“LA REPUBBLICA”

14 aprile 2002

 

 

Ramallah come il Far West “La visita Usa è pericolosa”

 

di Leonardo Coen

 

Ramallah – Arrivando dalla base militare di Beit El (“Casa di Dio”), dove ha stanza la divisione 500, si incominciano a superare le prime carcasse d’auto, un posto di blocco con due tank a sbarrare il cammino, in un’atmosfera irreale e sospesa, da film dell’impossibile. C’è la città. Malmenata, desolata, stuprata dal passaggio invadente dei Merkava, dalle perquisizioni dell’esercito, dalla legge marziale, dal sospetto di Israele. Ramallah la ricordavo bianca, solare, di napoletana vitalità. Adesso il colore di Ramallah è quello della terra, dell’umiliazione, della mortificazione. Un deserto dell’anima e della vendetta. Un gatto rasenta il muro. Come fuggiaschi senza speranza.

La radio della Jeep militare gracchia qualcosa. L’autista rallenta la jeep: “ecco, proprio lì il 13 ottobre del 2000 avevano linciato due israeliani, appendendoli per i piedi”. Lì dove? Sulla sinistra, vedo solo uno spiazzo rettangolare pieno di detriti, di pietre sbriciolate, cumuli di terriccio, tracce evidenti di una recente demolizione. “Vede quella scavatrice? Era la palazzina della polizia palestinese. Bene, il posto è stato spianato”. Cioè cancellato. Occhio per occhio, dente per dente. Glielo ricorderanno a Colin Powell, il segretario di Stato americano che oggi passerà sulla stessa strada del centro di Ramallah, per andare ad incontrare Arafat?

La jeep frena. Prima sosta. Uno slargo. Davanti ad un palazzo di uffici, di agenzie commerciali. Un’insegna indica il gabinetto del dottor Samla Q. Halifeh. In basso, un tempo si affacciavano gremiti di giovani i locali di “Mr. Pizza”. Adesso è come se fosse chiuso per lutto. Come tutto il resto di Ramallah. Case senza vita. Abitanti chissà dove. Rintanati nelle loro abitazioni come topi in trappola. L’ultima sospensione del coprifuoco risale a giovedì scorso. Forse sarà ripetuta oggi pomeriggio. La verandina di Mr. Pizza è in parte divelta, penzola sulla strada. Strada? Ormai è diventata una pista di sabbia, di polvere, come in un Far West.

Sagoma di un blindato di Tsahal, l’esercito di Israele, piazzato in mezzo ad incrocio. Ci si abitua a queste presenze scure, minacciose: “osservate questi edifici? Sono tutti uffici. Quando ne abbiamo avuto necessità, li abbiamo occupati per le nostre esigenze – parla intanto il capitano Ohad Nagma, col tono di una guida dell’occupazione della segregazione – abbiamo voluto evitare le requisizioni degli appartamenti privati”.

Capitano, gli abitanti di Ramallah dicono esattamente il contrario, hanno visto i loro appartamenti devastati, hanno avuto perquisizioni rovinose… “insomma, questa è un’operazione militare, mica una passeggiata”, taglia corto un tenente riservista. Nessun dubbio, infatti: basta vedere. Una volta questa strada 60 era di dignitoso aspetto, con le doppie corsie separate da uno spartitraffico che sfoggiava graziose palme ogni tanto. Ora i cingoli dei possenti Merkava e dei  Magarh hanno ridotto il viale principale di Ramallah peggio di un sentiero di guerra. I poliziotti sono finiti sotto le grinfie dello Shin Bet, il controspionaggio interno, “abbiamo arrestato 700 persone, dopo gli interrogatori ne abbiamo rilasciate 490, il resto è sotto la nostra custodia”, informa il colonnello Moskovitch, “noi stimiamo che in città tra i 200 e i 500 terroristi”. Colin Powell è avvisato: la visita ad Arafat è a rischio, per i servizi di sicurezza israeliani.

Certo, suona strano che Ramallah, dopo lo strettissimo regime imposto da Tsahal, sia considerata ancora una città insicura. “eppure è così: continuiamo a trovare armi dappertutto. Nelle case private, nei cortili, in una moschea abbiamo scoperto due razzi Al Qassam”. Con pignoleria tutta militare, il colonnello sciorina le cifre relative alle armi sequestrate nel territorio di sua competenza: 2000 fucili e kalshnikov modello 47; 840 pistole; 50 bombe; 5 mortai; 50 ordigni antitank. Un piccolo arsenale. Caccia alle armi e caccia ai pezzi grossi di Hamas, della Jihad, dei Tanzim. “Alla polizia palestinese avevamo presentato una lista di 33 super-ricercati. Ci hanno risposto che da tempo non sapevano dove si fossero nascosti. Noi ne abbiamo arrestati parecchi. Molti, a casa loro”.

Seconda sosta, obbligata, alla celebre piazza Manara, turbinoso cuore commerciale e sociale di Ramallah. Come una stella al centro della città. Le strade che vi arrivano, deserte. Da incubo. E poi, il silenzio. Lo striscione inneggiante ad Arafat beffardamente fumettato in celeste da una vignetta che un soldato del reggimento Palhod ha aggiunto in ebraico. I muri del negozio Viceroy coi manifesti degli shahid, i martiri kamikaze. Più su, al secondo piano, penzola ancora il drappo con l’immagine della bella kamikaze di sedici anni che si era fatta esplodere a Gerusalemme qualche settimana fa. Sicuro che glielo mostreranno, a Powell, è “Arafat che arma il terrorismo contro Israele”, guardi come inneggiano a coloro che uccidono gli innocenti, “coi loro barbari attentati”.

Dopo di che, il corteo di Powell proseguirà verso la Moqada, il quartier generale palestinese, non molto lontano. Off limits, ci passiamo davanti e basta. Lì niente sosta. L’ingresso principale al “compound” è presidiato da un Merkava che punta il cannone verso l’esterno. Un altro carro è invece piazzato col muso verso la palazzina in cui si trova segregato Arafat: “stimiamo tra le 45 e le 70 persone lì dentro con lui”, dicono i militari. Affermano che vettovaglie e medicinali passano. Che tra i soldati e la zona di Arafat ci sono appena 6 metri.

Powell parcheggerà l’auto tra un tank e un paio di blindati, mentre dai tetti vicini i tiratori scelti israeliani avranno il compito di eliminare chiunque osi avvicinarsi. Osserverà l’ormai celebre buco provocato da una cannonata il 29 marzo scorso, sulla facciata della palazzina principale. Il “ponte” tra un’ala e l’altra è integro ed è in mano ai palestinesi.

Ciò che Powell non vedrà è il quartiere residenziale sulla collina dirimpetto la Moqata. Ville e strade non hanno subito danni e le macchine dei ricchi sono ben al sicuro nei garages o nei giardini. Qualche persona sfida il coprifuoco. Un bambino scorge la nostra jeep e scappa via. Poco più su, la strada termina. C’è un tank e ci sono tre mezzi per trasporto truppe. Una prataglia incolta li divide da due palazzi di 6 piani. Uno è abitato. L’altro è in costruzione. Un drappello di soldati schizza fuori dai blindati, fucili imbracciati. E’ l’ennesimo rastrellamento. Con metodica e implacabile scansione, ogni casa o edificio di Ramallah dovrà essere “ripulito”.