LA REPUBBLICA

2 gennaio 1997

 

 

Alle radici dell’odio

 

di Predrag Matvejevic’

 

“Famiglie, io vi odio!”, è stato ripetuto spesso, forse troppo. Qualche volta è il caso di farlo. Tra l’altro ci hanno abituati a “lavare i panni sporchi solo in famiglia”. Si raccomanda anche “di trattare la nazione come fosse una vera famiglia”. Fa parte di una educazione patriottica.

Sappiamo inoltre quanto si rischi a rivelare cose poco gradevoli per i nostri compatrioti. Sono stato tentato di firmare questo scritto con uno pseudonimo. Certe confessioni portano male. Altre ispirano vergogna. L’appartenenza si esprime difficilmente per negazione.

Alcuni spunti di questo testo sono stati evocati in altre circostanze, vi ho già accennato in varie occasioni: “Un dramma shakespeariano nella tragedia jugoslava”. Molte cose restano da completare. Non pretendo di spiegarle. Bisogna però forse ricordare in questo esordio che alcuni particolari possono assumere tutt’altra proporzione se organizzati in un insieme. Quando vengono legati e uniti tra loro significano qualcosa di più o di diverso.

Per maggiore chiarezza, il narratore esporrà questo materiale in quattro atti (nel senso teatrale del termine), considerando come una specie di prologo quanto scritto finora. Nella lista degli attori, compaiono diversi personaggi noti: presidenti, alti dignitari, ufficiali e officianti, i loro capi e i loro servitori. Lo spazio in cui si svolge l’azione è un mondo “ex”, più precisamente la ex Jugoslavia.

Circostanze particolari: un armistizio che tiene luogo di pace.

 

Atto primo

Certi elementi dell’intrigo sono già conosciuti: il padre di Slobodan Milosevic era un teologo ortodosso. Si è dato la morte con un colpo di pistola ben prima che suo figlio diventasse l’uomo forte di Serbia. La madre del suddetto Milosevic si è impiccata, così pure uno dei suoi zii. In quell’epoca, Milosevic era attivista della Gioventù comunista. La sua adolescenza deve essere stata segnata da quelle prove. Tuttavia non ne resta traccia visibile sulla faccia dell’uomo adulto. Un comportamento apparentemente sicuro di sé ed energico – o abile – gli ha permesso di imporsi ai generali del cosiddetto “esercito popolare jugoslavo”, incitandoli a puntare i loro cannoni sulle genti della Jugoslavia, in Croazia e in Bosnia, a Vukovar e a Sarajevo.

In una lettera aperta pubblicata a Belgrado alla vigilia della guerra, nel 1990, gli ho proposto di dimettersi, per non essere poi costretto a “ricorrere a sua volta al suicidio”. I presidenti non seguono i consigli degli scrittori.

 

Atto secondo

Il padre del presidente croato Franjo Tudjman si è suicidato dopo aver ammazzato la moglie, la matrigna del sunnominato presidente. Ciò accadeva dopo la seconda guerra mondiale: Franjo Tudjman era allora maggiore o colonnello dell’esercito jugoslavo e risiedeva a Belgrado. Negli anni Ottanta, quando era già al potere in Croazia, tentò di presentare quel triste episodio famigliare come un oscuro assassinio perpetrato dai comunisti. Citò anche un testimone, un vecchio partigiano di origine croata, che per parte sua smentì categoricamente quell’”invenzione”. In realtà, è poco credibile che la polizia titoista abbia eliminato, senza alcuna ragione, un membro delle più alte istituzioni antifasciste della Liberazione, per di più padre di un alto ufficiale che si preparava a diventare generale dell’esercito di Tito.

Nel 1995, l’attuale presidente croato si è permesso di dichiarare, forse imprudentemente, che già nel 1942, deluso da quello stesso comunismo che avrebbe accettato di servire con tanto zelo per più di due decenni ancora, era pronto ad uccidersi. Ha addirittura mimato alla televisione un gesto suicida, senza portarlo a termine, e senza rendersi conto della sconvenienza di un simile spettacolo. (Gli ho proposto di dare le dimissioni con una lettera aperta scritta in occasione della distruzione del “Vecchio Ponte” di Mostar, la mia città natale; ma i presidenti non seguono i consigli degli uomini di lettere nemmeno in Croazia).

Il drammaturgo deve astenersi dall’insistere su questo caso, per via della malattia di cui soffre attualmente il suo personaggio, malattia di tutt’altra natura, che potrebbe portare notevoli imprevisti allo sviluppo della tragedia che sta attraversando il paese. Per ora gli auguriamo una guarigione completa.

 

Atto terzo

Il generale Ratko Mladic è, come si sa, ricercato dal tribunale penale internazionale dell’Aia per “genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra”. Malgrado un’apparente destituzione, sembra conservare tutta la sua autorità sull’esercito serbo in Bosnia, in violazione flagrante degli accordi di Dayton. Sua figlia, messa a confronto con il male incarnato dal padre, ha scelto nobilmente di togliersi la vita, quando ancora i cadaveri sotterrati in tutta fretta vicino a Srebrenica non erano del tutto irrigiditi. L’odio che Ratko Mladic manifesta contro i croati e più ancora verso i bosniaci di origine musulmana si spiega forse meno con la propaganda della “Grande Serbia”, sostenuta da numerosi intellettuali “liberali”, che non con un altro fatto doloroso: suo padre fu ucciso dagli ustascia durante la seconda guerra mondiale. (Parlerò più avanti del ruolo della memoria tragica).

 

Atto quarto

Radovan Karadzic, ex capo supremo della Repubblica serba di Bosnia, detta fino a poco tempo fa “autoproclamata” ed ora privata di quell’epiteto, nello stesso tempo psichiatra e specialista dell’epurazione etnica, si vede anche lui ricercato dal Tribunale dell’Aia per “crimini contro l’umanità”. Generalmente si ignora che suo padre fu accusato nell’ex Jugoslavia, ben prima di quest’ultima guerra, di avere commesso nello stesso tempo violenza carnale e incesto ai danni di una ragazza minorenne, unita alla sua famiglia da legami di sangue. (Devo dire di non aver avuto tra le mani l’incartamento completo relativo a quella condanna: molti documenti rimangono inaccessibili in certe parti della Bosnia). Quell’atto prefigurava, si dice, tutti gli stupri di cui tante musulmane sarebbero state vittime, insieme ad alcuni uomini.

La poesia di Karadzic, di qualità penosa, “cantava” la distruzione delle città ben prima che i mortai lanciassero i loro obici su Sarajevo. (Mio padre era un russo nato in Ucraina: potete immaginare i miei sentimenti quando, più di un anno fa, venni a sapere che l’Associazione degli scrittori russi a Mosca, aveva conferito un premio letterario a quel carnefice per la sua opera poetica. Sempre in Russia, ha ricevuto anche la Croce di Sant’Andrea per i “suoi meriti di uomo di stato”.

 

Didascalie

I luoghi stessi possono, in una drammaturgia di questo genere, svolgere un ruolo che i non iniziati spesso trascurano. (La famosa “maledizione dei luoghi” è conosciuto fin dai tempi di Omero). L’operazione “Tempesta”, che si effettuò nel 1995 nella regione della Krajina, in Croazia, celebrata con trombe e tamburi, ha provocato l’esodo di più di centomila serbi che vivevano là da molti secoli, difendendo l’Europa centrale dalle invasioni asiatiche. Non sono stati soltanto gli estremisti a doversene andare in esilio, ma anche tutta una popolazione passiva di civili che vorrebbero tanto rientrare nelle loro case, anche se saccheggiate e incendiate.

Il grande artefice di quella operazione fu incontestabilmente il ministro croato Gojko Susak, che non nasconde affatto l’appartenenza di suo padre al movimento ustascia e che si è persino fatto vedere per televisione mentre salutava i suoi accoliti con la mano alzata. Rari erano gli ustascia che non avevano le mani lorde de sangue; tuttavia non so niente di suo padre. Proprio nella regione della Krajina, nell’ex Jugoslavia, nel corso della seconda guerra mondiale, c’è stato il numero di massacri più elevato. (Non sono in grado di confermare se l’operazione “Tempesta” sia stata davvero preparata da alcuni specialisti americani, congedati dall’esercito, che avevano imparato la pratica della guerra in Vietnam, e altrove).

Nella tragica geografia della nostra storia certi paesi della Bosnia come Foca, Gorazde o Srebrenica hanno il loro posto: in quei luoghi, tra il 1942 e il 1943, migliaia di musulmani furono ammazzati dai cetnici serbi. La Drina, descritta in modo sublime da Ivo Andric, divenne rossa di sangue. (Allora ero bambino e non l’ ho vista).

Scrivendo le mie confessioni su Il Mondo Ex ho cercato di dimostrare come la memoria costituisca una delle fonti quasi fatali della guerra nel mio paese. Molti intellettuali, un po’ dovunque, parlano della memoria con entusiasmo o con disinvoltura: vorrei metterli in guardia.

Ho detto all’inizio che il dramma jugoslavo sembra una tragedia shakespeariana. Rileggo Riccardo III: quei morti, quegli assassini, isterie, ipocrisie, epurazioni d’ogni specie, apparizioni, il mostruoso Duca di Gloucester e il perfido Buckingham, l’insignificante Edoardo IV, la sventurata Margaret, diventata una specie di erinni…

Le somiglianze tra vita e letteratura sono ben note. Le relazioni tra geopolitica e genetica lo sono meno. Non si tratta più semplicemente di storie di famiglia.