"IL DENARO"

7 Ottobre 2000

UCCIDERE E MORIRE: PER GERUSALEMME

di Michele Capasso*

Ancora una volta. Ancora a Gerusalemme. Un destino bizzarro (o un progetto scellerato dei "falchi"?) fa coincidere la vicina conquista di una pace duratura con gli eventi sciagurati di questi giorni che sembrano allontanarla definitivamente. E ancora, personalmente, ogni volta che visito Gerusalemme e la Palestina, orgoglioso dei risultati raggiunti nel complesso lavoro di "costruttore" di pace e cooperazione, eccomi coinvolto in eventi che non solo distruggono, come un castello di sabbia, quanto a fatica edificato, ma provocano vittime innocenti e rendono la società civile esaurita nei valori fondamentali della convivenza.

Il rischio è che quando la pace arriverà – perché è fatale ed irreversibile che ciò accada - sarà troppo tardi: ogni sistema di valori ed ogni riferimento culturale potranno essere, allora, definitivamente distrutti.

Bruxelles, settembre 2000. L’Unione Europea incarica la Fondazione Laboratorio Mediterraneo, con l’Accademia del Mediterraneo, di attuare una delle risoluzioni della Conferenza di Stoccarda dell’aprile del 1999: individuare mezzi e strategie per strutturare il dialogo interculturale in ambito euromediterraneo per implementare il processo di pace. Una delle azioni previste, in collaborazione con il Ministero degli affari esteri italiano, è la Conferenza euromediterranea sul ruolo delle diversità culturali, che si svolgerà il 10 ottobre 2000 ad Amman, accompagnata da una commemorazione di re Hussein e da un concerto che sarà eseguito dall’ "Orchestra della Pace", composta da musicisti provenienti dai Paesi euromediterranei ed appositamente costituita.

Amman, 27 settembre 2000. Con la principessa Wijdan Ali e l’ex ministro degli Esteri giordano Kamel Abu Jaber esaminiamo la lista dei partecipanti alla conferenza: il re Abdallah di Giordania, il principe Moulay Rachid del Marocco, il ministro Dini ed altri 200 partecipanti di vari Paesi in rappresentanza della politica, dell’economia e della cultura. Assenti gli israeliani. Forte di una credibilità costruita negli anni con un’intensa attività di mediterraneista, evidenzio la necessità di avere la presenza di rappresentanti di Israele alla conferenza. Non senza difficoltà ricevo l’assenso e, subito dopo, parto per Gerusalemme per individuare le personalità più idonee ad intervenire.

28 settembre, ore 11. Il ponte di Allenby, che costituisce il confine tra Giordania ed Israele, è già il primo segno di un contrasto stridente: pochi, simpatici militari dal colorito olivastro sul confine giordano, tanti efficienti "rambo"(uomini e donne dalla carnagione bianchissima e dall’aspetto nordico) nell’efficiente asettico teminal del confine israeliano. Ci si sente catapultati in una dimensione "occidentale" lontanissima dall’atmosfera "orientale" che si respira a soli pochi metri di distanza. Forse è proprio in questo contrasto stridente una delle cause principali dei conflitti odierni: da un lato l’intreccio di saperi e competenze frutto di una diaspora attraverso i secoli del popolo ebraico e che ha trovato in Israele la sua espressione massima in termini di efficienza e produttività, dall’altro il recupero orgoglioso di identità ed antiche tradizioni tipiche dei Paesi arabi che, molto spesso, si contrappone all’efficienza e produttività prima citate.

Nonostante l’impegno del Ministero degli Esteri israeliano, impiego più di un’ora per "passare" i 6 controlli di Allenby: tutto, compreso i rollini fotografici, viene ispezionato minuziosamente. Un trattamento ancora più complesso viene riservato ai tanti palestinesi accalcati negli autobus: resteranno, in questo luogo che è il più basso del mondo e dove la temperatura sfiora i 40°, per più di 6 ore!

Shmuel Hadas, primo ambasciatore di Israele in Spagna e presso la Santa Sede, mi ha atteso all’uscita ed è dispiaciuto per la lunga procedura. Con lui parliamo subito dell’opportunità di coinvolgere nella conferenza di Amman l’amico Shimon Peres, il rabbino Rosen ad altri. Mentre risaliamo, attraverso il deserto giudeo, verso Gerusalemme la radio israeliana annuncia che Ariel Sharon , capo del Likud, si è inopinatamente recato sulla spianata delle Moschee. Lo sguardo di Shmuel si fa cupo. E’ un uomo di poche parole. Mi dice solo: "è una provocazione, è un atto sconsiderato per rinfrancare un’opposizione da tempo fiacca e per prepararla per eventuali elezioni. Sharon vuole sempre mettersi in primo piano nel suo consueto ruolo di falco. Vedrai quante vittime provocherà !".

Spianata del Muro del Pianto. Ore 12.50 del 29 settembre. Shmuel Hadas mi accompagna in un giro per la città vecchia. E’ il capodanno ebraico, il "Rosh Hashana". E’ pure il mio onomastico. Un religioso ortodoso mi consegna un volantino dove c’è scritto: " Festeggiamo il giorno in cui Dio ha ultimato la creazione di questo mondo, generando Adamo, il primo uomo".

Mai avevo visto nella spianata tanti militari in assetto di guerra, tanti mezzi blindati, tante ambulanze. Mai avevo visto vicino al muro del pianto tanti ebrei ortodossi, vestiti cupamente a festa, pregare, leggere, prostrarsi. Entro nella sinagoga laterale al muro: è invasa di libri e di religiosi, accompagnati da figli grandi e piccoli: tutti leggono, pregano, urlano. Sembrano ossessi, esasperati. Improvvisamente cadono dall’alto della spianata delle Moschee pietre di varie dimensioni. E’ un caos indescrivibile. Veniamo subito allontanati. Tutt’intorno infuria una vera e propria guerriglia. Rabbia e violenza da parte dei mussulmani, incitati da estremisti e ancora memori della provocazione di Sharon; rabbia e violenza da parte dei militari israeliani, che hanno sparato a vista, sia pure con proiettili di gomma, ma che su breve distanza hanno effetti mortali. Sapremo presto che i morti sono 7 ed i feriti più di 200: è l’inizio di una guerriglia che vedrà lordati di sangue, ancora una volta, i luoghi più sacri e più contesi della Palestina. Fino ad oggi più di 60 morti e quasi mille feriti.

Passata la paura, l’analisi e la delusione. Come appare lontano il nostro recente incontro di Marsiglia dove Shimon Peres, allora fiducioso e raggiante, disse che "la lunga notte in Medio Oriente sta per passare e che l’Accademia del Mediterraneo ci condurrà verso la luce": la sua mancata elezione a Presidente di Israele, il fallimento degli accordi di Camp David, la provocazione di Sharon e la guerriglia di questi giorni sembrano allontanare definitivamente la pace.

Ma non bisogna demordere. La pace esiste. E’ una pace bambina, ora strozzata dal sangue.

Sabato, 30 settembre. E’ da poco passato l’una. Razmi è un amico palestinese che mi accompagna a Gerico. Sente il notiziario in arabo ed urla: a Gaza, nel quartiere ebraico, c’è stata da poco una violentissima sparatoria. Il piccolo dodicenne Rami al-Dourrasi era nascosto con il padre dietro un bidone. Viene ucciso da un proiettile che gli perfora il torace. L’amico diventa feroce di rabbia e dice: " so che vi battete per la pace: anche se un giorno verrà, noi palestinesi ci porteremo sempre nella mente lo sguardo pietrificato di questo ragazzino. Gli israeliani pagheranno un caro prezzo".

La sera ceno a casa di Shmuel Hadas con altri amici israeliani. Il piatto tipico del capodanno ebraico è una mela con il miele: "perché il nuovo anno 5761 deve essere dolce". E invece l’inizio è molto amaro.

Hadas sente Shimon Peres. La tensione è palpabile. Peres ricorda l’assassinio di Rabin da parte di un ebreo fondamentalista e i barbari attacchi che portarono alla sua sconfitta nel 1996 ed all’avvento devastante di Netanyahu. Alla fine l’amico Peres, premio Nobel per la pace, continua a sperare e incita tutti noi a non mollare: "la pace – dice - è un’esigenza irreversibile per i palestinesi e per gli israeliani".

E’ sera. Il cielo a Gerusalemme è terso. Si fa buio. Domani l’alba sorgerà. L’alba della insostituibile pace. Con questo spirito ritorno ad Amman per preparare, ancora meglio, la Conferenza.

Qui in Medio Oriente quando tutto sembra perduto resta il futuro. Il nostro.