“IL DENARO”

 

13 novembre 2002

 

 

La nuova centralità del Mare Nostro

 

 

di Giulio Tremonti

 

Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi di iniziare questo intervento con una breve citazione storica: «È stata una delle più complesse questioni che abbiano agitato la vita italiana dopo l'unificazione. Tuttavia, di una questione meridionale non si può più oggi legittimamente parlare, perché tante differenze sono scomparse e perché sono in piena attuazione i provvedimenti del Governo».
Queste due frasi sono, rispettivamente, l'inizio e la fine della voce «Mezzogiorno» dell'Enciclopedia italiana, volume XXIII, anno 1934. Nel 1934 erano circa settant'anni dopo l'unificazione: ora, sono passati ancora circa settant'anni. Con una differenza: ora il tempo è sempre più breve. L'ora della storia sta per battere di nuovo sull'orologio del Mezzogiorno.

Siamo ad una svolta. L'allargamento verso l'est europeo modifica, infatti, radicalmente lo scenario in cui si pone il nostro Mezzogiorno: ne modifica la geografia politica, ne modifica la geografia economica. La nuova architettura istituzionale europea modifica strutture e sovrastrutture, assetti economici ed assetti politici. Per il Mezzogiorno italiano, l'allargamento verso est è un insieme drammaticamente complesso di criticità e di opportunità, di fattori di rischio e di chance di sviluppo.
Rischio, per il nuovo assetto delle politiche di coesione che, necessariamente, risente della asimmetria tra popolazione e produzione, asimmetria che si pone nel rapporto tra il vecchio blocco dei paesi europei e i nuovi paesi che entrano.

Rischio, perché l'allargamento, mettendo in gioco popolazioni relativamente giovani, agisce in termini di competizione e sollecitazione sul fattore strategico fondamentale del Mezzogiorno: il capitale umano, la forza lavoro. Opportunità, per la nuova centralità del Mediterraneo. Nella storia, il Mediterraneo ha visto cedere il suo ruolo due volte, con la scoperta dell'America e con la creazione all'est europeo, nel dopoguerra, di regimi politici chiusi: commercio quasi azzerato, spostamento degli assi verso l'area centrale asiatica o verso il nord. All'opposto, l'allargamento verso est ricrea le condizioni per un grande mercato orientato, via Adriatico, sul Mediterraneo. Opportunità, ancora, perché i prodotti agricoli dell'est non sono competitivi con quelli del sud, ma forse - probabilmente e sperabilmente - scambiabili. L'equilibrio tra criticità ed opportunità dipende dalla politica, la politica dipende dal tempo, e il 2006 è domani. È questa la visione che ispira, in generale, la nostra politica e, in particolare, questa finanziaria. Questo disegno di legge finanziaria si qualifica, in termini quantitativi e qualitativi, su due punti essenziali. In termini quantitativi, questa legge contiene risorse aggiuntive, per i fondi nazionali, per un importo pari a circa 8,5 miliardi di euro, esattamente come previsto nel patto per l'Italia, ed il 26 per cento in più rispetto alla legge finanziaria dello scorso anno. Sommando, a questa voce, i cofinanziamenti alle azioni comunitarie, lo stock di risorse disponibili per il periodo 2003-2006, si arriva ad una cifra oggettivamente record pari a 47 miliardi di euro.

C'è anche un curiosum sul disegno di legge finanziaria di quest'anno. Tale provvedimento eredita gli stanziamenti previsti dall'attuale opposizione, allora Governo. E questo è un dato di fatto oggettivo di cui credo tutti dobbiamo tener conto.

In termini qualitativi, credo che, per il sud, non si tratti solo di un problema legato alla quantità di denaro disponibile, ma anche di velocità delle procedure di spesa. Questo è strategico e fondamentale, dato quello che abbiamo rilevato a proposito

 

dell'allargamento del 2006. È una questione non solo di quantità, ma anche di velocità. L'assetto procedurale in essere, prima della legge finanziaria, è oggettivamente vischioso ed erratico; vischioso nelle procedure, erratico negli effetti. Le scelte di riforma contenute in questo provvedimento sono essenzialmente due: una nuova disciplina dei fondi, mirata ad assicurare maggiore rapidità di spesa con lo spostamento di risorse sugli strumenti capaci di funzionare più efficacemente (serve a monitorare utilizzo ed effetti, a garantire l'effettiva localizzazione territoriale dei fondi); una nuova disciplina degli strumenti cosiddetti automatici, bonus o crediti d'imposta. I nuovi strumenti sono tutti finalmente coperti. Le procedure di utilizzo sono ora trasparenti ed efficienti. Su questa base è possibile programmare tanto il bilancio dello Stato quanto l'attività delle imprese. La discussione che si è sviluppata dopo la presentazione del disegno di legge finanziaria è stata, su questo punto, molto positiva. Il maxiemendamento del Governo ha recepito, su questo comparto, significative proposte di miglioramento; fermi i saldi di bilancio e fermo l'impianto complessivo degli strumenti. L'effetto finale è, nel complesso, positivo.

Ora resta la parte più difficile: attuare. Nei prossimi tre mesi, le amministrazioni centrali e regionali dovranno: garantire di non perdere nulla dei fondi comunitari da spendere entro la fine del 2002; completare la riprogrammazione dei fondi comunitari, mirandoli verso progetti quanto più possibile efficaci; presentare, entro il 31 dicembre, al Cipe, progetti infrastrutturali per circa 1.500 milioni di euro di rapida attuazione, in base all'articolo 73 della legge finanziaria dello scorso anno che introduce, per la prima volta, un meccanismo di premi e sanzioni; istruire la sezione del Cipe che darà attuazione al meccanismo allocativo degli articolo 36 e 37 di questo disegno di legge finanziaria; dare attuazione alle norme riformate del credito d'imposta e degli altri strumenti automatici di sostegno. È fondamentale, da parte del Governo, definire gli strumenti utili per tutelare l'interesse nazionale nella trattativa comunitaria.