di Predrag Matvejevic'
Ieri sera, nel bellissimo Teatrino di Corte del Palazzo Reale di Napoli, si è parlato di pace e di Mediterraneo, due parole in apparenza difficili da accostare. Se n’è parlato tra ambasciatori, artisti, scrittori, intellettuali, pubblici amministratori, e per la prima volta è stato eseguito l’inno della pace. L’occasione era la quinta edizione del premio intitolato al “mare nostrum”, che allo stesso tempo è stata una premiazione ed un incontro di lavoro e di dibattito. È stato bello che il presidente della Repubblica Ciampi abbia incaricato l’ideatore del premio, Michele Capasso, di trasmettere a tutti i partecipanti il suo saluto più affettuoso, dicendo anche che un dialogo di pace condivisa e protetta è il suo sogno per il Mediterraneo come per tutto il mondo.
Quanto a me, figlio di una città dolente come Mostar, scrittore di un libro intitolato “Breviario Mediterraneo” e presidente dell’Accademia del Mediterraneo, trovo importante dire una cosa: tutte le problematiche legate ai Paesi da cui è bagnato il nostro mare vanno impostate in un nuovo modo, dopo l’11 settembre. Non possiamo permettere che i rapporti dai Paesi che si affacciano sul bacino Mediterraneo s’identifichino con quelli dell’Oriente e dell’Est del Continente asiatico. Non possiamo accettare, partendo dalle tradizioni culturali del Mediterraneo l’idea di un conflitto delle civiltà e delle culture.
A scontrarsi sono solo le
civiltà e le culture alienate, trasformate in ideologie cattive e che
funzionano come tali. A scontrarsi non sono mai le culture in quanto tali.
Altrimenti saremmo in presenza di un assurdo. Perché se lo scontro fosse tra
culture, allora ogni sviluppo della storia, ogni sua fase propulsiva avrebbe coinciso
anche con la potenzialità conflittuale. Siamo insieme testimoni e responsabili
di equivoci non solo terminologici, che possono racchiudere potenzialità molto
pericolose. Dobbiamo sapere che non si possono identificare l’Islam con
l’islamismo, l’islamismo con il fondamentalismo e neanche il fondamentalismo
mistico con un fondamentalismo militante e terrorista. In questo momento siamo
chiamati, come mediterranei e come europei, a fare uno sforzo di comprensione
possibile solo se attingiamo alla tolleranza che è chiave e ricchezza di tutta
la nostra storia: lo sforzo di coniugare la libertà del credente e la libertà
del cittadino. Il credente, di qualsivoglia fede, deve essere un cittadino come
gli altri, aver diritto a praticare la sua religione e di usufruire della sua
piena condizione di cittadinanza. Questo è il contributo più importante che la
civiltà mediterranea possa dare all’Europa e al mondo intero. Non per caso fra
i premiati, oltre alla memoria di due giornalisti come Maria Grazia Cutuli e Carlos
Fuentes, e a quella del grande studioso di “civilizzazioni” Marcello Gigante,
ieri sera c’erano anche due ambasciatori a cui è stato consegnato il premio per
la diplomazia: Paolo Pucci di Benisichi, ambasciatore d’Italia in Spagna, e
Nehad Abdel Latif ambasciatore d’Egitto in Italia. A significare la centralità
dell’Egitto a Sud, il simbolico ruolo centrale della Spagna rispetto all’Europa
nei confronti dei Paesi arabi. Questo è il nostro lavoro, questa è la speranza
e l’impegno costante dell’Accademia del Mediterraneo, proiettati nella Maison
de la Méditerranée che vorremmo fosse considerata casa propria da ogni singolo
cittadino europeo.