CORRIERE DELLA SERA

7 maggio 2004

 

Matvejevic, c’è un islam che mi fa sperare

E’ quello moderato, perseguito in Bosnia. E distrutto dal vero nemico, l’ideologia

 

 

 

TORINO – “Oggi pomeriggio approfondirò il concetto di laicità, un tema che finora in Italia non è stato affrontato seriamente”. A parlare è Predrag Matvejevic, lo storico e linguista nato a Mostar da padre russo e madre bosniaca, che è consulente del Comitato dei saggi per il Mediterraneo del Consiglio dell’Ue nonché membro del Comitato scientifico del “World political forum”, voluto da Michail Gorbaciov con l’intento di suggerire ai politici strade diverse dal conflitto per la soluzione delle crisi internazionali.

Matvejevic torna oggi alla Fiera del Libro, alle 15, nel convegno “Le religioni e lo Stato”. Tra i relatori: Enzo Bianchi, Chistos Yannaris, Nadir Mohamed Aziza, Lea Samel,Gianni Long e, appunto, Predrag Matvejevic, così spiega la sua affermazione sulla laicità: “porto un esempio: in Italia c’è una rivista che ha per sottotitolo “Settimanale per credenti e laici”. Opporre queste due categorie è un’abitudine italiana. Si può essere laici e credenti al contempo. Il termine laico nasce dal volgare greco laos, che nel latino medievale diventa laicus a designare chi non era direttamente collegato alla chiesa, come i monaci che davano un aiuto in cucina e, infatti, venivano chiamati monaci laici. Il significato di laicità si allarga durante la Rivoluzione francese. Poi, nel 1905, c’è un altro allargamento con la legge, sempre francese, che separa Stato e chiesa in un Paese cattolico. Prendiamo il caso della scuola, per dirla con Jules  Ferry: la scuola non dev’essere né cappella né tribuna né teatro. Ma in Italia come in Germania l’idea di laicità venne poi confusa con la secolarità e ciò che crea inutili contrapposizioni e facili malintesi”.

Proprio in Francia una legge proibisce il velo nelle scuole: è favorevole a questa scelta?

“In un primo momento lo ero. Bisogna però tener presente che in Francia esiste anche un integralismo laico. Il punto importante è invece far Dialogare Stato e memoria. Il tribunale di Chieti ha accolto una richiesta di un musulmano che voleva fosse tolto il crocifisso in classe. Io lo considero un errore perché quello del Crocifisso è una tradizione, è memoria. Così come tradizionale è l’uso del velo. Esporrei il mio punto di vista in materia con una domanda: è più fruttuoso che una ragazza frequenti una scuola laica indossando il foulard o meglio che a scuola non ci vada proprio? Credo che la riposta sia scontata.

Che cosa pensa dell’ipotesi di porre nella Costituzione europea il riferimento alle radici giudeo-cristiane?

“Non credo che una costituzione sia un luogo per simili formulazioni. Tutto ciò sta scritto nella nostra storia, è incancellabile”.

Il dialogo tra Stato e memoria che lei propone è rilevante anche nelle relazioni internazionali?

“Molto, faccio qualche esempio. La guerra balcania, che fu vista come guerra di nazionalismi ed etnie, è stata di fatto una guerra di memorie, lo dico da testimone, ma nessuno pareva capirlo. Come non capiamo che oggi gli arabi hanno una forte memoria del colonialismo subito. Da qui bisogna partire se si vuole istaurare un dialogo ed è qui che la cultura prende o, meglio, dovrebbe prendere il suo posto. Gli arabi mi chiedono spesso come mai l’Europa abbia un rapporto privilegiato con Israele. Non lo sanno. Io, pur in pieno distacco dalla politica di Bush e Sharon, spiego che lo Stato di Israele nasce da una responsabilità storica dell’Europa, quella della Shoah: un’altra memoria indelebile”.

Le religioni, almeno in apparenza, sono diventati soggetti politici, specie nel mondo arabo.

“Questo accade quando la fede diventa ideologia. Io non credo allo scontro di civiltà teorizzato da Huntington. Le vere civiltà e perciò vere culture non si scontrano in quanto tali, altrimenti ogni sviluppo culturale sarebbe lo sviluppo di conflitto potenziali. Soltanto le culture alienate al punto da trasformarsi in ideologie si scontrano. L’islam affronta un problema vissuto dai cristiani nei secoli precedenti. L’alternativa è: modernizzare l’islam o islamizzare le modernità. Noi abbiamo modernizzato il cristianesimo abolendo i roghi e l’inquisizione, senza toccare la Bibbia o i Vangeli. Credo che gli arabi possono fare una lettura simile del Corano”.

E saremo noi a convincerli?E’ come?

“La difficoltà è culturale: oltre al colonialismo subito, gli arabi non hanno avuto l’illuminismo. Di certo non possiamo convincerli con la guerra, che rende l’Islam più aggressivo. Potremmo cominciare dal dialogo, rispettando le seguenti differenze: l’islam e l’islamismo non sono la stessa cosa, l’islamismo e l’integralismo islamico non sono la stessa cosa, l’integralismo e il fondamentalismo non sono la stessa cosa e anche nel fondamentalismo possiamo distinguere tra una componete mistica e una struttura aggressiva, anzi terrorista. Con queste distinzioni evitiamo di guardare tutto l’islam come fonte di terrore e poniamo le basi per un dialogo per civiltà. Del resto, noi avevamo un modello dell’islam moderno da proporre, ma l’abbiamo distrutto”.

Ci racconti.

“L’islam della Bosnia era europeo e moderato, fatto di laici che seguivano la fede islamica. Anziché riconoscerlo e prenderlo come modello da contrapporlo al modello dei fanatici, abbiamo permesso il suo annientamento. A Srebrenica quelli che io chiamo i talebani cristiani anno ucciso 7.000 musulmani sotto gli occhi delle truppe olandesi dell’Onu. Il risultato che i pochi musulmani di Bosnia rimasti si stanno orientando verso un islam aggressivo, senza precedenti in Europa, grazie agli aiuti che giungono dall’Arabia Saudita. Noi, del resto, li abbiamo lasciati soli a morire. Probabilmente è tardi per rimediare. Ma questa ferita serve da esempio: è una lezione che la storia ci dà e non possiamo trascurarla.