“LA REPUBBLICA”

 

12 agosto 2000

 

 

LA LUNGA NOTTE DEL MEDITERRANEO

 

 

di Luciana Stegagno Picchio

 

Non avrebbe mai immaginato Fernand Braudel, nell’ultima stagione della sua vita, quando rimeditava e in parte rifiutava, con l’esperienza degli anni, una delle sue opere più famose, i due grossi tomi del 1949 tradotti in Italia nel 1953 col titolo Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II , che la sua visione globalizzante di un Mediterraneo struttura, solo interpretabile con l’apporto di varie discipline in un’inedita interazione di geografia e storia, economia e sociologia, sarebbe rinata con tanta lievità nei primi anni di questo nostro nuovo secolo. E rinata non deliberatamente, ma quasi per reinvenzione originale di un’entità nuova, da considerare non più dal seggio della storia, come fatto storico-economico esistente, ma dall’angolo dell’utopia, quale sogno di interazione umana, progetto da realizzare in un tempo futuro da uomini di buona volontà.

Nel 1949, il Mediterraneo di Braudel aveva per la prima volta proposto, sia pur limitatamente al secondo Cinquecento di Filippo II, una visione del nostro mare interno come sistema unitario, storia e spazio, acqua e terra, marinai e contadini, oliveti e vigne, battelli a remi e navigli rotondi dei mercanti:un mondo d’acqua, si diceva,la cui storia non era separabile dal mondo terrestre che l’avvolge più di quanto non lo sia l’argilla dalle mani dell’operaio che la modella. Anche gli storici degli Annales – palestra di economisti e sociologi, di studiosi quantitativi e di analisti dei fondamenti materiali della società – sapevano essere poeti. E lo sapeva fra loro Fernand Braudel ( 1902-1985), erede alla direzione della rivista non solo di Lucine Febbre, ma anche di quel Marc Bloch che nei tempi bui della Francia di Vichy aveva scelto idealisticamente il maquis  e con esso la morte per fucilazione nel giugno del 1944.

Ascoltando recentemente, alle Assise del Mediterraneo di Marsiglia, un personaggio come l’israeliano Shimon Peres parlare del Mediterraneo come spazio d’interazione fra i popoli, le razze, le religioni e le culture, parlarne utopicamente, avveniristicamente, con lo sguardo di chi vede la storia non già con categorie ( da sempre le nostre), sincroniche, destra e sinistra, ma con un’unica opposizione temporale, passato e futuro, pensavamo a Braudel che in apertura del suo libro tentava di definire il Mediterraneo: un mare tra terre, chiuso dalle sue terre: meglio, un mare tra montagne, interamente situato nella zona dei corrugamenti e delle fratture dell’era terziaria. Le montagne, egli diceva, rivolgono verso il mare volti imponenti ed arcigni. “ Così fanno da frangia al Mediterraneo non soltanto il paesaggio di vigneti e oliveti, ma anche, ben vicina, aderente, quest’altra rozza regione, questo mondo appollaiato, irto di baluardi, con le sue rare case e i suoi villaggi, i suoi nord in verticale. Nulla più ricorda il Mediterraneo classico, intorno a cui fiorisce l’arancio”.

E in quel contesto dove, al momento della costituzione dell’Accademia, accanto alla principessa Wijdan Alf di Giordania sedeva Kiro Gligorov, Presidente della Repubblica di Macedonia, più che allo storico delle civiltà mediterranee, al Braudel con lo sguardo attento e selettivo rivolto al passato, pensavamo al Braudel televisivo che un giorno, molto dopo la pubblicazione del suo libro, ne aveva consentito una diffusione, questa sì, ormai totalmente, dichiaratamente strutturalista, per stratigrafie sincroniche: il Mediterraneo dei Cartaginesi, il Mediterraneo dell’Islam e quello della Cristianità, il Mediterraneo dell’olivo e quello della vite. E pensavamo a quanto di questa visione coincideva oggi con quella dei nuovi mediterraneisti dell’Accademia del Mediterraneo fondata a Napoli nel 1998 da un architetto con lo sguardo- possiamo ancora dirlo?- utopicamente rivolto al futuro come Michele Capasso, e già, diventata una insospettabile realtà internazionale, interdisciplinare, plurilinguistica e pluriculturale.

Ci voleva Marsiglia, con quel concorso di studiosi di ogni disciplina, di ogni colore e religione, di ogni competenza e mondovisione, di sindaci e amministratori di città e regioni, di rettori e professori e di Università, il cui unico denominatore ( e neppure esclusivo) era la mediterraneità, per convincerci della novità di un progetto di cui in un primo momento non avevamo colto tutta la portata. Era straordinario pensare, che grazie all’accademia, il sindaco di Casamicciola poteva discutere di turismo termale, ma anche di terremoti col suo collega turco, o il vulcanologo di Bologna, studioso di Campi Flegrei, discutere con gli esperti greci di eruzioni submarine nelle acque di Cantorini. A Napoli, durante l’atto di sostituzione, il commissario europeo Mario Monti aveva ritenuto naturale che l’Accademia sorgesse proprio lì:per la storia di una città come Napoli appunto, che sempre di più avrebbe dovuto abituarsi a pensare europeo e a respirare mediterraneo.

Ma da allora, sono notizie di questi giorni, pur senza rinunce alla sede della prima fondazione, ci sembra che il baricentro dell’accademia si sia leggermente spostato, se è vero che una delle sue sedi

Principali dovrà essere Bologna, città che notoriamente non è sul Mediterraneo, ma il cui rettore Fabio Roversi Monaco, ha aperto con magnificenza all’iniziativa,creandovi un centro accademico corrispondente in un certo senso a quelli di Marsiglia, Napoli o Marrakech. Ogni centro ha la sua specializzazione e leggere il programma è come presentare un menu di sapori mediterranei: i quali, non per caso, si studiano appunto a Fossato, fra gli uliveti del Molise, mentre a Fisciano, Campania, si censiscono  e catalogano le piante officinali e le medicine tradizionali dell’area mediterranea.

Del resto, come si è visto con la Macedonia o con città altamente coinvolte col progetto quali Lione e Bologna, non è necessario affacciarsi sul Mediterraneo per meditare sulla mediterraneità. Il Mediterraneo è una tendenza, un tropismo. Erano mediterranei il Goethe del Viaggio in Italia che si faceva dipingere da Tischbein allungato nella campagna romana, così come l’Hölderlin dell’Iperione. E sarebbe lo stesso per noi il Mediterraneo se non lo vedessimo oggi anche attraverso gli occhi del nordico che sogna la terra dove fioriscono i limoni? O di un Portogallo atlantico di pini e uliveti, che, con la partecipazione al progetto di suoi personaggi di spicco con l’ex Presidente Mario Soares o il premio Nobel Saramago, rivendica una proprio congeniale mediterraneità e non solo spirituale per il fatto che Lisbona, Ulissipona, è stata fondata da Ulisse, l’eroe mediterraneo per antonomasia? Che cosa significa il Mediterraneo oggi, mentre ancora si rimarginano le ferite della guerra, per la Germania del Wirtschaftswunder , del miracolo economico, che assapora ogni giorno la mediterraneità nelle musiche, nei cibi, nelle religioni dei suoi emigranti italiani, spagnoli, greci, portoghesi, slavi o turchi più ancora che un tempo quando verso il Mediterraneo del Mar Egeo si volgeva lo sguardo sognante di un Heinrich Schliemann, disseppellitore  di Troia? Abbiamo bisogno di un Mediterraneo-identità , ma anche di un Mediterraneo-prospettiva, dice il marocchino Mohamed Berrada, romanziere e professore all’Università di Rabat. E noi pensiamo che attorno a questo mare si scatenano e si sono scatenate alcuni dei conflitti più aspri della nostra storia passata e recentissima, che sono problemi del Mediterraneo gli scafi pirati che dall’Albania si dirigono ogni giorno verso le nostre coste italiane o che sul Mediterraneo si affacciano tanto Israele quanto la Palestina. In questo caso, Mediterraneo potrebbe significare coscienza. Quella coscienza la cui mancanza, ha detto Ehud Barak, è stata la causa del fallimento del nuovo Camp David e che Shimon Peres ha voluto definire con questa parabola:” Alcuni studenti chiedono ad un rabbino, a un cristiano e ad un musulmano africano quando finisce la notte e comincia il giorno. Il rabbino dice :” Quando è possibile distinguere la distanza fra due alberi”; il cristiano dice:”Quando il sole si alza e la notte cala”;il musulmano dice “ Quando incontri un uomo e una donna, bianchi o neri che siano e dici : tu sei mio fratello e mia sorella” . Aggiungendo  ora :” Io dico che quando israeliani, palestinesi, arabi, musulmani, cristiani, ebrei ed esponenti di tutte le fedi e culture potranno vivere nella pace e nella sicurezza, allora la notte sarà passata e spunterà l’alba. L’Accademia del Mediterraneo sarà allora la nostra bussola e, sono certo, ci condurrà verso la luce”.