"L’Unità"

27 novembre 1995

TERRORISMO E DISARMO

A BARCELLONA SUMMIT DEL MEDITERRANEO

di Stefano Polacchi

Barcellona. Batte a Barcellona, in questi giorni, il cuore dell’Europa. Si gioca infatti nella città spagnola un buon cinquanta per cento del futuro del Vecchio Continente, stretto tra la necessità di garantirsi una partnership affidabile e stabile nell’area centro orientale dopo la fine dell’impero sovietico e la paura del terrorismo e di un’involuzione integralista nel bacino del Mediterraneo. Ed è in quest’ottica che inizia la Conferenza Euromediterranea: un summit di due giorni tra i quindici ministri degli Esteri europei e quelli dei dodici paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ed è in quest’ottica che inizia la Conferenza Euromediterranea: un summit di due giorni tra i quindici ministri degli Esteri europei e quelli dei dodici paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che hanno già trattati bilaterali con la Ue (Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità palestinese). Un summit "sotto scorta" in una città controllata metro per metro da un imponente servizio di sicurezza che vive nell’incubo che i terroristi islamici mantengano le minacce fatte nei giorni scorsi. Una paura che la dice lunga su quale sia l’obiettivo della conferenza. Scopo della riunione dei 27 paesi è definire un rapporto di partenariato omogeneo nei tre settori fondamentali: quello politico e della sicurezza, quello economico e finanziario, quello sociale, economico e umano. Tutto questo nello spirito di uno sviluppo sostanziale della collaborazione tra tutti i protagonisti di quell’area, i "Paesi Terzi mediterranei" (Ptm, come vengono definiti in sigla gli stati mediterranei non aderenti all’Ue): un percorso tutto in salita se si pensa che tra di essi ci sono due stati in guerra – Siria e Israele – e realtà non certo tranquille come il Libano e l’Algeria.

Il rischio instabilità

In prima fila, tra gli europei, Spagna, Italia e Francia: sono questi i Paesi mediterranei dell’Unione, e sono loro a vivere maggiormente sulla propria pelle le tensioni, l’instabilità, i rischi per la democrazia e per la sicurezza che un Mediterraneo destabilizzato riserverebbe anche sui propri cittadini. E sono loro i primi a puntare alla realizzazione, entro il primo decennio del 2000, di un’area di libero scambio del Mediterraneo e alla stipulazione di una sorta di "Patto per la stabilità" sul modello di quello per l’Europa centro orientale. "Ma - sottolineano alla Farnesina – la politica mediterranea è una politica di tutta l’Europa. Certo, l’Italia ha avuto un ruolo propulsore importante. Ma è stata l’Europa nel suo complesso a decidere che la politica per il Mediterraneo avesse la stessa importanza di quella verso il Centro-Est: e lo ha fatto con i Consigli di Corfù, poi di Essen e infine con il Consiglio di Canness, che ha gettato le basi dell’attuale politica europea verso il Mediterraneo".

Israele e Siria

Nella mente dei diplomatici europei – e alla Farnesina non lo nascondono – c’è in prospettiva l’ambizione di una sorta di "Helsinki del Mediterraneo". E in quest’ottica il primo problema è quello del terrorismo. E’ questo il terreno su cui si misurerà la Conferenza di Barcellona: con Israele che vuole una definizione la più ampia possibile, con Siria e Libano che invece vogliono tener fuori dalla definizione la lotta di liberazione dei popoli. E non è un caso che l’argomento terrorismo, vero punto qualificante di Barcellona, è stato fino a ieri sera al centro di frenetici incontri tra i diplomatici dei 27 paesi per cercare di giungere alla definizione di un testo comune. Ma proprio ieri la Siria ha gettato benzina sul fuoco, nonostante le aperture distensive di Peres dei giorni scorsi. "Israele vuole imporre la sua egemonia economica, politica, militare e culturale – ha detto il vicepresidente siriano – su un Medio Oriente in cui scompaia l’identità araba". Una buona notizia, invece, è stata la decisione di Arafat – annunciata ieri sera – di incontrare oggi a Barcellona il nuovo ministro degli Esteri israeliano Ehud Barak, l’ex militare che ha preso il posto di Peres nominato Premier. Un segnale importante, proprio quando Israele ha lanciato l’allarme rosso alle sue missioni diplomatiche all’estero, per paura degli attentati minacciati dalla Jihad. L’altro aspetto – vitale per l’Europa e indispensabile da affrontare per la realizzazione di un’area di stabilità e di libero mercato – è quello del controllo dell’immigrazione e di un politica globale sui flussi migratori. E’ uno degli aspetti sottolineati dai socialisti europei ed è l’anello di congiunzione tra il terreno del controllo e quello dello sviluppo economico, finanziario, sociale e tecnologico del bacino del Mediterraneo. Un terreno, questo, in cui, l’Unione europea ha deciso di investire 4,8 miliardi di ecu (quasi diecimila miliardi di lire) in progetti destinati allo sviluppo dei paesi mediterranei con cui verrà sottoscritto il rapporto di partenariato. Barcellona, comunque, ha un’altra enorme ambizione che riassume in sé tutti gli obiettivi: un salto di qualità nei rapporti tra Stati, l’inizio di una nuova stagione anche nei rapporti tra gli stessi Ptm: in primo piano, ovviamente, i rapporti tra Siria e Israele, ma anche tra Israele e tutti gli altri stati arabi. Resta aperto un altro problema sulla via di una collaborazione complessiva tra i 12 paesi invitati a Barcellona: la sottoscrizione della messa al bando delle armi chimiche, biologiche e nucleari. La paura della guerra e di aggressioni resta infatti forte: e Israele, che una sua difesa nucleare ce l’ha, pur non ufficialmente, non ha nessuna intenzione di gettarla via finchè la pace non sia solida nella regione. E proprio questa, l’inizio della pace, è la massima ambizione di Barcellona. Una sfida che l’Europa, ma anche tutti i paesi del Mediterraneo, hanno deciso di affrontare: è la condizione della loro stessa esistenza.