"IL DENARO"

22 Luglio 2000

GERUSALEMME E IL MIRAGGIO DELLA PACE

Guerre di religione e antiche divisioni razziali nella terra santa: Clinton nel ruolo di mediatore tra i due leader Arafat e Barak

di Michele Capasso

Camp David. 20 luglio 2000. Bill Clinton è furioso. L’occasione irripetibile di lasciare un’impronta nella storia è fallita. I suoi sforzi per assicurare la firma dell’accordo tra Barak e Arafat appaiono vani alla vigilia del suo viaggio in Giappone.

Marsiglia. 6 luglio 2000. Bichara Khader è un palestinese trapiantato a Bruxelles, dove insegna all’Università di Lovanio. Intervenuto ai lavori dell’Accademia del Mediterraneo, mi conferma che il problema fondamentale da risolvere per assicurare la pace tra israeliani e palestinesi è quello del riconoscimento. Fino a quando Israele non riconoscerà Gerusalemme come capitale anche del futuro Stato Palestinese, il problema "pace" e "sicurezza" sarà destinato ad essere irrisolto e Gerusalemme resterà una città divisa e contesa.

Questa città è un "simbolo" per le tre grandi religioni, un intreccio complesso di culture e razze, di Croci, Mezzelune e Stelle di David. E’ la città più controversa del mondo, dove sembra che le ragioni e le rivendicazioni delle controparti siano inconciliabili. In realtà sono anni che i fautori del dialogo studiano le possibili soluzioni.

Nel 1993, ad Oslo, furono firmate le prime trattative di pace.

Oggi, dopo sette anni, di nuovo un’occasione perduta.

Dopo la rottura sventata di ieri, temuta per la dura lettera del premier israeliano Ehud Barak, che lamentava l’indisponibilità palestinese a trattare, si riaprono le speranze di pace. La notizia del rientro a Gerusalemme di Barak, annunciata dalla radio israeliana, aveva scatenato reazioni di profonda delusione nei palestinesi e nello stesso Arafat.

Bill Clinton non ha accettato l’ultimatum israeliano, così come aveva già respinto, martedì, quello palestinese.

Le trattative vanno avanti, continuando l’altalena di successi e insuccessi, di speranze e di delusioni, di ottimismo e di sfiducia, in un’atmosfera "febbrile", come racconta il portavoce della Casa Bianca Joe Lockhart.

Il tempo si fa però breve: si avvicina l’ora del G8 ad Okinawa, dove la presenza di Clinton è già stata rimandata di 24 ore.

Vediamo le ultime ipotesi di soluzione.

C’è quella pragmatica, proposta da Dennis Ross (responsabile del team tecnico americano), di sottoscrivere almeno una "Dichiarazione di principi", articolata in 13 punti.

La seconda ipotesi è di allargare i confini amministrativi della città. C’è chi poi discute anche di dettagli: di autostrade, ponti, tunnel, opere finalizzate a garantire la convivenza all’interno della città.

Ovviamente, il finanziatore di questo complesso quadro ingegneristico e del delicato tentativo di mediazione, è Bill Clinton. Fra poche ore vedremo se l’ingegneria e il denaro daranno i loro frutti. Vedremo se basterà o se al fianco di queste soluzioni si darà spazio al problema di fondo che è l’ "identità" e il "riconoscimento".

Un principio che non si compra e non si costruisce.

Forse è stata una colpa aver diluito le trattative di pace in un iter troppo lungo, pensando che servisse a creare gradualmente fiducia reciproca. Il processo di pace è inarrestabile, ed entrambe le parti si accorgono dell’inesistenza di un’alternativa. Solo un accordo di pace servirà a sconfiggere una indiscriminata "guerriglia urbana", e riuscirà a consentire una convivenza con l’intento comune di pace e sopravvivenza, permettendo il recupero delle identità e delle dignità.

Ecco per quali ragioni il dialogo fra le culture diventa decisivo. Decisivo, come condizione di pace vera; e dunque di uno sviluppo possibile, di una crescita delle società civili in un processo di riconoscimento reciproco. Le condizioni di questo dialogo ci sono, proprio perché le culture del Mediterraneo, e anzitutto quelle a profonda radice religiosa, possono pervenire a una intesa. Il pensiero greco, quello ebraico, quello cristiano e quello musulmano sono occidentali fin dall’origine e possono ritrovare la via per una riscoperta di ideali comuni. Ma anche senza avere una ambizione così pronunciata, le varie culture che si affacciano sul Mediterraneo possono ritrovare – devono – il terreno per un confronto che faccia riscoprire a ciascuna le ragioni dell’altra. Non di un dialogo generale e ideologico si deve trattare, ma innervato in esperienze effettive di cultura, nei saperi che si sono trasmessi e poi diversamente sviluppati, nel lavoro concreto sulle tracce di un passato ancora vivo, nella scienza del mare, dell’ambiente, dell’archeologia comune, del cibo, nei saperi produttivi di tecnica e di trasformazione.

Da qui, l’importanza straordinaria che può acquistare l’Accademia del Mediterraneo, come luogo destinato per la sua stessa vocazione a diventare il terreno comune di questo confronto. Il Forum di Barcellona del novembre 1995 mise in moto altri momenti di dialogo, ma fu, pressoché muto su quello culturale, anche se ne avvertì l’esigenza. Il 10 ottobre 1998, la Fondazione Laboratorio Mediterraneo ha creato l’Accademia del Mediterraneo, compito che le era stato affidato nel dicembre 1997 dal II Forum Civile Euromed al quale parteciparono più di duemila persone in rappresentanza di 36 paesi, proprio nell’idea di aprire in modo profondamente nuovo il dialogo fra le culture, e, nei sensi accennati, fra le tradizioni, i saperi, le tecniche, i modi di vita, la storia concreta delle società. La straordinaria quantità di adesioni che all’Accademia del Mediterraneo sono pervenute, mostra che essa ha toccato una sensibilità che esisteva e che attendeva di essere interpretata e resa operativa. Operativa, anche sul terreno dove il progetto culturale diventa premessa di economia e di sviluppo: l’Accademia del Mediterraneo si è applicata a diventare strumento economico per il Mezzogiorno d’Italia attraverso la definizione di progetti "mediterranei" in grado di accedere ai Fondi europei previsti per Agenda 2000 nell’ambito delle politiche di internazionalizzazione culturale ed economica.

Tutto questo lavoro, guardato in grande, può diventare di decisiva importanza per l’Europa che si sta allargando al di là dei propri confini tradizionali. Essa ha e vuole avere una sua politica mediterranea, che è una politica che guarda a lei stessa e oltre di lei. Il confronto fra le culture renderà più facile questa politica, farà crescere la forza degli interlocutori possibili. L’Europa come soggetto politico in un mondo che diventa globale deve guardare al Mediterraneo come al mare di un grande sviluppo, di pace, di civiltà. La cultura è il cardine di questa possibilità. Hegel diceva che la libertà si sviluppa e cresce sul mare; la sua profezia può diventare verità storica propria quando la globalizzazione in atto chiede a ognuno di ricordare le proprie radici, e di affermarle finalmente nel riconoscimento reciproco.