IL MATTINO

21 giugno 2003

 

La tecnologia salverà il cinema

di Alberto Castellano

Napoli. Dopo quella di Greenaway, un'altra interessante lezione di cinema, stavolta affidata al più internazionale e più sperimentale dei nostri direttori della fotografia. Vittorio Storaro, accompagnato dal figlio Fabrizio, è venuto a Castel Sant’Elmo per partecipare al meeting sul cinema digitale organizzato nell'ambito del Napoli Film Festival e presentare poi alla Fnac i primi due volumi della sua opera sulla fotografia. Ma se Greenaway aveva parlato di morte del cinema, il mago delle luci tre volte premio Oscar (per «Apocalypse Now», «Reds» e «L’ultimo imperatore») è convinto che ad essere finiti siano soltanto certi supporti tecnici tradizionali e il concetto che la tecnologia serva solo al cinema commerciale: «Recentemente, in un convegno organizzato da Cinecittà Digital, si è fatto il punto sulla tecnologia digitale e sul livello di sviluppo dei nuovi standard in cui personalmente credo molto», spiega.

 

Si tratta di standard per il miglioramento qualitativo dell’immagine?

«Certo, anche se rispetto alle innovazioni tecniche che hanno attraversato la storia del cinema, questa è più complessa. L'avvento del sonoro e poi del colore hanno creato almeno in una prima fase delle sfasature tra l'evoluzione tecnica e quella artistica. L'uso della parola ebbe l'effetto di rallentare il ritmo e la mobilità del muto e il technicolor bloccò i contrasti di luci e ombre di matrice espressionista. Con la rivoluzione digitale, invece, è successo l'opposto: si è messa in moto una maggiore creatività, ma senza l'adeguato supporto di formati e qualità dell'immagine».


Qual è allora la prospettiva di quest'evoluzione?

«Il rapporto tra creatività e tecnologia deve raggiungere un livello ottimale. E per ottenerlo bisogna utilizzare l'immagine elettronica ma raddoppiare il formato attuale, elevare lo standard attuale da 2K, che indica un certo numero di milioni di informazioni di immagine, a 4K e aumentare le informazioni di colore e dell'alta definizione. Insomma, il passaggio dalla pellicola tradizionale all'immagine elettronica deve avvenire con il miglioramento qualitativo per il grande e piccolo schermo, per le cassette e il dvd, eliminando quella compressione e quei tagli dell’immagine in cinemascope e panoramico. Deve essere tutelata la qualità non solo per l'autore ma anche per lo spettatore, che ha il diritto di vedere e sentire un'opera sempre nello stesso modo».

 

In Italia ci sono società che stanno lavorando in questa direzione?

«Naturalmente, e la Proxima di mio figlio è tra le più avanzate su questo terreno di ricerca. Insieme, io e lui abbiamo sintetizzato questa strategia di unificazione cinematografica nella formula Univision. Ho cominciato a parlare di nuovo formato nel '94 a Los Angeles, poi l'ho perfezionato e il primo film nel quale l'ho utilizzato è stato “Tango” di Saura».
Lei svolge da anni un'intensa attività didattica, pensa di continuare su questa strada?
«Sì, la trovo di grande interesse: tengo corsi e seminari in America, Russia, Cina e dirigo l'università degli audiovisivi dell’Aquila. Dopo il triennio gli studenti sono impegnati nei laboratori e alla fine elaborano delle monografie visive su vari pittori italiani. Il prossimo anno verremo a presentare a Napoli le prime cinque, alle quali seguiranno quelle su Mantegna, Carpaccio, Caravaggio. Vorrei commissionarne anche una su un artista legato a Napoli, ad esempio Gemito. Sono molto impegnato a trasmettere ai giovani che vogliono fare il cinema la consapevolezza della necessità di coniugare cultura e tecnologia, conoscenza della pittura, della musica e del mezzo cinematografico. Ho voluto raccogliere queste teorie, questi percorsi didattici nei volumi editi da Electa, “Scrivere con la luce” e “I colori”, e proprio in questi giorni sto correggendo le bozze del terzo “Gli elementi”».