la capitale americana proprio l’11 settembre e fu fermato dalla terribile notizia dell’attentato mentre sorvolava la Nuova Scozia e costretto a far ritorno ad Amman.

Il sovrano ascemita ha un’ulteriore motivazione per essere grato agli Stati Uniti: il Senato americano pochi giorni fa ha ratificato l’accordo di libero scambio con la Giordania inserendo questo Paese nel ristretto club delle nazioni “più favorite”, accanto ad Israele, Canada e Messico. Un obiettivo al quale aspirava da lungo tempo il defunto re Hussein. Ma Abdullah II incassa anche la gratitudine di Bush per aver smantellato una cellula di Bin Laden che progettava attentati.

Un altro tema sul tavolo dei colloqui è l’imbarazzo dei Sauditi dopo la scoperta della rete di complicità di cui gode Bin Laden nel loro regno. La guerra contro i “dollari del terrorista” (e sono tanti!) sta creando timori non solo nei sauditi. Lo stesso Arafat, che aveva dubbi su quale posizione assumere  riflettendo molto prima di decidere, è stato consigliato a non perdere l’occasione e l’ha colta: ha condannato i massacri americani annunciando il cessate il fuoco che ha poi consentito l’incontro con Peres. Questa volta, per evitare fraintendimenti, si è espresso sia in inglese che in arabo.