APPELLO AI POPOLI DEL SUD-EST EUROPEO
La Nato s'installa nella guerra. Una guerra che è europea ma è
condotta sotto la direzione e secondo i criteri americani, una guerra che è
moralmente legittima ma è priva d'un fondamento giuridico, che potrebbe
venire soltanto dall'Onu. Una guerra soprattutto combattuta non in maniera da
impedire le umiliazioni, le violazioni, i massacri programmati e preannunziati
ma in maniera da rispondere alle esigenze della politica interna americana, che
ha due fini. Il primo è punitivo: punitivo del popolo serbo, non solo
perché responsabile d'una politica nazionalista e di genocidio e disposto
a tutte le infamie per realizzarla, ma perché colpevole di non obbedire
alle ingiunzioni della grande potenza dominatrice del mondo. Il secondo è
cautelativo: mettere la Serbia in condizioni di non poter sostenere domani una
vera guerra contro la Nato nel caso "dichiarato improbabile" che questa
riceva l'ordine di iniziarla. C'è anche un sottinteso razzista: la vita
d'un soldato occidentale vale di più di quelle di migliaia di persone non
occidentali. Il principale compito della Nato infatti è non mettere a rischio
i propri uomini, fare una guerra a "perdite zero". Lo stesso compito
- non va dimenticato - che portò le truppe dell'ONU a collaborare di fatto
con gli assassini di Srebenica, tanto che il Tribunale Internazionale voleva processare
il loro comandante ma ne è stato impedito dai governi europei. Le
conseguenze di questa strategia sono disastrose per la Nato. Essa dimostra:
1. Che i governi europei facenti parte della Nato non hanno alcun potere di
decisione e dunque che l'Unione Europea non è e non può essere un
riferimento nel mondo poiché manca d'una politica internazionale autonoma
e unitaria, guidata da principi propri, definiti e sicuri. 2. Che i nuovi membri
della Nato - Polonia, Ungheria, Cechia - non hanno alcuna voce: essi sono entrati
in un'organizzazione difensiva e si sono trovati subito a fare parte d'un'offensiva
senza essere consultati. 3. Che gli USA, massima potenza occidentale, possono
agire nel mondo senza sottomettersi all'ONU e anche senza coinvolgerla nelle proprie
scelte. 4. Che gli USA sono una grande nazione che ha una potenza mondiale,
ma manca d'un governo capace di rispondere ad una missione mondiale e di ogni
forma di rispetto e compassione verso i popoli e comunità in situazioni
tragiche. Con gli abiti insanguinati che bruciano nei campi profughi ai
margini dei Paesi limitrofi del Kosovo brucia adesso dunque anche la carta dell'Onu,
bruciano i principi della Rivoluzione francese e vanno in fumo tutte le speranze
d'un mondo più umano che erano sorte dalla tragedia della seconda guerra
mondiale. Immagini d'umiliazione e dolore e sconfitta morale dell'Occidente: questo
è il risultato d'un intervento venuto troppo tardi, pianificato come prova
della potenza della Nato e non come protezione degli oppressi. Che si
può fare? Spetta ora ai popoli del Sud-Est europeo dare la risposta. Alla
Macedonia per prima, poiché è il Paese che ha mostrato la più
grande capacità di democrazia, agli altri che le sono vicini e meno vicini
e che finora si sono male sciolti dai condizionamenti del passato: all'Albania,
così investita dagli eventi, che deve scegliere tra farsi travolgere oppure
trarre occasione per uscire dalla condizione di centralismo impotente e organizzazioni
illegali troppo potenti e risorgere finalmente con una vera democrazia; alla Bulgaria,
che potrà trovare nella collaborazione serena con i vicini la forza per
la trasformazione moderna cui tende e di cui è capace; alla Grecia che
deve capire da questi eventi quanto sono nocivi i discorsi aggressivi del suo
Patriarca e quelli nazionalistici di alcune frange politiche e come essi possono
essere semi di future sciagure; Alla Turchia che ha bisogno d'una nuova svolta
che sia grande e profonda come quella compiuta un tempo da Atatürk. La Turchia
può ritrovare l'unità nazionale aprendo un dialogo con i Kurdi,
suoi fratelli musulmani, che assicuri loro nel quadro dello Stato unitario le
autonomie amministrative e le libertà di tradizioni e di cultura ed anche
una rappresentanza nelle più alte sedi politiche. I Kurdi a loro volta
devono rendersi conto che la loro comunità storico- linguistica può
riaffermare la propria identità e rifiorire nelle proprie tradizioni anche
in seno a unità politiche più vaste. Si guardi agli accordi che
l'Ungheria ha firmato con la Slovenia e con la Romania e se ne prenda esempio.
Ciò che l'Occidente non ha saputo fare, lo facciano gli Stati del Sud-Est
europeo. Essi in questo modo potranno entrare in Europa non come i poveri nella
casa del ricco ma come coloro che hanno un prezioso bene da apportare: un patrimonio
morale, un patto di stabilità, di pace e di sviluppo. I popoli del Sud-Est
europeo devono ricordare che i nazionalismi non sono il patriottismo, non costituiscono
un'antica virtù ma un male recente: essi sono una forma avvelenata di esaltazione
di sé contro l'altro, qualunque altro, che è sorta nel secolo scorso
e si è affermata come forza politica devastatrice in Europa agli inizi
del secolo scorso. L'Europa si è liberata del nazionalismo con la seconda
guerra mondiale. Spetta adesso ai popoli del Sud-Est europeo: questi infatti hanno
troppa ricchezza di tradizioni popolari e dotte per lasciare cadere questa occasione.
All'egoismo americano, all'ignavia europea essi mostrino di essere i veri eredi
delle grandi culture mediterranee: cristiana, islamica e laiche, le quali tutte
nel loro momento di splendore sono state profondamente umane e vengano all'unione
con l'Occidente portando come grande dono la rigorosa morale politica che l'Occidente
ha smarrito.
Napoli, 10 aprile 1999
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