“IL MATTINO”

23 aprile 2002

 

Il grido di Chirac: “La Francia è ferita”

 

Nel Paese sotto choc la parola d’ordine è: far quadrato contro l’estrema destra

 

di Francesco Romanzetti

 

Honte”, vergogna. C’è una Francia, almeno un bel pezzo di Francia, che si vergogna. E ci mancherebbe. Con l’incubo di quel brutto ceffo della politica, Jean Marie Le Pen, che si è materializzato. Altro che: il 17,01% dei voti si è portato a casa il leader del Fronte Nazionale. Sommato al 2,4% dello scissionista Bruno Megret, “fascista ripulito” che ora invita a votare al secondo turno per l’ex socio, fa quasi il 20%. Estrema destra doc: aggressiva, intollerante, minacciosa. E, piaccia o meno, ormai profondamente radicata nella società francese. “Sisma”, “choc”, “disastro”. Ovvio che siano queste le parole a ricorrere nei titoli a tutta pagina dei giornali. Tutti. “Liberation”, il quotidiano della sinistra, sceglie tre lettere per dire tutto “Non”. Stampate sul ghigno di Le Pen. No, a tutti i costi.

Parola d’ordine: fare quadrato, sbarrare il passo. Fermarlo. Fermare la “bestia”. Jacques Chiraq  - il presidente gollista uscente, che va al ballottaggio del 5 maggio con il 19,6% racimolato al primo turno – mai come ora sa che può e deve fare la parte del “presidente di tutti”. Gli riesce bene. Già domenica notte – lineamenti tirati, faccia di circostanza – Chirac usa toni forti. Quasi da ultima spiaggia. Chiede un “soprassalto democratico”. “Francesi – dice afflitto il sicuro vincitore del ballottaggio – la Repubblica è nelle vostre mani”. E ieri: “E’ in gioco l’anima del nostro Paese. La Francia è ferita”.

Però per ora il soprassalto ce l’ha la Borsa, che sente puzza di instabilità e in mattinata scende dell’1,64%. Schierarsi con Chirac, allora che dubbio c’è? Votarlo tutti.

Dai comunisti ai vescovi. Votare Chirac, parola di comunista: Robert Hue, presidente del Pcf umiliato e offeso dal suo microscopico 3,4%, lo ribadisce con un comunicato. Votare Chirac, “in nome della fede”: e monsignor Jean Pierre Ricard, presidente della Conferenza episcopale di Francia, chiede ai cattolici di dare “prova di intelligenza piuttosto che d’istinto”. Unità, allora, dopo essersi tanto divisi, dopo aver portato 16 candidati a spappolare il voto e a fare il gioco di Le Pen. Unità, come ai tempi del “fronte unico antifascista”. E, finalmente, anche dal quartier generale del Partito socialista, in rue Solferino, arriva nel pomeriggio l’atteso comunicato. Non si nomina apertamente Chirac, ma l’appello è chiaro: “Fare quadrato contro l’estrema destra”. Compagni, siete avvertiti. Non è il momento di fare gli schizzinosi. Niente spocchia e scheda nell’urna: col nome di Chirac. Almeno si batte il peggiore. Magra consolazione, per i militanti socialisti che domenica sera piangevano di rabbia. E anche per le migliaia di francesi che – spontaneamente – sono scesi nelle strade, a Parigi, a Strasburgo, a Tolosa, a Marsiglia, a Lille, “vergognandosi”, come dicevano i cartelli, “di essere francesi”.

Povero Jospin. Perché a rimetterci in prima persona per tutto ‘sto casino – per il 28% di astensioni, per le sedici candidature, per la frantumazione suicida della “sinistra plurale” (una bella mazzata gliel’ha assestata proprio l’ex ministro socialista Jean Pierre Chevènement, che gli ha scippato sotto il naso il 5,3% dei voti), per una campagna elettorale che ha rincorso ossessivamente il tema dell’“insicurezza” – è stato proprio Lionel Jospin. Il fiero e incompreso Jospin. Che s’è addossato la responsabilità del suo rachitico 16,1% e che s’è fatto da parte. “Lascio la politica”, ha detto. Tra le grida e le lacrime dei militanti. Adieu, Jospin. Eppure i tuoi cinque anni di governo non erano stati così male. Non tutti s’erano entusiasmati. Ma il tuo necrologio, dove tutti diventano buoni, deve ricordare che l’economia andava bene, che la legge sulle 35 ore aveva creato quasi un milione di posti di lavoro, che ospedali e scuole erano stati salvati dal “liberismo” montante. Magari si sarebbe trattato di capire se i francesi preferivano la tua “Francia giusta” o la “Francia forte” di Chirac. Sarebbe stata una bella sfida. Ma andarsene così…Adieu.

Però, però. Però spunta pure una certa voglia di rivincita. Vabbè, ormai è fatta: per la prima volta nella storia della Repubblica va in ballottaggio l’estrema destra e la sinistra resta a guardare. Però già a giugno si torna alle urne per le legislative. E chissà che la batosta non induca a ripensamenti. Gli stati generali del partito con le ossa rotte fremono. Morto il re, viva il re. E rimosso il cadavere di Jospin, ecco il nome di Francois Hollande. Sarà lui, il primo segretario del partito socialista, a guidare la principale forza della sinistra nella difficile campagna elettorale per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale. E poiché anche le legislative si svolgono in due turni (si voterà il 9 ed il 16 giugno), diciamo pure – come ha scritto il conservatore “Le Figaro” – che queste saranno una specie di presidenziali-legislative a quattro turni.

Ma intanto, battere Le Pen. Col passare delle ore, anche i Verdi del 5,3% di Noel Mamère, tifano Chirac col naso turato (“tra il marcio e l’estremista, meglio il marcio”, ammette schifata Dominique Voynet). Ma chi proprio non lo manda giù questo rospo sono loro, i comunisti trotskisti di Lotta Operaia, l’altra grande rivelazione di queste elezioni. Arlette Laguiller porta a casa il 5,8% dei voti. Che sommati al 4,6% del postino 27enne Besancenot (trotskista dissidente) e allo 0,5% del trotskista numero tre Daniel Glukestein (dissidente tra i dissidenti) fa più del 10%. Un altro record per la Francia: la sinistra estrema più forte d’Europa. E allora, chi glielo fa fare ad Arlette di unirsi al coro? L’appello è a scendere nelle piazze per fermare il fascismo. Mai a mischiare i voti con i jospiniani. Figurarsi se per fare da sgabello  a Chirac. Non sarebbe una vergogna?