NAPOLI PIU’

1 maggio 2004

 

Progetto città storica terza via per cambiare

 

 

di Alfredo Capozzi

 

Improvvisamente, dopo che per anni si era assopito, il dibattito culturale e politico a Napoli torna a guardare al centro della città. A quel centro storico che sembra immutabile nella possibilità che vi intervenga con interventi di trasformazione. Poi, la provocazione di Paolo Cirino Pomicino, con la sua indistinta NeoForcella, riporta il dibattito indietro di 12 anni. Al “Regno del Possibile”. A quel tentativo, articolato e complesso, quanto contrastato, ma unico, d’immaginare un’ipotesi globale d’intervento nel cuore della città. Come sia stato possibile l’affermarsi di questo dejavu, è materia di analisi politica sui ritardi che sono stati accumulati in quest’ultimo decennio. Ma tant’è che oggi si riparte dalla “voglia di centro” e dalla “voglia di trasformare”.

Intorno al centro storico si contrastano ipotesi e metodologie di lavoro. Filosofie contrastanti che vanno dall’ipotesi “massimalista” di un radicale intervento di vera e propria “rottamazione” edilizia, fino alla “conservazione” oltranzista disposta a concedere spazi solo a piccoli e marginali interventi di maquillage. Nel mezzo dell’opzione di quanti guardano alla possibilità di tutela, valorizzazione e trasformazione fondata sulla sostenibilità degli interventi, quant’anche siano condivisi e partecipati.

Bruno Discepolo, architetto e presidente di Sirena Città Storica, e Caterina Arcidiacono, psicologa della loro azione e conoscenza, a partire dallo specifico della loro azione e conoscenza, convengono: Sì ad interventi al Centro Storico di Napoli se questi sono “governati”, “sostenibili”, “partecipanti” e capaci di generare sviluppo al resto della città.

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Architetto Discepolo, è possibile intervenire nel Centro storico di Napoli. Come farlo? Con quale metodologia di lavoro?

“Il Centro storico di Napoli, che ha un’estensione di 1900 ettari cioè una media città italiana, non solo non ha superato certi problemi, ma ritrova anche ad affrontarne di nuovi. Al tradizionale immobilismo verso questa parte della città, proprio da poco, si sta sostituendo un’attenzione con interventi e una diversa metodologia di lavoro che fanno sperare in un inversione di tendenza. Interventi con meno appeal mediatico, ma capaci di sviluppare il protagonismo dei privati ed avviare azioni più estese di recupero e valorizzazione del tessuto storico. A Napoli, con il progetto Sirena, sono stati già finanziati quattrocento sessanta cantieri di riqualificazione edilizia, di cui trecento sono già all’opera e se ne prevedono un numero quasi equivalente nel prossimo futuro. Questo significa che c’è ricettività per ipotesi d’intervento che, attraverso incentivi, possono determinare una leva per lo sviluppo di progetti di risistemazione complessiva del territorio. Ma evidente che questo da solo non basta. Una politica urbanistica, che deve intervenire su un territorio così delicato non può soltanto al recupero del patrimonio edelizio privato”.

Professoressa Arcidiacono, lei è una “psicologa sociale”, cioè si occupa di qualità della vita, di benessere, di relazioni tra gli individui de l’ambiente di vita. Ha recentemente pubblicato un lavoro di ricerca che mette in parallelo i centri storici di Napoli, Berlino, e di Firenze e fascino del centro storico. Il suo “osservatorio” costituisce un altro modo di guardare il problema dello sviluppo dei centri storici…

“Se il lavoro di riqualificazione non viene radicato nel territorio, attraverso il vivo colloqui con i soggetti sociali che operano nella dimensione locale, si disperde o va perso. I progetti architettonici e urbanistici sono certo importanti, ma vanno completati e arricchiti da operazione di ricerca in grado di legare concretamente le ipotesi d’intervento con le esigenze quotidiane e concrete dei futuri sociali. Un miglioramento delle strutture che non si avvale delle competenze di politica integrate, è un miglioramento che rimane parziale, anzi vuoto. L’esperienza ci insegna che quando si realizza un piano di sviluppo, la dinamica che si realizza è più o meno la seguente: il territorio fatiscente si spopola gradatamente, il piano di riqualificazione vi agisce per il recupero, i prezzi salgono e la zona diventa appetibile per una fascia speciale di grado superiore. Questa dinamica nella nostra città è già sperimentata. In questo modo si generano delle condizioni di vivibilità che sono stravolte. Se invece si ritiene che i residenti dei centri siano una risorsa, per lo stesso sviluppo del territorio, allora le amministrazioni dovrebbero occuparsi di politiche di sostegno, promovendo un bilanciamento che consenta a chi è residente di poter permanere nel luogo in cui è abituato a vivere, senza che le variazioni in corso glielo rendano economicamente impossibile. La semplice legge del mercato, non risolve il problema dei centri storici”.

Architetto Discepolo, è stato individuato, quindi, un limite dell’approccio, diciamo tradizionale, con cui si guarda ai Centri storici: troppa attenzione agli aspetti urbanistici-architettonici e sottovalutazione delle problematiche di relazione sociale…

“Concordo con i rilievi della professoressa Arcidiacono, ma vorrei sollevare delle questioni di metodo. I numeri dei cantieri del progetto Sirena sono importanti proprio perché in questo progetto si è trovato il giusto equilibrio tra la quantità di risorse che il pubblico poteva impegnare e destinare al recupero dei patrimoni privati e gli interessi dei cittadini. Si è in praticata trovato quell’incentivi attraverso il quale ai privati è stato concesso di diventare protagonisti del processo del recupero del patrimonio edilizio, che sia quello privato, ma che nel momento in cui si attiva  - in modo seriale – allora autonomamente diventa un’operazione di riqualificazione urbanistica e ambientale. Ora un numero così alto di progetti e cantieri è possibile solo perché non grava esclusivamente sulle spalle dell’amministrazione pubblica. Un progetto di questo tipo, che per la verità è stato realizzato anche incontrando le associazione, i rappresentati degli ordini e delle categorie, dagli architetti agli amministratori dei condomini, è pensato per rendere protagonisti i cittadini e quindi radicato sul territorio. Sono gli stessi cittadini a scegliere di aderire al piano, scegliere il progettista e decidere l’entità dell’intervento”.

Professoressa Arcidiacono mi sembra che il suo ragionamento presupponga una capacità assoluta di “governo” di tutti i processi: dalla progettazione alla realizzazione degli interventi, fino alla previsione degli effetti indotti…

“Credo che occorra una visone d’insieme possibile solo se si utilizzano politiche integrate d’intervento. Questo significa essere coscienti del fatto che quando si parla di una necessaria “rieducazione” del cittadino napoletano non dobbiamo intenderla come una semplice opera di propaganda per insegnare ai napoletani ad acquisire una sorta di urbanità. Il rapporto del napoletano con ciò che è pubblico è un rapporto deviato dalla rabbia. L’inciviltà dipenda da un non riconoscimento dello spazio che appartiene a tutti e che in nome di questa appartenenza va difeso e curato. Solo una rieducazione, fondata sull’effettiva partecipazione del cittadino alle vicende del suo territorio, può determinare quel processo di responsabilizzazione che può ridefinire i termini del rapporto pubblico-privato. La collaborazione sinergica delle diverse competenze ed esperienze sul territorio deve mirare a questo fine”.

Architetto Discepolo, sembra una banalità, ma è l’affermazione del principio secondo cui non esistono “teorie” astrette di come è meglio intervenire…

“Il presupposto di questo metodo di lavoro è che lo sviluppo debba essere realizzato con la partecipazione e la complicità della cittadinanza residente, perché solo in questo modo si rende praticabile. Qualsiasi progetto futuro deve reggersi su questa base metodologica. Non siamo più nell’epoca del piano regolatore di tre anni fa, in cui si discuteva sulla “deportazione” dei cittadini del Centro storico per far quadrare i numeri. Oggi, ogni ipotesi d’intervento, tiene in ferma considerazione le esigenze del territorio e della cittadinanza. Sono d’accordo con la professoressa Arcidiacono, il problema non può essere affrontato da un punto di vista aprioristico e teorico. In nessuna città, in cui si sono realizzate buone opere di riqualificazione dei centri storici, si è assunto un punto di vista astratto, e tanto meno questo si può fra notare a Napoli. La questione metodologica dunque è alla base di ogni politica d’intervento si che si guardi al patrimonio privato che a quello pubblico. Anche la riqualificazione dello stesso patrimonio pubblico, infatti, non può rispondere a logiche generali. Ma a programmi di politica integrata capaci di prevedere quanto la riqualificazione della struttura edilizia e della funzione di un edificio pubblico sia più o meno importante per la riqualificazione dell’intera su cui gravita. Ogni ipotesi di sviluppo deve necessariamente dare al termine “sostenibile” l’eccezione di partecipazione, adesione, protagonismo di tutti i soggetti del territorio”.

Concentrare gli interventi, renderli partecipati, ancor più sostenibili, è anche un modo per radicarne l’identificazione con chi poi dovrà vivere gli effetti…

Arcidiacono: “Abbiamo appena cominciato un lavoro di ricerca con un gruppo di studenti del corso di laurea in psicologia e con la Fondazione Laboratorio Mediterraneo, che riguarda il rapporto dei giovani con il quartiere di partenza. Abbiamo imparato che il legame con il quartiere cambia completamente per come ne viene a guadagnare dal livello del suo sviluppo. Il giovane di Ponticelli è abituato a dire “io abito a Ponticelli”, quello del Vomero usa invece un’altra espressione “io sono del Vomero”.  Il legame e l’appartenenza al quartiere dice moltissimo sul suo livello di vivibilità. Ogni progetto deve essere, dunque, guidato da una interpretazione di questo rapporto e soprattutto indirizzato verso una rigenerazione delle logiche di questo rapporto. Ciò che manca principalmente nei quartiere degradati è una fiducia nella possibilità di progettazione nel futuro, che può essere messa in piedi solo attraverso l’utilizzo di una politica integrata. Napoli è una città dotata di un patrimonio relazionale fondato sulle tradizioni e su una cultura dell’accoglienza che è unico e che rappresenta il fulcro da cui far scaturire quei sentimenti di appartenenza su cui vale la pena scommettere far pensare al futuro”.

Discepolo: “Io ho fatto un’esperienza particolare preparando lo studio di fattibilità per il progetto pilota del “bassi” nei quartieri spagnoli. Li, c’è una piazzetta in cui fu realizzato un primo tentativo di riqualificazione. Se la si vede oggi si ha l’impressione che quell’area sia stata rifagocitata dal degrado, prechè a piazza è stata del tutto vandalizzata. Di contro a questo rilevammo una altro dato fondamentale. Nelle parallele di Via Toledo, ovvero nelle zone che maggiormente avevano avvertito i miglioramenti derivanti dalla riqualificazione dell’arteria principali, notammo che nel numero dei bassi che sarebbero dovuti rientrare nelle competenze del progetto, solo una piccola parte era ancora abitata ad abitazione privata. Si era realizzato, ovvero, un processo di autorigenerazione, si potrebbe dire, per gemmazione. Questo ci insegna che dove si è riusciti ad innescare un processo integrato di riqualificazione urbana economica e sociali si sono avuti dei risultati che sono andati al di là anche del progetto iniziale. Dove si interviene in materia avulsa da qualsiasi logica di integrazione allora ciò che si realizza è destinato a perdersi”.