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IL MARE DELLE CITTA'

Benvenuti nel Mare delle Città. La Fondazione Mediterraneo ha sviluppato le proprie attività specialmente attraverso una piena collaborazione con le principali città euromediterranee e costituendo, a tal fine, la consociazione "Euromedcity".

Ogni città, in una sua misura, vive dei propri ricordi. Le città mediterranee, probabilmente, più delle altre. In esse, il passato sempre fa concorrenza al presente. Il futuro si propone più a immagine del primo che del secondo. Su tutto il perimetro del "Mare Interno", la rappresentazione della realtà si confonde facilmente con la realtà stessa.

Il discorso sulla città mediterranea si sviluppa prevalentemente in termini di storia e di geografia, di architettura o di urbanistica, senza esaurirvisi. Si nutre di evocazioni di diverso tipo o di reminiscenze, di approssimazioni. I modi "di approccio" e di quelli "di raccontare" non pervengono a legarsi o ad unirsi. Riprendono la maniera in cui Marco Polo avrebbe potuto descrivere al grande Kublai Khan le città incontrate nei suoi viaggi, Italo Calvino racconta "città invisibili", e formula a questo proposito alcuni avvertimenti molto preziosi: "non dobbiamo confondere la città stessa con il discorso che la descrive, per quanto esista un evidente rapporto tra l'una e l'altro".

L'idea di un Mediterraneo costituito da molteplici rotte, marittime e terrestri, presuppone scali diversi: punti di partenza e di arrivo, approdi e porti, "una rete di città che si tengono per mano", come dice lo storico Braudel. Sono luoghi che cambiano in continuazione, pur conservando i loro tratti più riconoscibili. Le trasformazioni fanno insorgere nostalgie. In tal senso, il discorso sulla città mediterranea si fa sentimentale. Ciò vale ugualmente per l'immaginario che l'accompagna.

Alcuni specialisti sostengono che in area mediterranea le città non nascono come altrove - in quanto evoluzione di un villaggio - anzi, sono esse a originare villaggi tutt'intorno e a determinarne la funzione. Una nomenclatura piuttosto comune si compiace di evocare e di presentare ordinatamente diverse serie di elementi, di fenomeni o di caratteristiche riguardanti l'organizzazione o il funzionamento della polis o della politica: costruzioni e istituzioni, statuti e cerimonie, amministrazione e catasti, bandiere, blasoni e sigilli, piazze pubbliche, torri e fortezze, scalinate, "castelli in aria".

Bisogna sapere distinguere, meglio di quanto non si faccia abitualmente, le città costiere nel senso comune del termine dalle città portuali vere e proprie. Nelle prime, i porti sono stati spesso costruiti per necessità, mentre nelle altre sono comparsi in modo assolutamente naturale. Gli uni restano quasi sempre pontili d'imbarco e di sbarco o ancoraggio, gli altri diventano spazi particolari, talvolta dei mondi. Non è possibile immaginare il Mediterraneo senza quei porti.

Sono città che "ci seguono dappertutto", a quanto dice il poeta di Alessandria: ci inseguono persino nei sogni. "La città non possiede per sua natura quell'unità assoluta che alcuni le attribuiscono". Questa considerazione, così premonitrice, ci proviene dall'antichità, formulata dallo "Stagirita". Tre giorni dopo la presa di Babilonia, ricorda ancora Aristotele nella "Politica", "un intero quartiere della città ignorava l'avvenimento". Le città che hanno componenti troppo eterogenee o ripiegate su sé stesse, sono votate alla perdizione. Secondo un altro avvertimento, che figura nella "Repubblica" di Platone, "la città non dovrebbe mai estendersi oltre il limite in cui, pur essendosi ingrandita, conserva la sua unità".
Questi saggi consigli sono stati seguiti raramente.

Le città mediterranee hanno avuto la loro evoluzione perdendo o ritrovando unità o coerenza nel passato o nel presente. Il loro splendore e, in modo altrettanto evidente, le loro eclissi ne portano cicatrici. Oggi esse condividono numerosi problemi con le città continentali, distanti dalle coste. Si tratta di questioni di conservazione o di gestione, di esiguità di spazio o di estensione eccessiva, di pianificazione del territorio e di salvaguardia ambientale, di costruzioni abusive o selvagge, di immigrazione o di rigetto, di comunicazione tra cittadini, tra "vecchi abitanti" e "nuovi venuti", dei mutati "diritti della città".

Alcuni di questi problemi, che dipendono da un ordine di cose più generale, si presentano in tutta l'area mediterranea, anche se di volta in volta in modo specifico. Le città più antiche sono caratterizzate da una complessa stratificazione: una certa verticalità piuttosto difficile da proteggere e da gestire. In esse le connessioni con uno o più centri storici si combinano con le relazioni tradizionali o nuove che legano la città al suo porto. Quanto all'orizzontalità urbana, essa rischia di perdere le proprie caratteristiche a forza di estendersi e di rendersi uniforme. In questo modo, una identità dell'essere (architetture, costumi, linguaggi) non riesce più a incontrare una identità del fare adeguata, indispensabile.

In questo gioco di "forme" e "contenuti" male assortiti, la città si rifugia spesso nella sua memoria, per non tradire sé stessa. La maggior parte dei vecchi porti del Mediterraneo non ha più la stessa importanza che aveva una volta sui mappamondi. Alcuni si rassegnano ad essere soltanto "porti turistici". Altri si ristrutturano secondo esigenze contingenti, poco rispettose delle loro peculiarità.

Sulla sponda meridionale, le "città petrolifere" non sono sorte da una maturazione del rapporto produzione/demografia, ma da una situazione congiunturale quasi aleatoria, inaspettata. Durante la stesura di questo testo, ho avuto occasione di venire a conoscenza, in punti diversi della costa magrebina, di neologismi quali "bazarizzazione" o "sukizazione". Più di un credente islamico si lamenta del fatto che nelle città moderne la medina non occupi più il posto che meriterebbe (nel Corano la parola medina è citata diciassette volte, per enfatizzare l'importanza dell'habitat sedentario rispetto al nomadismo). Certi testi di urbanistica, pubblicati con l'aiuto dei ricchi paesi petrolieri, denunciano il "dualismo" che si manifesta sotto forma di "modelli urbani ibridi, poco osservanti del codice islamico e della Shari'aha", ed esigono "la salvaguardia del retaggio culturale dei paesi mussulmani". Le relative trasgressioni, se è il caso di chiamarle così, non sono soltanto conseguenza dei misfatti del colonialismo: basterebbe, a sostegno di questa affermazione, una passeggiata per le vie di Tunisi o di Algeri, o soprattutto di Istanbul, (Taksim Meydani) e persino di Tripoli.

Abbiamo potuto sentire lamentele analoghe da parte di credenti di altre religioni, cristiani o ebrei: lo spazio consacrato è diminuito, rispetto al passato, tanto ad Atene che a Napoli, a Barcellona o a Dubrovnik. Si tratta in questo caso di una certa laicizzazione delle città che hanno visto in passato, o ancora incontrano ai nostri giorni, gli spettri del fanatismo o dell'intolleranza? Sembra probabile. Non dovremmo lamentarcene troppo.

Da qualsiasi punto di vista, non si troveranno facilmente modelli urbani allo stato puro. "sono gli uomini che costituiscono le città e non i muri soltanto o le navi senza passeggeri", ricorda Tucidide, all'alba dell'età storica. Gli uomini di cui parlava si sono mescolati nel corso dei millenni. Nessuna "epurazione etnica" riuscirebbe più a separarli compiutamente gli uni dagli altri.

E' possibile immaginare la città senza ricordare le città del Mediterraneo? Esse sono a tal punto impresse nella nostra memoria che qualsiasi degrado dovessero subire non basterebbe a cancellarle, e nemmeno a renderle sgradevoli.

Michele Capasso
Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo

Predrag Matvejevic'
Presidente del Comitato Scientifico Internazionale
della Fondazione Laboratorio Mediterraneo

 

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Michele Capasso
Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo

Predrag Matvejevic'
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