"IL DENARO"

7 aprile 2001

SLOBODAN MILOSEVIC, LA RESA DEI CONTI

Confessano i responsabili di eccidi, urbicidi e memoricidi

di Michele Capasso

Zagabria, 8 settembre 1990. Predrag Matvejevic’, presidente del comitato scientifico della nostra Fondazione, scrive una lettera aperta a Slobodan Milosevic’: "I pericoli provocati dalla sua politica, Milosevic’, e le conseguenze che ne derivano porteranno alla rovina la Serbia e la Jugoslavia. Le persone del suo ambiente, che l’avevano avvertita che la situazione nel Kosovo non può essere risolta né rapidamente né facilmente, consigliandola di non fare facili promesse al popolo, sono state da lei ridotte al silenzio oppure delegittimate con un metodo stalinista e brutale. Lei ha risvegliato le passioni nazionalistiche finora sopite e le ha strumentalizzate nel modo più primitivo. Ha abusato della suscettibilità del popolo serbo nei confronti del proprio paese e del suo destino, nei confronti del Kosovo al quale è legata la sua storia e dove si sono conservati a fatica i suoi santuari. Lei ha reso impossibili i tentativi di introdurre nel paese un pluralismo alternativo, impedendo e rinviando elezioni libere e democratiche. Tutto questo lei lo ha fatto al popolo serbo, che per secoli ha aspirato alla libertà. E’ da anni che lei calpesta i diritti umani compromettendo lo stato di diritto e minacciando pubblicamente arresti di persone innocenti, poi fatti regolarmente eseguire. Per città e villaggi, reparti della polizia speciale bastonano ed uccidono senza pietà: come i cento albanesi assassinati con proiettili alla schiena. Le cose peggiorano di giorno in giorno, senza alcuna speranza di una soluzione ragionevole: la ragione è stata fin dall’inizio da lei esclusa dal gioco. Lei ha contribuito più di chiunque altro ad indebolire quelle forze che desideravano conservare la comunità degli infelici popoli jugoslavi. Le sono grati tutti coloro che desideravano distruggerla. Oggi, lei può ancora salvare l’onore con le dimissioni. Domani, questo non basterà più e forse non le rimarrà altro che il suicidio".

Questa lettera fu scritta e pubblicata un anno prima dello scoppio della guerra serbo-slovena, serbo-bosniaca, serbo-croata, serbo-musulmana-bosniaca: alimentata, in massima parte, dalla follia di Slobodan Milosevic’ che, rinchiuso oggi nel carcere di Belgrado, ammette di aver finanziato le milizie responsabili di più di 300.000 morti e di oltre 3.000.000 di deportati. Un urbicidio e memoricidio nel cuore dell’Europa, la più grande tragedia dopo la seconda guerra mondiale.

Algeri, giugno 1985. Il fratello di Slobodan Milosevic – che in quell’epoca inizia la sua "ascesa" politica – è ambasciatore jugoslavo in Algeria. Ad alcuni amici racconta: "Mio fratello Slobo da piccolo, forse perché colpito dai suicidi dei nostri genitori, non voleva mai avere torto. Anche quando giocavamo pretendeva e voleva avere sempre ragione: per ottenerla giungeva a minacciarci di morte".

Napoli, 4 aprile 2001. Luan Starova, membro fondatore della nostra Fondazione, è uno scrittore macedone, a lungo ambasciatore in vari Paesi. Ricordo con lui la dichiarazione del fratello di Milosevic’. All’epoca Starova era ambasciatore jugoslavo in Tunisia: una postazione importante per la Jugoslavia di Tito, in quanto attraverso la presenza della direzione dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) di Arafat a Tunisi, la Jugoslavia aveva accesso a molti mercati arabi con un importante flusso di scambi economici. Ed è proprio Starova a commentare l’enormità della catastrofe provocata dall’azione di Milosevic’: "Le sue confessioni di oggi e quelle che verranno, come un fiume in piena che si diparte dal lago di Ohrid, confermeranno responsabilità note ed introdurranno un problema di vastissime dimensioni: se Milosevic’ ammette di avere armato le milizie che hanno provocato morti e distruzioni, chi pagherà i danni? La Serbia? Sono cifre enormi che opzionerebbero la vita di molte generazioni future. Già Milosevic’ ha distrutto una generazione e limitato il futuro di almeno altre tre future, cosa succederà?". Unica nota positiva nel dialogo con l’amico Starova è il rischiararsi del conflitto tra albanesi e macedoni: la frontiera con il Kosovo, a Blace ed a Globocica, è stata riaperta e, pare, l’arresto di Milosevic’ ha attenuato venti pseudonazionalistici che fomentavano questo ennesimo focolaio di guerra.

Belgrado, 5 aprile 2001. Biljana Kovacevic è il presidente dei giuristi per i diritti umani. L’arresto di Milosevic’ da un lato è stato una liberazione, dall’altro ha messo a nudo una realtà coperta dall’emergenza della tragedia. Non si fida Kovacevic di Milosevic’, nemmeno quando confessa: l’ombra occulta e sciagurata della moglie Mira, sociologa fallita e regista delle nefandezze di questa dittatura, è sempre presente. Con la sua confessione, diretta soprattutto all’attuale governo ed ai politici – molti dei quali ancora a lui legati – Milosevic’ afferma di aver sottratto soldi in maniera illegale (forse anche quelli in contanti trasportati da un aereo in sacchi di juta per acquistare la Telekom serba?) per destinarli alla difesa (che faccia tosta!) del Paese. Spera in questo modo di creare scompiglio e scontri nei fautori, suoi squallidi eredi, di un nazionalismo bieco, facendo credere a dei poveri cristi esausti da anni di conflitti e indigenze che quanti non si schierano con lui non sono veri patrioti. All’Aja, Milosevic’ deve essere giudicato da quel tribunale.

5 aprile 2001. Gran parte dei giornali riportano la notizia "Niente estradizione per Slobo". E’ un’affermazione di Kostunica, presidente attuale della Serbia, che conferma l’intenzione ferma di processare Milosevic’ in Serbia. La "rinascita" del suo popolo secondo Kostunica deve passare attraverso una orgogliosa rivendicazione delle prerogative dello Stato. E proprio in queste ore continuano le confessione-fiume dei pentiti, un tempo compagni di "gioco" di Milosevic’: Mihalj Kertez, ex direttore generale delle Dogane che per suo conto svaligiava le casse dello Stato; Rade Marcovic, il potente ex capo dei servizi segreti autore di omicidi di avversari ed oppositori; Dragan Tomic, tesoriere del partito socialista ed autore di una bancarotta e tanti altri.

Skopje, 5 aprile 2001. Parlo al telefono con Kiro Gligorov, già presidente della Repubblica di Macedonia, membro della nostra Fondazione, ultimo "grande vecchio" dei Balcani ed artefice di un processo di democratizzazione senza precedenti. La saggezza frutto della maturità e di mille traversie lo induce ad evitare di rispondermi sui dettagli della vicenda "Milosevic"; Gligorov va, lentamente, alla ricerca di una motivazione più profonda. Ed alla fine afferma: "La causa principale della vicenda sciagurata di Milosevic’ e di gente come lui è la mancanza di visione: non c’è politica se non c’è una visione, un progetto per il bene comune: anche se bisogna bene intendersi su cosa sia il bene comune. Milosevic’ questa visione non l’ha mai avuta e nemmeno concepita: né per il suo popolo, né per la sua famiglia, per i suoi figli: proprio questo mi ha sempre impressionato, uno statista, anche se dittatore, ha l’orgoglio di istruire i propri figli, magari anche per indirizzarli sulla strada sciagurata tracciata. E invece no, Milosevic’ ha indirizzato i suoi figli in traffici illeciti, in azioni criminali squallide, dimostrandosi perfino orgoglioso di ciò. E’ lo squallore umano più totale che non può mai coniugarsi con l’azione di un politico, anche se dittatore e visionario".