LA REPUBBLICA

15 dicembre 2004

 

 

 

L’ultima scommessa di Peres “Io e Sharon per la pace”

 

 

di Alberto Stabile

 

TEL AVIV – A 18 anni compiuti ad agosto, Shimon Peres sta per comunicare con la baldanza di un quarantenne una nuova stagione della sua lunga carriera politica. Con due scopi principali: rilanciare l’intero processo di pace, a partire dal ritiro da Gaza voluto dal premier Ariel Sharon, mantenere saldamente la guida del partito laburista, contro il rinnovato assalto del più giovane Ehud Barak. A vederlo, inappuntabile, dopo una notte trascorsa a vegliare sul difficile negoziato con il Likud, si direbbe che l’impegno e le battaglie sono il suo elisir.

Signor Peres, lei sta per entrare in un governo votato a realizzare il piano di ritiro da Gaza ed una piccola porzione della Cisgiordania, con l’intenzione molto più ambiziosa di riaprire il processo di pace. Il premier Sharon è consapevole che questo è il suo obiettivo?

“Si questo è il nostro obiettivo e la nostra ragione principale. Altrimenti non avremmo nessuna ragione di entrare”.

E’ anche l’obiettivo di Sharon?

“Ritengo di sì”

Pensa, dunque, che sarà possibile ampliare il ritiro dalla Cisgiordania oltre ai quattro piccoli insediamenti di cui il piano di disimpegno prevede l’evacuazione?

“Penso che dopo che questo ritiro sarà concluso, dovremo ritornare al programma della Road Map e applicarlo gradualmente. In politica preferisco il salto in lungo, piuttosto che il salto in lato. E’ meglio tentare di progredire in lunghezza, invece che in altezza, perché in questo secondo caso, se cadi, rischi di romperti  le gambe”.

Il ritiro da Gaza avverrà in coordinamento ed in accordo con i palestinesi? Pensa che sarà possibile addirittura anticipare il ritiro, come qualcuno ha suggerito negli ultimi giorni?

“Anticipare il ritiro sarà molto difficile. Il coordinamento sarà fatto in modo pragmatico”.

Vuol dire senza un accordo scritto?

“No, con un coordinamento di ordine pratico”.

Dieci anni fa, lei ha ricevuto il Premio Nobel insieme al Primo Ministro Rabin ed al Presidente Arafat. Alcuni anni dopo, Arafat è stato praticamente incarcerato a Ramallah dal Governo israeliano. Pensa che Arafat si sia meritato il Premio Nobel?

“Il Premio Nobel viene conferito per il passato e non per il futuro e con Oslo abbiamo raggiunto due successi basilari , il primo è stato che ad Oslo abbiamo creato il Parlamento palestinese che non esisteva – e non si può arrivare alla pace senza un Parlamento – ed il secondo è stato che abbiamo raggiunto un accordo sul territorio basato sui confini del 1967 e non su quelli del 1947. I confini del 1947 sono stati stabili da una risoluzione dell’Onu e davano ai palestinesi il 45% del territorio della Cisgiordania ma mentre con i confini del 1947 si tratta solo del 24%. Quindi Arafat ha fatto delle concessioni molto serie. Si è trattato di una vera breccia……”

i confini del ’67 sono ancora validi come base di un possibile accordo?

“Certamente, con alcune modifiche”.

Secondo i confini del ’67, però, Israele si dovrà ritirare da molti degli insediamenti della Cisgiordania. Pensa che Sharon sia d’accordo?

“Ci sono diverse idee, ci possono essere alterazioni, scambi di territori. Non è necessario che le cose ritornino esattamente come prima, ci sono delle alternative. Per evitare lo smantellamento completo degli insediamenti, è possibile concentrarli in un determinato territorio e darei ai palestinesi un risarcimento in un’altra zona.

E tuttavia, undici anni dopo gli accordi di Oslo, lei sta per cominciare a lavorare con un dei critici più duri di quegli accordi. Ritiene che sia possibile una vera collaborazione fra lei ed il premier Sharon?

“La collaborazione non è una cosa che ha valore in sé, è una collaborazione per una meta. Penso che Sharon abbia cambiato idea, molto di più di quanto lo abbia fatto io. Non siamo mai stati nemici, ma adesso Sharon ci è venuto incontro, affinché noi potessimo venire incontro a lui”.

Secondo lei, per quanto tempo ancora Israele potrà opporre il rifiuto alle avances di pace del Presidente siriano Bashar Assad?

“Se Assad vuole pace, deve dichiararlo in modo chiaro e venire a Gerusalemme o invitare a Sharon a Damasco. Non può vergognarsi, deve fare quello che hanno fatto Sadat e Hussein, per cui tutte queste manovre, secondo me, non sono serie. Quando ho negoziato sotto gli auspici americani con suo padre, nel pericolo in cui ero primo ministro dopo la morte di Rabin, mi hanno chiesto se ero pronto a fare la pace con i siriani prima delle elezioni di novembre 1996. Dissi che ero pronto. Quindi, il mio messaggio ad Assad fu: “Se vuole fare la pace, incontriamoci e facciamola”. La sua risposta fu che era disposto ad incontrarsi con me, ma non poteva fissarmi una data. E’ sempre la stessa storia”.

Lei è un maestro della diplomazia e sa benissimo che per incontrarsi, andare o venire, è necessario un lungo lavoro di preparazione, ma se Israele dice sempre no e no e no…

“Abbiamo già quaranta o cinquant’anni di lavoro di preparazione con i siriani, sono loro che non si muovono”.

Siete disposti a ricominciare dagli accordi orali cui aveva acconsentito Rabin?

“In nessun modo. Dobbiamo cominciare senza alcuna condizione”.

E se loro dicessero: “Va bene. Senza condizioni”?

Se dicono va bene, ma poi non fanno nulla contro i terroristi, contro gli Hezbollah, se non sono disposti ad incontrarsi, che cosa significa questo “Va bene”? inoltre, penso che prima di tutto Israele deve concludere gli accordi con i palestinesi. Non ho bisogno di altri problemi ed altre soluzioni. Per il momento siamo pieni di lavoro con i palestinesi, quando i siriani saranno seri, allora parleremo. Abbiamo fatto speculazioni per tanti anni e non è riuscito nulla”.

Secondo i giornali, se vanissero accolte tutte le richieste presentate per lei dal suo partito, rimarrebbe molto poco da fare la Ministro degli Affari Esteri, Shalom. Pensa che il governo possa funzionare con due Ministri degli Esteri?

“Questo non è un problema che mi riguarda. Perché due Ministri degli Esteri? Il ministro degli Esteri è il ministro degli Esteri”.

Ehud Barak l’accusata di “avere rubato” il partito. Cosa risponde?

E’ una stupidaggine. La questione era se ci dovessero essere votazioni segrete o per alzata di mano (al comitato centrale dei Laburisti, n.d.r.) perché lo statuto del partito prevede che si deve eleggere qualcuno, la votazione deve essere segreta, mentre se si deve scegliere l’argomento di dibattito, lo si fa per alzata di mano, a meno che età dell’assemblea non voglia diversamente. Il presidente dell’assemblea ha chiesto che vi fosse una votazione segreta e prima ancora che si decidesse su questo punto, Barak è saltato sul palco. Che cosa vuol dire? Il partito è forse una proprietà privata? Com’è possibile “rubarlo”?.

Signor Peres, lei è un giovane ottantenne. Non pensa di andare in pensione?

“andare in pensione da che cosa? Non cerco un posto, tento solo di dare una mano a fare la pace e finché non posso dare un contributo, perché dovrei andare in pensione? Davvero cerco solo di rendere un servizio alla pace. Dal mio punto di vista, posso farlo in molti modi: nel governo e fuori, cercando le condizioni migliori. Non sono impaziente di fare di nuovo parte del governo, per me è come tornare al Kindergarten, e so posso dare il mio contributo, io lo darò. L’età non è un crimine”.