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Lo Sviluppo duraturo: un concetto da precisare, una azione da intraprendere



Professore Nadir Mohamed Aziza

Segretario Generale dell’Accademia del Mediterraneo

L’espressione “sviluppo sostenibile” è divenuta da qualche tempo un must obbligatorio del linguaggio giornalistico, delle riunioni politiche, economiche o scientifiche. Così il Global Forum organizzato dalle Nazioni Unite e la Banca mondiale in cooperazione con il governo marocchino, sul tema: “Cittadini – Imprese e Stati: dialoghi e partenariato per la promozione della democrazia e dello sviluppo” svoltosi a Marrakech lo scorso dicembre 2002, ha dedicato parte dei suoi lavori all’esame di questo obiettivo. Queste iniziative non sono isolate, neanche nei Paesi arabi, ma invitano a ricordare brevemente le differenti accezioni per le quali è passato il concetto di sviluppo nel mondo intero.


Evoluzione della teoria dello sviluppo
La teoria dello sviluppo si è evoluta nel corso degli ultimi cinquant’anni. In un primo momento è apparsa una teoria meccanicistica che la modernizzazione dei paesi emergenti esaltava come panacea a garanzia dello sviluppo. Questa modernizzazione doveva appoggiarsi su un processo semplice, per non dire semplicistico: il recupero.
Era sufficiente - secondo i suoi sostenitori- dare alle società emergenti gli strumenti che le nazioni industrializzate avevano inventato nel corso della loro rivoluzione industriale, affinché facendone uso alle società emergenti – si pensava – ne conseguisse un processo di recupero del ritardo scientifico e tecnico accumulato dalle nazioni in via di sviluppo.
Era questa l’epoca in cui, sul piano della teoria, fioriva l’ordine del trasferimento delle tecnologie e, sul piano pratico, l’uso smodato di strutture ritenute essere modernizzanti e dunque apportatrici di sviluppo, chiavi in mano.
L’industrializzazione di massa fu un palese fiasco.Questo approccio meccanicistico e semplicistico al concetto di sviluppo mostrò presto i suoi limiti e condusse, in un secondo tempo, ad un’analisi più complessa delle situazioni e ad un’attenzione più viva ai dati sociali e culturali suscettibili di aiutare o di bloccare il processo di sviluppo economico.
Oggi si ammette, poco a poco, che il processo di sviluppo non poteva essere appreso soltanto in una dimensione economica. L’individuo e la società non possono essere ridotti a questo homo economicus, ad un’unica dimensione che i sostenitori dello sviluppo meccanicista avevano promosso come unico soggetto d’interesse.

Sviluppo attuale e ambiente
In particolare l’impatto massiccio delle attività umane sulla biosfera impone una riflessione profonda sulla necessità di rinnovare i nostri modi di pensare e di comportarci.
L’uomo è divenuto, secondo la formula del primo teorico della biosfera, Vladimir VERNASKY, “una forza geofisiologica”, cioè un agente attivo capace di influire sui meccanismi regolatori della biosfera.
Maree nere: i naufragi delle petroliere si susseguono e i loro effetti catastrofici si moltiplicano (Prestige, dal nome infelice); cambiamenti climatici con le conseguenze tragiche dei loro disordini.
Ecco due esempi in una lunga serie di catastrofi ecologiche vicine a noi nel tempo e nello spazio, che ci fanno toccare con mano l’importanza delle questioni ambientali e le minacce che pesano sulle risorse di tutte le nazioni.
Per molto tempo l’ecologia, l’attenzione al mondo e alla natura non sono stati temi di preoccupazione. Per noncuranza e inavvedutezza, era largamente dominante il sentimento dell’integrazione dell’uomo e delle sue società in un ordine naturale ritenuto capace di regolare il ritmo della loro esistenza e la direzione del loro avvenire.
Premonizioni e avvertimenti che, prima, l’avvento della società industriale (con l’attitudine da Prometeo verso una natura asservita alla tecnoscienza), e ora, della mondializzazione (con la tentazione di mercificazione del mondo) vanno a concretizzare , ingrandire, moltiplicare.
Ma la globalizzazione sviluppa effetti complessi e paradossali in questo ambito, come negli altri. Cosicché all’aumento dei pericoli, alla moltiplicazione e all’aggravarsi degli attacchi all’ambiente, rispondono, grazie “all’altra” mondializzazione, una presa di coscienza graduale e un’abbondanza di abbozzi di risposte e di lotte contro gli effetti della mondializzazione mercantile ed il mercato in materia di ambiente e di ecologia.


Una presa di coscienza graduale

1. Nell’Antichità
L’ autore che si può considerare come un possibile padre dell’ecologia: Anassagora di Clazomene, ha studiato il sole, la luna, la via lattea. Il movimento del pianeta lo interessava più degli affari politici della città. Anassagora fu condannato all’esilio per aver sostenuto essere il sole una pietra incandescente e aver predetto al caduta di un meteorite sulla città. Cosa che tra l’altro avvenne.

2. Nell’Epoca moderna
Leibniz annuncia la regola del principium rendendae rationis secondo il quale l’uomo deve rendere al mondo che gli ha tanto dato (nascita e vita) una parte di ciò di cui egli beneficia.
Swift afferma che un battito d’ali in un deserto dell’Australia si ripercuoterà nelle praterie della verde XX, forse domani o tra due secoli.

3. Ai nostri giorni
Sotto l’influenza del poeta Henry David Thoreau e di John Muir, viene creata nel 1892 negli Stati Uniti il Serra Club, una delle prime associazioni di protezione della natura.
Il fisico francese Charle-Noël Martin pubblicava, nel 1955, uno dei primi libri consacrati agli effetti dell’esplosione nucleare di Hiroschima, intitolato Per il mondo è venuta la sua ora?.
Gli autori “ecologisti” si dividono in due gruppi: quelli che, come Barry Commoner, criticano la natura anti-ecologica della tecno-scienza (Che terra lasceremo ai nostri bambini?), e quelli che, come il rivale di Commoner, Paul Ehrlich, attribuiscono la crisi ecologica a l’esplosione demografica (La Bomba P).
Rachel Carson, biologo americano, con il suo libro Primavera silenziosa, traccia un’altra strada. Ed è in questo movimento che si situano Robin Clarke (che lavora all’UNESCO per promuovere le “tecnologie dolci”) ed Ernst Friedrich Schumacher (autore del best-seller Piccolo è bello).
Vladimir Vernadsky creò la nozione di “ecologia globale” nel suo libro La Biosfera.
E’ in questa prospettiva dell’”ipotesi Gaia” del ricercatore inglese James Lovelock che s’inquadrano i lavori di Hutchinson, di René Dubos (Corteggiamo la terra), di Barbara Ward (Non abbiamo che una sola Terra) e del rapporto Gro Harlem Brundland (L’avvenire di tutti) che inaugura l’uso del termine sviluppo sostenibile.
Una riflessione filosofica fu ispirata a Michel Serres dall’asservimento della tecnoscienza alla “tanatocrazia” (Il Contratto naturale) mentre un altro filosofo francese Luc Ferry criticava l’“integralismo” di alcuni componenti del movimento ecologico. E’ forse a partire dal 1969, dal momento in cui l’uomo ha camminato sulla Luna ed ha potuto contemplare il “chiaro di terra”, che la nostra coscienza ecologica è divenuta veramente planetaria.
Abbiamo finalmente potuto avere un’immagine obiettiva del nostro pianeta, (“Un’arancia blu” diceva Eluard) e renderci conto di quanto sia bello, ma anche piccolo e solitario negli spazi siderali.



Un rinnovamento obbligato dei modi di pensare e dei comportamenti
Innanzi tutto dobbiamo chiederci a che cosa dobbiamo il successo inaspettato del concetto di sviluppo sostenibile.
Perché questo successo proprio adesso mentre da mezzo secolo economisti ed ecologisti tentano di suonare il campanello d’allarme: Club di Roma e Crescita Zero, René Dumont e l’agricoltura in pericolo…
L’inizio di una spiegazione potrebbe trovarsi nella comparsa di una nuova coscienza collettiva grazie a tre fattori:

Demografici: fra qualche decennio la popolazione totale del globo passerà dagli otto ai dodici miliardi di esseri umani;
L’estensione del modo di vita occidentale del modello consumistico.
Minacce ecologiche sul Sistema Terra.


-nessun progetto di società credibile sembra alternativo al modello consumistico-liberale (dopo lo scacco delle altre proposte di gestione sociale)

-i cambiamenti auspicabili per far fronte alle nuove minacce non potranno risultare né da un cambiamento delle istituzioni né da una nuova ridistribuzione dei poteri, ma da un processo più profondo, più diffuso e più generale che coinvolga un cambiamento dei modi individuali di vita e in generale un rinnovamento dei modi di pensare e di comportarsi nei confronti degli altri e della natura.

Tentativo di definizione
In modo molto programmatico, una definizione fu proposta nel 1987 in un rapporto dal titolo “L’avvenire di tutti” redatto su richiesta delle Nazioni Unite da una Commissione Mondiale sull’ambiente e lo sviluppo presieduta dall’ex ministro della Norvegia, Gro Harem Brundtland.

Lo sviluppo sostenibile è lo sviluppo che risponde ai bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai propri.”

Tale concetto implica tre dimensioni:

Dimensione ambientale. inscindibile dalla preoccupazione delle generazioni future.

Dimensione economica: soddisfazione dei bisogni e legittimità della ricerca della crescita senza rinunciare al controllo della crescita dei flussi di materie e di energie.

Dimensione sociale: una crescita solidale, nell’interesse del maggior numero di persone per ridurre la frattura sociale.




Conclusione
Lo sviluppo sostenibile richiede che sia messo un termine all’emarginazione, sia a livello delle popolazioni nazionali (il Quarto Mondo), sia a livello mondiale (disparità insopportabili tra le nazioni).
Lo sviluppo sostenibile riprende per conto suo una lotta secolare per la giustizia e la democrazia coniugandolo con delle preoccupazioni nuove: la nozione d’interesse generale estesa al nostro ambiente e al futuro delle generazioni a venire, allargando il campo dei processi democratici alla partecipazione cittadina e alle scelte tecnologiche che condizionano le società.

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