La Stampa

10 marzo 2002

Il rapporto tra stati e Eu
Un'Europa di finti sovrani

di Barbara Spinelli

L'offensiva della Lega e del ministro Tremonti contro l’Europa Padrona non ha di per sé nulla di ridicolo, e contrariamente a quel che si dice non è qualcosa che allontana gli italiani dal resto dell’Unione. I toni di Bossi sono certo esagitati, e la violenza con cui si è espresso al congresso di Assago è assai simile a quella che in passato ha contraddistinto, in Francia, il Fronte di Le Pen o i comunisti. Ma l’avversione per quel che si sta costruendo in Europa è ben più diffusa, e non è condivisa solo da forze estremiste.

Non pochi benpensanti nel vecchio continente hanno mal digerito l’introduzione della moneta unica, e ora vorrebbero che l’euforia scemasse un po’, che la corsa verso la soprannazionalità non oltrepassasse l’Euro, che si tornasse ai bei tempi antichi in cui ogni Stato faceva da sé e ogni governante aveva l’impressione di tenere in mano uno scettro sicuro, capace di dargli autorità, vasti poteri, facoltà di seduzione durevole, magari anche gloria. E’ quello che in cuor loro pensano Chirac e Jospin, lo stesso Schröder in Germania, e naturalmente Blair e Aznar in Gran Bretagna e Spagna.

Non a caso la parola d’ordine da essi prescelta è una mostruosità linguistica che offende la logica, e ignora il principio di non contraddizione. La federazione degli Stati nazione, di cui tanto si parla, nella migliore delle ipotesi non significa nulla. Nella peggiore è una menzogna, detta ai cittadini dell’Unione e a quelli che stanno per entrarvi. O gli europei scelgono la federazione, e allora gli stati saranno ridimensionati radicalmente. Oppure è un insieme di sovrani immodificabili, e allora non è il caso di parlare di federazione.

La menzogna è l’arma principale cui ricorrono i benpensanti che pretendono di pensare e governare l’Europa, oggi, e le filippiche di Bossi o Tremonti non costituiscono un’eccezione. Non è menzognero quel che essi dicono a proposito dell’insufficiente democrazia europea - giacché molto resta da fare per legittimare gli organi dell’Unione, e a questo dovrebbe servire la Convenzione insediata il 28 febbraio - ma lo è quel che viene detto a proposito degli Stati membri, e della loro sovranità più o meno pericolante, più o meno minacciata dai tentativi di dare all’Europa una costituzione, uno spazio giuridico comune, eventualmente un governo che sappia fare politica, decidere nell’emergenza, divenire potenza.

E’ come se i politici nazionali avessero in mano uno scettro che qualcuno vorrebbe loro proditoriamente strappare, con l’intenzione di trasferirlo altrove: verso un super-Stato europeo, verso una qualche tecnocrazia tirannica. Come se si trovassero sull’orlo di un abisso, dentro cui qualcuno volesse malvagiamente gettarli. I politici che pensano in questo modo sanno pur tuttavia di mentire, in particolare sul punto cruciale che è quello della sovranità. Sanno di non esser più da tempo i sovrani che erano in passato, e che la grande scelta non si pone a partire da oggi per la semplice ragione che l’Unione non nasce nel 2002 ma ha già una storia alle spalle, fatta di progressive deleghe di sovranità e di graduali rinunce al potere assoluto degli Stati.

Dice il ministro della Giustizia Roberto Castelli che siamo alle porte di un inferno: che verrà annullata la nostra identità, che un ordinamento oligarchico e illiberale prevarrà sui democratici Stati nazione (Corriere della Sera, 9 marzo). Ma il salto è già avvenuto da anni, e la questione oggi è di sapere come dar corpo a una sovranità che già è evaporata, amministrata da poteri superiori agli Stati. La questione è di sapere se si vuol reinventare e rivalutare la politica, se si vuol ridar vita alla divisione dei poteri che ha contraddistinto per lungo tempo la democrazia rappresentativa, dal momento che ambedue ­ politica e divisione dei poteri - hanno perduto forza sul piano nazionale.

Ambedue si sono trasferiti in Europa, ma con l’inconveniente di non aver corpo, di non possedere forma, di non far capo a un’autorità visibile, responsabile delle azioni e delle decisioni intraprese. Questa è la debolezza dell’Unione, oggi: essa non ha un corpo politico, e neppure dunque autentica sovranità. Ma è pur sempre in Europa che buona parte dell’autorità si esercita. E’ pur sempre l’Europa che, nonostante le menzogne diffuse dagli Stati, esprime la verità oggettiva dei poteri, delle decisioni in numerosi campi della vita cittadina, della sovranità stessa se sovranità è facoltà di deliberare indipendentemente da altri poteri, anche se sotto il controllo di altri poteri.

Non solo: è pur sempre l’Europa che ha messo fine al vecchio Stato nazionale, non dispoticamente ma per via del consenso, e questo perché la Nazione è apparsa a un certo punto una creatura equivoca, sorgente di democrazia ma anche di dismisura, guerre e genocidi. La questione del corpo della politica non è nuova, nella storia europea. Lo storico Kantorowicz ricordava come fin dal Medio Evo esistessero due corpi del re: il primo era transeunte e mortale; il secondo aveva una dignitas imperitura, che «non muore mai», e incarnava il potere statuale che sopravvive alle vicissitudini terrene dei re.

Il corpo della politica era il Dio nascosto, ma tutt’altro che astratto, che conferiva continuità e universalità all’agire politico del monarca (Ernst Kantorowicz - I due corpi del Re, Einaudi 1989). E’ questo secondo corpo che di questi tempi vacilla. Ma vacilla perché non esiste, non perché qualche oscura potenza l’ha sottratto agli Stati nazionali. I capi della Lega si comportano come quell'impaurito che si è perso nel buio e fischietta per farsi coraggio, raccontando a se stesso favole che imbelliscono la realtà.

«Di quello che dice Schröder non me ne frega niente», dice Speroni imitando i toni di quella prima Italia bugiarda che si riconobbe in Mussolini, e aggiunge: «In Italia, almeno per ora, comandiamo noi». Non è vero affatto, e questa è la trappola che egli tende ai cittadini. Sono molte le cose su cui il sovrano nazionale non decide più, e non soltanto perché ha ceduto volontariamente sovranità ma perché questa sovranità l’ha in gran parte perduta comunque, nel mondo globale in cui gli tocca vivere.

Non decide sul cambio della moneta, prima ancora che nascesse l’euro. Non decide sul bilancio, prima ancora che nell’Unione ci fosse un comune patto di stabilità. Non decide in materia militare, perché l’Italia è nella Nato e l’esercito comune è lontano. Non decide sulla giustizia e su un gran numero di leggi: perché non poche leggi comunitarie prevalgono sulla nazionali e perché giudici e polizia, dopo l’11 settembre, stanno tentando una collaborazione diretta per essere più efficaci. Agli stati restano svariati altri compiti, a parte il monopolio sulla retorica.

Spetta a essi di dare, all’Europa, il corpo politico non transeunte che essa di fatto possiede già. E a far sì che questo corpo non sia accentrato ma ridistribuito tra organi sovranazionali, stati, regioni. Qui è la seconda bugia che i finti custodi delle prerogative nazionali dicono ai propri popoli. Lì dove si dichiara pronto ad affidare all’Europa il proprio destino ­ è il caso della moneta, dell’economia, del futuro esercito comune ­ lo stato classico non cede sovranità, ma prende atto di averla in realtà già perduta irrimediabilmente.

Solo attraverso l’Europa può sperare, forse, di recuperarla e ricostituirla. Si può anche non volere tutto questo. Si può desiderare un’Europa che chiacchiera, ma incapace di acquisire il volto di una potenza mondiale. Non per questo però saranno potenze gli Stati. Nessuno conterà nel continente - né le istituzioni sovrannazionali né gli Stati né le regioni - e la sovranità sarà ovunque un oggetto fantasticato da re imbelli, orbo di statualità, al quale si darà magari il nome minimalista di governance.

Si può aspirare a tutto questo, ma allora conviene dirlo: sarà utile non solo agli elettori, ma anche ai parlamentari nazionali ed europei che potranno imporre una loro costituzione conoscendo meglio chi surrettiziamente l’avversa. Conviene dire agli elettori che la politica non interessa più, che la si vuole privatizzare, che al governo si sta per personale transeunte convenienza: per fare - senza esser disturbati e senza senso dello Stato - i propri interessi economici o finanziari.

Conviene ammetterlo: che l’Europa è solo uno spazio per piccoli o grandi industriali dove il tempo si è fermato, dove si affabula senza deliberare, le cui frontiere sono tracciate e custodite da potenze esterne. Il resto in tal caso è letteratura. Ma la letteratura peggiore: quella intessuta di falsità, di menzogneri dilemmi, di tronfi happy end, e di mostruosità linguistiche.