“CORRIERE
DELLA SERA”
15 novembre 2002
Cammina da
solo, parla senza pause:la buona salute di Wojtyla stupisce tutti
ROMA - Un Papa che sta bene e che decide lui: è l’immagine
di sé che ha dato ieri Giovanni Paolo II, nelle due ore e mezzo in cui è restato
sotto le telecamere. Alla fine, quando è risalito in macchina, aveva l’aspetto
soddisfatto di chi sa d’essere arrivato - ancora una volta - dove si proponeva.
Ha mostrato di star bene camminando con il bastone per quasi duecento metri,
dall’automobile all’Aula e ritorno. Ha deciso lui di non usare la «pedana
mobile», che era stata prevista. Come ha deciso lui - nelle ultime ore - di non
smussare, per convenienza diplomatica, come pure gli veniva suggerito, le punte
del discorso, a partire dalle parole dedicate ai detenuti.
Eccolo curvo e deciso, che cammina per i saloni che lo portano all’Aula. La
fatica non gli toglie serenità: è lo spettacolo che dà di sé quando entra
nell’Aula, in mezzo all’applauso e si ferma a salutare con la mano. Sale i nove
gradini del palco della presidenza, attaccandosi con la destra al corrimano che
è stato messo lì apposta per aiutarlo. I monsignori che lo seguono non gli
tolgono gli occhi di dosso, pronti a sorreggerlo. Ma non ce n’è bisogno.
Legge con voce sicura questo attacco deciso: «Sono ben
consapevole del forte significato della presenza del successore di Pietro nel
Parlamento italiano». Finito un foglio, lo mette in bell’ordine sul tavolo e
controlla con un’occhiata - prima di continuare - se il foglio che segue è quello
giusto. Nessun inciampo nella lettura, tranne un lapsus, che gli fa dire Pio
IX, dov’era scritto Pio XI, ricordato come «Papa della Conciliazione». Ma si
corregge subito.
Ricorda che «una democrazia senza valori si converte
facilmente in totalitarismo», gli battono le mani e lui rincalza,
improvvisando: «Come dimostra anche la storia del Ventesimo secolo, appena
passato». A ogni applauso guarda attento verso i settori di volta in volta più
calorosi. Aspetta che finiscano e riprende. Coglie benissimo che sono applausi
di parte e quasi si diverte a seguirli, girandosi verso destra o verso
sinistra. Parla filato per 46 minuti: bisogna forse risalire al 1995, quando
fece la sua seconda visita all’Onu, per ritrovare un discorso di queste
dimensioni.
Dunque oggi non solo sta meglio della primavera scorsa - quando si limitava ai
saluti e faceva leggere il grosso dei discorsi a qualcuno del seguito - ma si
direbbe che senta dentro di sé le energie di qualche anno addietro. L’applauso
finale dura due minuti e mezzo. I ministri si alzano in piedi e si girano per
vederlo in faccia mentre gli battono le mani. Il Papa li saluta con un gesto
basso, che raddoppia quello alto rivolto all’emiciclo.
Dice «grazie di cuore» al presidente Casini che gli dona una
riproduzione in argento di una famosa campana di Cracovia. E spiega: «Questa
campana suona nei momenti più importanti della vita della Chiesa e della
nazione polacca».
Infine la fatica forse maggiore: il saluto di un centinaio
di personalità, nella Sala dei ministri. Questi incontri veloci lo sfibrano, ma
non li evita mai e quasi sempre ne esce bene. Ieri benissimo, a stare ai
commenti degli onorevoli.
Uscito dal palazzo, sempre col bastone in mano, sorride mite
a un colpo di vento che gli fa volare via lo zucchetto. Un ultimo saluto alla
folla e risale in macchina, da solo, come da solo ne era sceso.