30 ottobre 2004
di Giorgio Battistini
ROMA – “Viva l’Europa”. Tra le dite la flute di spumante per il brindisi, Carlo Azeglio Ciampi dà il benvenuto alla nuova Costituzione degli Europei, nel salone delle Feste del Quirinale. Carta solenne, la miglior garanzia che “gli spettri degli Anni Trenta non torneranno a turbare le menti delle generazioni future”. Un repertorio condiviso di diritti e valori utile anche (o soprattutto) per immunizzare dai rischi di nuove guerre nel vecchio continente. Le parole del presidente, durante il pranzo di Stato al Quirinale con i venticinque capi di Stato e di governo che hanno prima voluto e ieri “valicato” la nuova Carta, indicano nella Costituzione Varata poco dopo mezzogiorno in Campidoglio (stesso salone degli Orazi e Curiazi in cui nel ’57 nacque il primo embrione d’Europa comune) il “nuovo vincolo che unisce i popoli europei”.
Un legame che, in attesa delle
ratifiche nazionali (il governo italiano ha presentato già ieri sera il testo
per l’approvazione definitiva del Parlamento) “dà sostanza alla cittadinanza
comune” che unisce i 25 paesi dell’Unione, consentendo loro di “riconoscersi in
un’unica comunità di valori”. Un atto che “ci allontana definitivamente da
quell’abisso di tragiche guerre intestine” che riempì la prima metà del secolo
scorso, quando “la civiltà dell’Europa fu prossima a distruggersi”. Ora
quell’Europa che diede origine a due guerra mondiali è diventata “una vera
comunità di popoli, uno spazio di pace e libertà, un modello per il mondo”. E
la Costituzione che s’è data raccoglie ideali e valori dei suoi patri fondatori
senza i quali “non potremo trovare risposta ai problemi fondamentali per il
comune futuro”.
Non è solo materia arida per
apparati burocrati della politica. Già nel 1800 il filosofo a patriota Vincenzo
Cuoco ricordava, avverte Ciampi, che “alla felicità dei popoli sono più
necessari gli ordini degli uomini”. Oggi diremmo che gli uomini passano, le
istituzioni bastono.
Le parole del capo dello Stato
suggellano, all’ora di pranzo nel salone delle Feste del Quirinale (assente
solo Blair per precedenti impegni a Londra) l’intensa è l’alto significato
simbolico d’una giornata che raccolto nella capitale italiana i 25 governanti
di 470 milioni di europei, per sottoscrivere un testo che verrà poi sottoposto
a parlamenti o a referendum nazionali. Giornata carica di simboli e ricordi,
come tutti hanno rivelato al microfono e nelle conversazioni private che hanno
accompagnato le dieci ore di “diretta” con la Storia. Dieci ore cominciate alle
dieci di mattina, col saluto di Berlusconi sulla Pizza del Campidoglio e
l’affaccio di tutti, a turno, dal balcone dell’ufficio del sindaco Veltroni sui
resti archeologici della Roma imperiale. Vertigini di storia. Ora, nell’enfasi
d’una giornata tra passato e futuro, anche Silvio Berlusconi (europeista
d’ufficio, non sempre convincente) dice che “l’utopia dei padri fondatori è
diventata una meravigliosa realtà”, l’Unione europea unita “è, e sempre sarà,
un plebiscito quotidiano”. Ma attenzione: dobbiamo avere ben presente che
“nessuna Costituzione, nessuna situazione politica o giuridica vive di vita
propria”. Tocca a Romano Prodi (presidente uscente ma prorogato per alcune
settimane grazie all’astuto Bottiglione) spiegare il senso
politico-istituzionale della Carta comune. Essa “introduce elementi innovativi
che renderanno l’Ue più democratica, efficace, trasparente”. Più democratica
perché le “leggi europee dovranno essere, nella loro grande maggioranza,
adottate congiuntamente da Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri”.
Mentre per la prima volta i cittadini “potranno contribuire direttamente alla
nascita di leggi europee”. Il presidente della Commissione confessa con
rammarico, nel giorno delle festa, d’aver sperato nell’adozione di maggioranze
decisionali più ampie di quelle alla fine scelte. In ogni caso, tagliando con
le polemiche di questi mesi sul grado di “avanzamento” reale della Costituzione
stessa, Prodi si limita a ricordare che essa “compie un passo avanti rispetto
ai trattati esistemti”.