"IL DENARO"

16 novembre 1996

Sindaci a Venezia: i suoni delle acque

di Michele Capasso

Domenica 3 novembre 1996. Sto rileggendo Fernand Braudel "L’Adriatico è forse la regione marittima più coerente. Da solo, e per analogia, pone tutti i problemi impliciti nello studio dell’intero Mediterraneo. Più lungo che largo, si presenta come una lunga strada nord-sud...". Costeggiando l’Adriatico su un treno lo osservo. Questo mare un tempo si chiamava "Golfo di Venezia" ed era il più celebre del Mediterraneo. Prima e dopo ebbe il nome di Adriatico, non sempre. Il mare spesso lo vediamo soprattutto come altri lo hanno guardato. Nelle immagini e nelle parole che ci hanno lasciato. Vive nella nostra memoria. I Greci e i Romani chiamavano l’Adriatico a volte "mare", altre volte "golfo" questo dualismo sarà legato al suo destino. Dall’Adriatico si può uscire soltanto nella direzione ovest-est una via opposta a quella seguita dalla fede cristiana. Chissà se lo scisma e l’eresia in questi territori sono in qualche maniera rapportabili a queste direzioni non credo sia possibile decifrare tutto ciò. La capitale di questo "golfo" è Venezia. Una città magica che vive una lenta agonia. Diversa secondo la stagione, la luce del giorno, il buio della notte, l’effetto del sole, l’umidità della pioggia, la densità della nebbia. L’ultima visita a questa città mi ha profondamente scosso "La Fenice" distrutta, pochi palazzi illuminati sul Canal Grande, tanti avvolti da una funerea oscurità. Dovunque travi fradice e gonfie d’acqua, alghe verde scuro che come muschio avvolgono pietre, bitte, ferri, ponti, pontili. Le vecchie assi, i tronchi conficcati nelle fondamenta ed altri strani oggetti marciscono. Anche le pietre, a loro modo, sembrano morire. L’umidità invecchia tutto il ferro è divorato dalla ruggine che a volte diventa sfarzosa, a Venezia. La patina sembra quasi una doratura. Nei miei ricordi compaiono le immagini della grande mareggiata del 1966 l’acqua alta invase la città divorando ogni cosa...

Venezia, lunedì 4 novembre 1996. Trent’anni dopo si ricorda quell’evento questa volta la marea è bassa. Le fondamenta mostrano gengive nere dietro una nebbia che si taglia con un coltello. L’ha dovuta fendere anche Oscar Luigi Scalfaro per più di un’ora. Non ha voluto mancare all’appuntamento con i sindaci d’Italia riuniti nella laguna e con il Concerto nella basilica di San Marco. Un percorso musicale che ha abbracciato ciascun ascoltatore sin dal primo contatto con la Basilica dai "Suoni d’acqua veneziani" alla "Benedizione del fonte", dall’"Alleluia", nelle sue versioni gregoriana, ambrosiana e ortodossa, a una composizione di Schubert sul testo di Goethe che riporta alle antiche scritture e alla simbologia dell’acqua il Canto degli Spiriti sopra le acque, recitato in italiano, arabo, ebraico e greco. Nucleo centrale del concerto è stato l’alternarsi dei canti sacri delle quattro religioni abramiche. Le religioni cristiano-cattolica, cristiano ortodossa e islamica sono state rappresentate da tre complessi che si sono mossi nella basilica in forma processionale i gruppi cattolico e ortodosso hanno percorso le navate laterali fino all’altare, mentre quello islamico ha attraversato la navata centrale fermandosi sotto la cupola, in un’accettazione della vicinanza, ma anche della diversità rispetto alle altre Fedi. La religione ebraica ha avuto un ruolo molto particolare nell’articolazione della drammaturgia musicale poiché è stata rappresentata da un cantore solista che ha eseguito canti paraliturgici, per la sinagoga e la vita di ogni giorno, legati all’esperienza dell’uomo nella grande tradizione yiddish e al viaggio della fede ebraica. Certamente San Marco nella storia significa musica. Due grandi maestri di San Marco erano presenti nel concerto con brani di opere immediatamente riconducibili alla simbologia dell’acqua i Salmi Davidici di Andrea Gabrieli, i cui testi si riferiscono alle "grandi acque che irromperanno senza poter inghiottire l’uomo che è affidato a Dio", e il capolavoro della spiritualità, il Vespro della Beata Vergine, di Claudio Monteverdi. Un insieme di eventi così complesso aveva bisogno di una solida strutturazione, trovata nello scandire le diverse parti del concerto con Frammenti d’acqua, drammaturgie sonore che gradualmente (Sposa d’acqua, Acqua madre, Acqua matrigna, Acqua marea, Acqua granda, Figli d’acqua, Resurrectura) hanno riportato la mente al tragico evento di trent’anni fa.

L’articolazione del concerto si è svolta secondo un percorso che ha toccato spazi molto importanti dell’architettura, quasi una lettura della partitura del grande monumento veneziano. La serata ha mostrato però anche un altro aspetto, legato alla simbologia dell’acqua, così presente nei magnifici mosaici e sottolineata dai mezzi dell’illuminotecnica che hanno concluso il concerto con un’illuminazione totale della chiesa.

Il presidente della Repubblica Scalfaro, il ministro Napolitano, il patriarca Marco Cè, i sindaci Cacciari, Rutelli, Bassolino ed altri – presenti all’assemblea nazionale dell’Anci – hanno dovuto rispettare una collocazione per settori imposta dal maestro Italo Gomez, ideatore dell’evento. La scelta di San Marco, non solo sede, ma anche coprotagonista di questa drammaturgia musicale, è un riconoscimento del ruolo di Venezia e della basilica nell’affermazione dell’unità storica nelle diversità culturali e religiose del Mediterraneo. Proprio sul Mediterraneo, sulla sua importanza per il compimento dell’Europa e sui conflitti che oggi lo lacerano profondamente, ha nei giorni scorsi discusso un gruppo di intellettuali di diversi Paesi mediterranei, riunitosi per redigere il documento di indirizzo programmatico del progetto "Culture dei mari" in esso ci si impegna a sostenere la nascita di "una cultura intermediterranea che abbracci la pluralità e le differenze che dia un nuovo significato ai concetti di relazione, scambio, solidarietà". Chi scrive, insieme a Predrag Matvejevic;, Nedim Gürsel, Khaled Fouad Allam ed Egi Volterrani, membri della Fondazione Laboratorio Mediterraneo, ha aderito al comitato scientifico dei garanti di questo progetto dedicato al Mediterraneo, alla sua musica, alla danza, al teatro, al cinema e alle arti visive. Nato per volontà degli Enti locali, il programma è stato proposto inizialmente da sette aree italiane (Trieste, Sassari, La Spezia, Potenza, Cosenza, Siracusa, Pescara), alle quali si sono successivamente aggiunte altre province e città. Le pluralità e le differenze si valorizzeranno attraverso il dialogo. Le diserzioni di questi giorni nel Parlamento della Repubblica Italiana sono una rinuncia al confronto: un pericolo per la stabilità e per la democrazia. Sembra trascorso tanto tempo da quando tutti i sindaci d’Italia sono stati "invasi" dalle acque della solidarietà e della tolleranza nella basilica di San Marco. Eppure i sindaci a Venezia hanno dato un buon esempio. Martinazzoli, sindaco di Brescia, parlando pochi minuti, con correttezza, ha assunto posizioni antifederaliste stimolando i sindaci al dialogo e facendo prevalere le diverse anime dell’Anci. Per due giorni i sindaci si sono lamentati. Hanno un obiettivo concreto. Vogliono diventare un soggetto politico preciso, un interlocutore delle istituzioni. Come dar loro torto L’attuale forma dello Stato Italiano è accentratrice si giustificava in un paese uscito da un dopoguerra disastroso, quando era richiesto un forte dirigismo per rinascere. Oggi siamo di fronte ad una gabbia per i singoli cittadini, per le comunità e gli enti locali. Occorre disegnare una nuova forma di Stato con una equilibrata distribuzione dei poteri tra Regioni, Province, Città. Il problema è che passare dalle parole ai fatti è difficile. Il pericolo, espresso da Massimo Cacciari, è che il "sistema si dissolva in maniera anarchica". Sarebbe un disastro. Un’alluvione la cui "acqua alta" potrebbe sommergere tutti.