L’obiettivo di realizzare un grande mercato
che possa congiungere le due sponde del Mediterraneo è all’attenzione della
comunità internazionale per due fondamentali questioni.
La prima, sociale, imperniata sulla esigenza di risolvere problemi centrali
come l’immigrazione verso l’Europa e lo sviluppo del benessere dei paesi
della sponda africana settentrionale; l’altra, economica, che parte dalla
considerazione che lo sviluppo economico dell’intero bacino Mediterraneo
possa non solo contribuire alla risoluzione delle questioni politico-sociali
di cui si è detto, ma rappresenta una possibilità di crescita economica anche
per i Paesi europei attanagliati sul mercato globale da un lato dagli Stati
Uniti e dall’altro dall’Est asiatico. E’ ciò appare ancora più vero per buona
parte del sistema produttivo nostrano, che vede nel Mediterraneo non solo un
mercato di espansione, ma anche e di fusione di esperienze tali da promuovere
la propria competitività.
Naturalmente la costruzione di un grande mercato di beni, tecnologie e
servizi implica anche la realizzazione di un grande mercato finanziario, in
grado di trasferire i capitali necessari per gli investimenti. E ciò appare complesso
in aree che proprio sul terreno degli aspetti socio-economici esprimono
diversità tali da far ritenere non considerabili le ovvie ragioni dello
sviluppo. Nel sostenere e investire in questi Paesi bisogna tenere conto di
tali diverse impostazioni, che traggono origine da motivazioni culturali,
storiche e religiose. Alla luce di queste considerazioni è necessario
immaginare un luogo dove operatori di tutti i Paesi rivieraschi possano
sapere comporre queste differenze facendo prevalere le ragioni della crescita
in comune. In più, un’area commerciale si realizza se esistono operatori
finanziari che sappiano interpretare queste diversità, trasferendo nei
progetti le logiche dello sviluppo, della crescita e che in tal senso
sappiano integrare e non sostituire, allargare e non restringere il campo di
azione di organismi finanziari che già a livello europeo svolgono una
funzione finanziaria a sostegno dei paesi dentro e fuori all’Unione, come
quelli del Mediterraneo.
Da queste mosse prende spunto il progetto di dar vita ad una Banca del
Mediterraneo allo studio da alcuni mesi presso il ministero delle Attività
produttive, una Banca dedita ad analizzare progetti nei settori delle
infrastrutture, delle utilities, dei sistemi
produttivi, con particolare attenzione alle Pmi e
della formazione nei vari Paesi inseriti nell’area mediterranea, un soggetto
pertanto dotato di alta professionalità in grado di analizzare e di
verificare con sofisticate tecniche finanziarie — compresa la costituzione di
fondi di garanzia - la fattibilità economica degli stessi progetti. Una Banca
dotata non solo di proprie risorse, ma anche di elevato know
how: le prime raccolte attraverso investitori
istituzionali del mercato europeo e arabo, non solo di natura pubblica; le
seconde in grado di interpretare l’utilità dei progetti nelle varie aree e la
loro redditività. In questo la Banca non potrà che integrare e sostenere e
non sostituire l’attività di istituti come le Bei e la Bers,
la cui dote principale risiederà però nell’essere le sue risorse in parte
provenienti dalle stesse aree oggetto di intervento. Naturalmente l’elevata
professionalità delle sue analisi consentirà a tale organismo di aggregare
altre risorse finanziarie, intervenendo sui mercati mondiali proponendo agli
stessi i progetti di investimento oggetto di analisi. Conoscenze, know how e capitali
naturalmente affiancheranno le imprese che potranno intervenire nella
operazione di realizzazione di questo grande mercato.
Una Banca di progetti e risorse, con alte capacità, in grado di rappresentare
un corridoio verso il Mediterraneo, che metta a disposizione risorse
finanziarie interagendo con i soggetti finanziari locali, che sappia disporre
di strumenti in grado di attrarre risorse dai mercati mondiali.
Un progetto ambizioso ma con grandi finalità economiche, sociali e politiche
che interagisce con le strutture dell’Unione e non le sostituisce, che
agevola l’uso di strumenti come il Femip, che
allarga l’attenzione agli operatori del mondo arabo. Alla luce di ciò non
sarebbe prioritario se la sede di questa Banca fosse a Napoli, piuttosto che
a Roma o in un’altra sede: l’importante è realizzarla. Tuttavia, è ovvio che
la presenza di una ente del genere a Napoli riconoscerebbe alla città di il
ruolo di baricentro che anche in chiave culturale essa svolge nel bacino
Mediterraneo ed è altrettanto ovvio che tale presenza consentirebbe alla
città di ritornare centrale nei circuiti finanziari internazionali con
riflessi su tutto il contesto locale. Al ceto politico nazionale e locale spetta
questo compito: realizzare un grande strumento di sviluppo e porvi al centro
Napoli.
*economista,
Seconda Università di Napoli
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