Srebrenica 1995-2005: un monito per l’Europa
Dieci anni dopo le
immagini della strage di Srebrenica e, più in generale, della guerra nella
ex-Juogoslavia infieriscono davanti ai nostri occhi ormai disabituati a
quello spettacolo: più di 200.000 morti, 2.000.000 di deportati o esiliati,
città e villaggi in rovina, ponti ed edifici, scuole ed ospedali distrutti a
colpi di cannone, monumenti di cultura o di fede profanati, violenze e
torture di ogni specie, stupri di massa e umiliazioni, campi di
concentramento ed epurazione etnica, «urbicidio» e «memoricidio» ,
innumerevoli esistenze di gente semplice mutilate o lacerate per sempre.
La sofferenza umana non
si lascia riassumere. Si può andare oltre? Questa domanda l’abbiamo rivolta
allo stesso tempo agli aggressori e a quei Signori che hanno fatto così poco
per fermare questa guerra nel cuore della Bosnia e della Croazia, ai confini
con il Mediterraneo, nella stessa Europa: evidenziammo, già dieci anni fa,
un’ONU inadeguata ai cambiamenti del nostro mondo; una NATO rimasta
prigioniera della guerra fredda; una Unione Europea senza una dimensione
politica ed un potere statale capaci di guidare l’Europa; una Russia che
tentava invano di riprendere il ruolo dell’ex Unione Sovietica dibattendosi
in una crisi politica e culturale immane; una UNPROFOR incaricata di un
ruolo nelle stesso tempo assurdo e paradossale e cioè quello di «mantenere
la pace» là dove non c’è che la guerra; tutti quei giochi, appena
mascherati, delle grandi potenze e dei loro interessi, dei «cessate-il-fuoco»
mille e una volta violati, degli accordi costantemente traditi, dei patti
derisi e dei negoziatori resi ridicoli, delle risoluzioni internazionali
ignorate, dei convogli umanitari divenuti essi stessi vittime della rabbia
omicida.
Le tappe di quel Calvario
si chiamano Srebrenica, Gorazde, Mostar, Bihac, Vukovar, Dubrovnik con
Sarajevo all’inizio e alla fine, più di 1.000 giorni nelle tenaglie di una
guerra fratricida, che battono il triste record dell’assedio di Leningrado.
La Bosnia Erzegovina,
multinazionale e multiculturale, è stata allora mortalmente ferita e, con
essa, la nostra fede in un mondo in cui il pluralismo nazionale e culturale
dovrebbe essere possibile e assicurato: la brutalità e le barbarie sono
state incoraggiate dall’inerzia e dall’indifferenza.
L’Europa si è dimessa in
Bosnia, i suoi governi hanno negato la loro responsabilità e l’hanno gettata
gli uni sugli altri. Maastricht è moralmente capitolata davanti a Srebrenica
e Sarajevo. I valori e i nostri principi di base sono stati beffati, la
nostra dignità è giunta nel punto più basso.
Ispirata da un ideale di pace e sostegno dei diritti dell’uomo, ma
affermatasi in una prospettiva economica che a Maastricht è divenuta
economicismo assoluto, la progressiva unificazione dell’Europa è moralmente
crollata.
L’Europa, che aveva
basato la sua stessa esistenza sulla capacità di assicurare la pace senza
guerre ed occupazioni, ha fallito questo suo obiettivo in Bosnia e, in
generale, in ex Jugoslavia, dimostrando che il cammino da percorrere è
ancora lungo ed irto di ostacoli.
Davanti a una tale
umiliazione, a noi intellettuali euromediterranei, non rimane altro che
gridare la nostra collera - anche se nel deserto, come è accaduto tanto
spesso nel passato – e impegnarci, in ogni consesso, per la creazione degli
Stati Uniti d’Europa: per assicurare la pace, l’eguaglianza sociale e la
democrazia.
Il no deciso dei popoli
di Francia e d’Olanda a un Trattrato costituzionale che intende congelare
l’Unione Europea nelle strutture ibride attuali, in cui il potere
decisionale è soprattutto in organi non elettivi, e affermare come unico
principio un neoliberismo sfrenato già contestato anche nel campo dei
conservatori americani, mostra che la coscienza dei popoli europei ha inteso
i rintocchi funebri che suonarono allora e risuonano oggi riscoprendo
l’ennesima fossa comune ma lasciano indifferenti coloro che dovrebbero
decidere per noi o a nome nostro.
Oggi, dopo dieci anni dai
massacri di Srebrenica, indirizziamo queste parole ai politici ed a ciò che
resta della coscienza sulle nostre rive: lavoriamo, tutti insieme, per
costruire la nostra Europa, contro la burocrazia che produce “democratura”,
per rafforzare il dialogo con il Mediterraneo e completare l’Unione Europea
e il Partenariato euromediterraneo includendo tutti i Balcani, senza i quali
non sarà mai possibile una vera pace e lo sviluppo condiviso.
Agli amici del
Mediterraneo, dell’Europa e del Mondo domandiamo loro di unirsi a noi
affinché le centinaia di migliaia di vittime, a Srebrenica come altrove,
non siano state sacrificate invano.
Napoli, 6 giugno 2005
Appello scritto da
Predrag Matvejevic’ e Michele Capasso.
Primi
firmatari:
Caterina Arcidiacono,
Walter Schwimmer, Claudio Azzolini, Nullo Minissi.
Per aderire inviare
una e-mail a
info@medlab.org
Oppure un fax al numero 081 420 32 73 |