IL DENARO

 

29 agosto 2003

 

Una sfida da vincere: occorrono capitale sociale e umano, coinvolgimento e sviluppo

 

di Michele Capasso

Nei due secoli che precedettero la fine dello scorso millennio l’Italia del Gran Tour fu un’esperienza unica.

Che cosa gli stranieri vi venivano a cercare?

Molti di essi arrivavano convinti di visitare le bellezze artistiche. In realtà, specialmente a Napoli, ritrovavano una serenità ed una vitalità che solo qui poteva esistere, grazie ad un’antica storia stratificatasi nei millenni e ad un capitale sociale e umano unico e irripetibile.
Stendhal disse: “Provo una sensazione che non ho avuto nemmeno nei giorni della mia giovinezza”; Dumas invece rimase impressionato “da quell’impresario che imprecava contro gli artisti che sbagliavano e contro il pubblico che non capiva”; Théophile Gautier si disperava perché non poteva rendere in una sola frase la luce del sole e il fremito dell’aria e dell’acqua.
Nel Gran Tour Napoli era, in primo luogo, il Vesuvio.

In molti contemplarono l’abisso fumante, tanti pittori rappresentarono quel fuoco incandescente e sontuoso. Seduti presso la bocca del vulcano vedevano estasiati Sorrento, Portici, Capri, Ischia, Posillipo e il Mare delle Vele: quelle bianche dei pescatori che riempivano la costa ricamata di aranci del Golfo di Napoli.

Nel diario di uno di questi viaggiatori, quasi come un’anticipazione di oltre due secoli fa, si legge: “Solo in queste acque è possibile veleggiare, gareggiare, lavorare e contemplare la natura ad un tempo. E’ lo scenario più bello del mondo. Sarebbe bello svolgere qui una gara tra le vele di tutto il mondo”.

Negli ultimi scampoli di questa estate - rovente per il clima e gelida per l’indifferenza per le tante morti (di anziani, di civili innocenti, di bambini) - da appassionato velista - che un tempo ha frequentato la rigida scuola velica di Caprera — ho molto apprezzato gli spunti che, a vario titolo, sono stati forniti al dibattito sulla possibilità di ospitare a Napoli l’America’s Cup. Come quelli pienamente condivisibili del direttore del Corriere del Mezzogiorno e del direttore di questo giornale.

Ho riletto, per dare una risposta a questo interrogativo, alcuni appunti da me stilati nell’ultimo decennio e, alla fine, come per il G7 del 1994, credo che Napoli possa vincere questa ulteriore sfida solo se si verificano, tra le altre, queste tre specifiche condizioni: la valorizzazione e l’utilizzo del capitale sociale e umano, il pieno coinvolgimento di tutti gli attori della società civile, l’attuazione di interventi inquadrati in un programma di sviluppo sostenibile.
Una delle risorse di Napoli è proprio l’unicità del suo capitale sociale e umano.
Tucidide ricordava che “Sono gli uomini che costituiscono le città e non i muri soltanto o le navi senza passeggeri” e Sant’Agostino scriveva: “La civitas non sta nei sassi ma negli uomini”.
A Napoli l’esperienza in materia di dominio politico, quasi sempre straniero, con il conseguente salasso economico delle fasce più deboli, è lunga e varia. A tal punto che il napoletano, ormai saturo e impoverito, ha finito, nel tempo, con il non credere più a nessuno ed a credere solo in se stesso: perché è durato nel tempo assorbendo e rigettando tante forme di sovrastruttura e di fame ed ha accumulato, in questo modo, un sostrato etnico la cui originalità deriva dalla sua affinata capacità vitale. Le prove di questo processo nella storia di Napoli, le cui vicende sono connesse ad un intimo rapporto tra architettura, urbanistica, capitale umano e relazioni sociali. In questo processo è compresa l’area di Bagnoli, che non è un semplice spazio — asettico — ma un luogo particolare ed essenziale della città, in cui il capitale sociale e umano si è formato soprattutto intorno all’insediamento siderurgico dell’Italsider, da tutti mal tollerato. Quella scelta si è rivelata disastrosa ed ha costituito uno dei tanti “picchi bassi” che caratterizzano la parabola discontinua della storia di Napoli. In questa parabola, costituita da linee basse che di colpo diventano “picchi alti”, i parametri dell’ordinarietà e quelli della normalità saltano completamente, ed è proprio quando si è giunti a toccare il picco più basso che scatta quella voglia di riscatto e di riscossa che ha prodotto risultati sorprendenti come nel G7 ed in altre numerose occasioni.

Grazie allo straordinario capitale di umanità e di relazioni sociali è stato possibile — e lo sarà anche per Bagnoli - attuare un “management” del quartiere, attraverso specifiche professionalità competenti su persone, spazi e luoghi: non solo architetti e urbanisti ma economisti, psicologi, ingegneri, antropologi, sociologi, storici, musicologi, ambientalisti, restauratori, artigiani, imprenditori e quanti altri sono chiamati — in un’armonica corale azione di squadra — ad un compito non facile dal cui buon esito dipende una parte importante del futuro della città.

L’America’s Cup rientra tra le sfide importanti per Napoli. Valorizzare il capitale sociale e umano in quest’azione è assolutamente necessario come pure è indispensabile il suo pieno coinvolgimento.
Da tempi lontani molti hanno paragonato le città mediterranee ad “esseri umani”. Napoli, soprattutto, è stata assimilata ad un grandissimo corpo in costante rapporto “fisico” con i suoi abitanti. Ancora oggi, nella tradizione popolare, il muoversi dentro Napoli è indicato dall’uso di preposizioni come ‘abbascio, ‘ncopp, ‘for, in luogo di piazza, vicolo, via, largo e via dicendo: in dialetto si dice “’for’a Marina” in luogo di “via Marina”, “’ncopp’o Vommero”, “’abbascio Bagnoli” e così via.

Questa similitudine consente di paragonare l’azione dei politici, degli architetti, degli urbanisti e di tutti coloro che operano per la città a quella dei medici per un essere umano, con la conseguente assunzione di più alte responsabilità e di un preciso codice etico-comportamentale.
Gli interventi e le azioni che si programmeranno per l’America’s Cup devono tener conto di questo. Napoli è un’estensione iperbolica nella quale si è radicata la falsa convinzione di poter pianificare e realizzare opere importanti isolando “pezzi della città” senza “vedere il corpo” della città: nel nostro caso un corpo fragile e sensibile ad ogni mutamento, capace di reagire improvvisamente in maniera quasi “umana” con sregolatezze volute. E’ come se la città si vendicasse delle violenze perpetrate su di lei.

Occorre, per questo, evitare che gli interventi su Bagnoli richiesti per l’America’ Cup si trasformino in “trapianti violenti” nel corpo della città, perché ciò costituirebbe un’ulteriore sregolatezza dalla quale scaturirebbe una forte vendetta della città stessa.
I programmi economici e la legge di mercato — unico indicatore che, alla fine, influenzerà la scelta del team di Alinghi e del suo patron Bertarelli — non sono sufficienti per assicurare il successo all’iniziativa.

Il rapporto di tutta la città di Napoli, e di Bagnoli in particolare, è innanzitutto un rapporto con la propria memoria e i propri simboli. In molti casi è splendido. In altri ricade nello storicismo che ha prodotto e produce solo “architetture di accompagnamento”, laddove è indispensabile avere “architetture di sostegno”: ecco, quindi, che ogni intervento urbanistico ed architettonico, anche se creato solo per l’America’s Cup, deve concorrere a produrre luoghi - e non semplici spazi — della città, avendo la consapevolezza che Napoli è fatta di parti in continuo rapporto con un insieme che vanno tutte coinvolte in questo processo.
L’Americas’Cup a Napoli può ottenere un grande successo proprio grazie all’applicabilità, nel tessuto di questa città, di due condizioni poco praticabili negli altri luoghi candidati per questo evento: il coinvolgimento e la partecipazione.

Il coinvolgimento, specialmente a Napoli, è quel processo attraverso cui i suoi abitanti, i gruppi, i soggetti in genere, vengono “toccati” emotivamente da un evento, da un problema e assumono la piena propensione a fare qualcosa. Questo coinvolgimento comporta il passaggio dalla passività, dalla dipendenza e dalla delega, all’attività ed alla disponibilità ad assumere impegni e rischi precisi.

Il coinvolgimento costituisce dunque un ingrediente fondamentale per la riuscita dell’America’s Cup ed è una condizione fondamentale per la partecipazione, ma non ne esaurisce la sua funzione: entrambi, in quanto fenomeni pluralistici, si basano sulla creazione continua di reti e di connessioni tra i soggetti e gli attori sociali presenti nella comunità. Nessun’altra città possiede questi requisiti come Napoli.

Nel caso di Napoli e di Bagnoli occorre costituire un luogo del vivere insieme attraverso uno sviluppo sostenibile che risponda ai bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai propri: un grande evento, qual è l’America’s Cup, proprio per la sua portata, risponde ai bisogni attuali (occupazione, sviluppo e promozione della città a livello mondiale, implementazione dei flussi turistici, ecc.) ma, se non correttamente gestito, può compromettere in maniera grave i bisogni delle generazioni future.

Gli strumenti di questa strategia di sviluppo sono soprattutto di natura politica e legislativa e la Città, attraverso l’elezione diretta del Sindaco, è espressione della sovranità popolare e non un limite al suo esercizio: per questo deve costituire, proprio nel caso della gestione di grandi eventi, la sponda istituzionale alla piena partecipazione democratica.

Uno sviluppo sostenibile in equilibrio con l’America’s Cup richiede un’altra dote essenziale propria della città di Napoli che, in passato, ha consentito il pieno successo di eventi importanti e complessi qual’è l’America’s Cup: la sinergia tra senso di responsabilità sociale e potere politico-istituzionale.
A Napoli il senso di responsabilità sociale, più che altrove, è la consapevolezza che le condizioni di vita della comunità ed i problemi che in essa si verificano chiamano in causa tutti, non consentendo di defilarsi di fronte ai problemi definendoli come “problemi di altri”.

Indipendentemente dalle cause che concorrono a determinarli, il senso “napoletano” di responsabilità sociale impone di “fare qualcosa”. A questo punto entra in gioco il potere politico-istituzionale: mentre infatti il senso di responsabilità sociale è sentire che si deve fare qualcosa, il potere è la reale possibilità di farlo, è la possibilità di contare, di decidere realmente, di produrre cambiamenti.

Potere e senso di responsabilità sociale possono assicurare a Napoli, grazie ad una sinergia istituzionale — già sperimentata con successo in occasione del G7 — il pieno successo all’America’s Cup: anche in questo caso a condizione di saper strutturare un dialogo ed un pieno coinvolgimento con tutte le parti della collettività napoletana.

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo, in quanto rete euromediterranea per il dialogo tra le società e le culture, è impegnata da oltre un decennio nell’attivare, promuovere e gestire una rete complessa di organismi e di istituzioni al fine di agevolare il processo di partecipazione sociale e coinvolgimento degli attori della società civile in tutti gli ambiti del partenariato euromediterraneo: per questo motivo, con la sua esperienza e con la sede centrale di Napoli, si propone come luogo di incontro e di dibattito sull’America’s Cup che, se ben gestito e se frutto di un’azione corale di tutte le componenti della città, può costituire l’asse portante per uno sviluppo sostenibile e per il futuro della città stessa nel suo insieme.