“IL DENARO”

 

6 ottobre 2001

 

 

Mare nostro ostile e cattivo diviso da noi

 

di Michele Capasso

 

Nel Mediterraneo cristiani, musulmani ed ebrei hanno condiviso le stesse terre per secoli.

Giorgio La Pira scriveva negli anni Cinquanta che “La Sinagoga”, la Cattedrale e la Moschea sono i luoghi intorno ai quali si costruiscono le nazioni, i popoli e le civiltà”. La coabitazione tra i popoli delle tre religioni è una realtà della storia del Mediterraneo: una storia di conflitti legati alle religioni, scolpita in maniera indelebile nella memoria. E quelle che viviamo quotidianamente sono guerre “della memoria”.

Il dialogo interreligioso è indispensabile anche per lo sviluppo economico dei popoli mediterranei. Occorre, però richiamare la storia ed il rapporto dei Paesi mediterranei con le religioni e con il mare.

È opportuno ricordare, insieme con fatti d’ordine storico o geopolitico, il ruolo che potrebbe avere la varietà di fedi religiose o di mitologie.

Molti popoli mediterranei offrivano sacrifici al mare – cavalli, tori, vitelli -, simbolo di forza o di fecondità. Le divinità marine trovavano nei loro pantheon un posto particolare: Poseidone è, come si sa, figlio di Rea e di Chronos, analogamente a Nettuno per i Romani. Il paganesimo greco fu caratterizzato da un atteggiamento ambivalente: timore davanti a un mare pieno di incognite, amore per lo spettacolo ineguagliabile. La lingua greca possedeva numerose denominazioni per designare i molteplici aspetti del mare; materia o contenuto (hals), presenza, percorso o estensione (pontos, pelagos), natura e avvenimento (thalassa). Quei nomi potevano mettersi uno accanto all’altro e combinare o moltiplicare i significati:  materia-estensione, presenza-avvenimento, natura-contenuto, etc. Ciò dimostra, tra l’altro, un’irriducibile ricchezza di rapporti attraverso lo stesso mare. La Bibbia e il Talmud danno al Mare Mediterraneo vari nomi: “Grande mare” (iam Hagadol, Joz, I,4), “Mare che sta dietro” (iam ha aharon, Deut. XI, 24), “Mare filisteo” (iam p’listim, EX. XXIII, 31). La parola semita iam designava indifferentemente tutte le grandi distese d’acqua: mari, laghi, fiumi. Sarà la stessa cosa per molti popoli intimoriti dagli sconfinati orizzonti offerti dallo spettacolo del mare: i Romani all’inizio, gli Slavi, i Germanici, gli Arabi, i Turchi…

Il Popolo Eletto, ancora in Egitto, condivideva con i sudditi dei faraoni la paura dei “popoli del mare”. Quella disposizione d’animo è implicita tanto nell’Antico Testamento quanto nei testi talmudici. La maledizione dei filistei, marittimi e “incirconcisi”, appare nel Vecchio Testamento. Il mare biblico è popolato di mostri che ricordano Leviathau o Rachab. Daniel vede “quattro grandi bestie che escono dal mare”. San Giovanni parla nell’Apocalisse di una “bestia orribile con sette teste e dieci corna”.

Il Cristianesimo ha conservato nel suo retaggio un’attitudine analoga. Essa è tuttavia  attenuata dal grande viaggio di San Paolo che navigò, non senza difficoltà, dalla Terra Santa alla Città Eterna. San Girolamo tenta di trovare l’etimologia del nome di Maria: alcuni gli attribuiscono l’ipotesi per cui Mir-iam vorrebbe dire Stella maris.

Ibn Khaldun ha dato testimonianza della paura degli Arabi, e soprattutto dei Berberi, davanti al “Mare Bianco” (al-bahr al-abyad). Così gli Arabi chiamavano il Mediterraneo, attribuendogli anche nomi derivanti dalle altre nazioni: “Mare dei Rumi” (cioè dei Bizantini), “Mare Siriano”.

Queste considerazioni potranno probabilmente essere di aiuto per comprendere certi rapporti tra le popolazioni che abitano sui contorni di questo mare che molti di noi considerano come “nostro”: mare nostrum, ma diviso tra noi o da noi.