corriere del mezzogiorno

19 giugno 2003 

 

            GREENAWAY: “VI PRESENTO IL MIO PROGETTO ANTICINEMA”

Il regista gallese ospite del NapoliFilmfestival con “The Tulse Luper suitcases”.

A luglio sarà premiato a Ischia

 

di Donatella Cataldi

 

Nostalgici della settima arte, addio. Senza esitazione Peter Greenaway, ospite del Napoli Film Festival, si presenta: “Sono un postmoderno, il mio è un progetto anticinema”. Il regista gallese in città solo per poche ore, ha accompagnato ieri il suo ultimo rivoluzionario film, ad alta definizione, “The Tulse Luper suitcases”, cooprodotto da otto paesi, che al festival di Cannes, dove è stato presentato in anteprima, sembrava vicino alla vittoria. Greenaway potrà rifarsi a Ischia, il prossimo luglio, quando riceverà dal ministro Giuliano Urbani il premio “Angelo Rizzoli Audiovisual” attribuitogli dai maggiori produttori cinematografici, nell’ambito della prima edizione Ischia Global Film & Music Fest.

Ad accogliere il regista nella sede del NapoliFilmfestival, il direttore artistico Mario Violini e Luciano Sovena dell’Istituto Luce. L’Ente distribuirà il film nelle sale da ottobre e, come ha sottolineato Sovena, lo ha scelto per il carattere rivoluzionario del progetto che lo include spaziando dal testo letterario a quello elettronico, dalla televisione alla video arte, come evidenziato anche dai produttori italiani.

“Il cinema è morto nel 1983” ha affermato Grenaway. Una breve scorsa al suo curriculum per scoprire che appena un anno prima il geniale gallese realizzava il suo primo lungometraggio.

“Il mistero dei giardini di Compton house” dopo un’intensa attività di pittore che influenzerà la sua produzione cinematografica e dopo i primi pluripremiati media.

“Mi riferisco ormai a più di venti anni fa - ha proseguito - quando l’influenza della tv è divenuta consistente, ma è cambiato il quadro economico e sociologico.  Si dice che un dinosauro muore di lunedì, ma la sua coda continua a muoversi fino al venerdì. Così l’idea nostalgica del cinema. Si tratta di un antefatto noioso a cui è necessario dare una forma nuova. Ad esempio perché ammirare il film in una stanza buia? Perché limitare la libertà di un film facendolo durare 120 minuti? Oppure è giusto non poter riesaminare la pellicola, portarvi nel tempo delle modifiche?

Consapevole che lamentele e rivendicazioni non servono a nulla, Greenaway rilancia con “The Tulse Luper suitcases” il suo progetto.

“Possiamo costruire su quello che esiste ma rivoluzionare tutto servendoci delle nuove tecnologie”. Un progetto ambizioso e collettivo che prevede la trilogia di cui fa parte il film, proiettato ieri sera a Castel Sant’Elmo: novantadue Dvd, quaranta siti web, alcune serie televisive. “The Tulse Luper suitcases” è stato proiettato in cassetta “perché il risultato è ormai lo stesso - ha affermato il regista - come ha ufficialmente dichiarato la stessa Kodak, che presto non produrrà più pellicole”. Un chiaro segno dei tempi. Il film è in parte autobiografico: Tulse Luper il personaggio è nato, come Greenaway, a Newport, nel Galles del Sud, in Gran Bretagna; la valigia è, invece, una metafora della fine del ventesimo secolo.

Per il regista “la popolazione mondiale è molto mobile. Tra gli americani adulti, sono pochissimi quelli che vivono dove sono nati. Così l’idea della tua casa e dei beni raccolti in una valigia è una buona metafora. Porti il tuo bagaglio con te, anche nel senso del bagaglio culturale, ti mobiliti e diventi questa personalità mutevole, eclettica, che raccoglie l’informazione del mondo nell’era dell’informazione”.

Greenaway, che si considera un “uranium baby” (un bambino dell’era dell’uranio) ha sottolineato “The Tulse Luper suitcases”, Storia dell’uranio nel ventesimo secolo. “Non soltanto nel tempo, l’uranio ha avuto un percorso politico e psicologico parallelo alla mia vita, ma è stato responsabile di larga parte della storia della metà e della fine del secolo trascorso”. Greenaway non nasconde l’intenzione di ripresentare il film al festival di Venezia, in una versione rimaneggiata. “Voglio riuscire a recuperare il modo di manipolare  il mondo che è proprio del pittore -ha concluso -. Il prologo del cinema è finito, noi possiamo ora veramente cominciare”.