IL DENARO

 

28 ottobre 2003

 

Riconoscere a Napoli il ruolo di baricentro

 

di Mario Mustilli*

L’obiettivo di realizzare un grande mercato che possa congiungere le due sponde del Mediterraneo è all’attenzione della comunità internazionale per due fondamentali questioni.
La prima, sociale, imperniata sulla esigenza di risolvere problemi centrali come l’immigrazione verso l’Europa e lo sviluppo del benessere dei paesi della sponda africana settentrionale; l’altra, economica, che parte dalla considerazione che lo sviluppo economico dell’intero bacino Mediterraneo possa non solo contribuire alla risoluzione delle questioni politico-sociali di cui si è detto, ma rappresenta una possibilità di crescita economica anche per i Paesi europei attanagliati sul mercato globale da un lato dagli Stati Uniti e dall’altro dall’Est asiatico. E’ ciò appare ancora più vero per buona parte del sistema produttivo nostrano, che vede nel Mediterraneo non solo un mercato di espansione, ma anche e di fusione di esperienze tali da promuovere la propria competitività.
Naturalmente la costruzione di un grande mercato di beni, tecnologie e servizi implica anche la realizzazione di un grande mercato finanziario, in grado di trasferire i capitali necessari per gli investimenti. E ciò appare complesso in aree che proprio sul terreno degli aspetti socio-economici esprimono diversità tali da far ritenere non considerabili le ovvie ragioni dello sviluppo. Nel sostenere e investire in questi Paesi bisogna tenere conto di tali diverse impostazioni, che traggono origine da motivazioni culturali, storiche e religiose. Alla luce di queste considerazioni è necessario immaginare un luogo dove operatori di tutti i Paesi rivieraschi possano sapere comporre queste differenze facendo prevalere le ragioni della crescita in comune. In più, un’area commerciale si realizza se esistono operatori finanziari che sappiano interpretare queste diversità, trasferendo nei progetti le logiche dello sviluppo, della crescita e che in tal senso sappiano integrare e non sostituire, allargare e non restringere il campo di azione di organismi finanziari che già a livello europeo svolgono una funzione finanziaria a sostegno dei paesi dentro e fuori all’Unione, come quelli del Mediterraneo.
Da queste mosse prende spunto il progetto di dar vita ad una Banca del Mediterraneo allo studio da alcuni mesi presso il ministero delle Attività produttive, una Banca dedita ad analizzare progetti nei settori delle infrastrutture, delle utilities, dei sistemi produttivi, con particolare attenzione alle Pmi e della formazione nei vari Paesi inseriti nell’area mediterranea, un soggetto pertanto dotato di alta professionalità in grado di analizzare e di verificare con sofisticate tecniche finanziarie — compresa la costituzione di fondi di garanzia - la fattibilità economica degli stessi progetti. Una Banca dotata non solo di proprie risorse, ma anche di elevato know how: le prime raccolte attraverso investitori istituzionali del mercato europeo e arabo, non solo di natura pubblica; le seconde in grado di interpretare l’utilità dei progetti nelle varie aree e la loro redditività. In questo la Banca non potrà che integrare e sostenere e non sostituire l’attività di istituti come le Bei e la Bers, la cui dote principale risiederà però nell’essere le sue risorse in parte provenienti dalle stesse aree oggetto di intervento. Naturalmente l’elevata professionalità delle sue analisi consentirà a tale organismo di aggregare altre risorse finanziarie, intervenendo sui mercati mondiali proponendo agli stessi i progetti di investimento oggetto di analisi. Conoscenze, know how e capitali naturalmente affiancheranno le imprese che potranno intervenire nella operazione di realizzazione di questo grande mercato.
Una Banca di progetti e risorse, con alte capacità, in grado di rappresentare un corridoio verso il Mediterraneo, che metta a disposizione risorse finanziarie interagendo con i soggetti finanziari locali, che sappia disporre di strumenti in grado di attrarre risorse dai mercati mondiali.
Un progetto ambizioso ma con grandi finalità economiche, sociali e politiche che interagisce con le strutture dell’Unione e non le sostituisce, che agevola l’uso di strumenti come il Femip, che allarga l’attenzione agli operatori del mondo arabo. Alla luce di ciò non sarebbe prioritario se la sede di questa Banca fosse a Napoli, piuttosto che a Roma o in un’altra sede: l’importante è realizzarla. Tuttavia, è ovvio che la presenza di una ente del genere a Napoli riconoscerebbe alla città di il ruolo di baricentro che anche in chiave culturale essa svolge nel bacino Mediterraneo ed è altrettanto ovvio che tale presenza consentirebbe alla città di ritornare centrale nei circuiti finanziari internazionali con riflessi su tutto il contesto locale. Al ceto politico nazionale e locale spetta questo compito: realizzare un grande strumento di sviluppo e porvi al centro Napoli.

*economista,
Seconda Università di Napoli