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BAGNOLI OGGI E DOMANI
Napoli, 29 ottobre 2003

Relazione del prof. Michele Capasso
Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo




Il volto della città mediterranea è, soprattutto, un insieme di memoria, storia, scambi, saperi, che costituiscono il capitale sociale e umano delle città basato sulle relazioni: il capitale sociale e umano delle città è un bene spontaneo che va catalogato, tutelato, valorizzato e promosso, allo stesso modo con cui viene catalogato, tutelato, valorizzato e promosso il capitale architettonico-monumentale ed il capitale culturale-artistico.
A queste tre risorse-capitali delle città se ne aggiungono altre due: la vivibilità e la sicurezza; dalla loro armonica presenza dipendono lo sviluppo sostenibile, il benessere e la qualità della vita degli abitanti e dei turisti, la partecipazione sociale.
Si comprende così l’assoluta prevalenza del capitale sociale e umano di una città rispetto allo spazio materiale che teoricamente delimita e identifica i luoghi delle città e l’assoluto valore di questo capitale che, se si sposta o viene meno, svuota le architetture e gli spazi umani rendendoli privi di significato e di vita. Per questo è impossibile identificare modelli urbani allo stato puro: “sono gli uomini che costruiscono le città e non i muri soltanto o le navi senza passeggeri”, ricordava Tucidide all’alba dell’età storica, e Sant’Agostino scrivere “La civitas, il Centro Antico, la medina non sta nei sassi, ma negli uomini”.
Voci, suoni, odori, sapori, saperi, leggende, memorie, osterie, botteghe, preghiere, spezie, mercati, canti e quant’altro; prima ancora che pietre, mura, stucchi, pitture, sculture. Un grande patrimonio “immateriale” che costruisce, come già accennato, la linfa vitale ed il senso stesso della “materia architettonica e monumentale” delle città.
La prevalenza del capitale sociale e umano sugli altri due riferibili alle trasformazioni urbanistiche (capitale architettonico-monumentale, capitale culturale-storico) e la necessità di tener conto di ciò in tutte le azioni di progettazione e riqualificazione degli spazi e dei luoghi in cui questo capitale maggiormente è presente si esprime in quanto risorsa essenziale per lo sviluppo delle città.
A Napoli l’area di Bagnoli non è un semplice spazio, è un luogo particolare delle città in cui il capitale sociale e umano si è formato e sviluppato soprattutto intorno all’insediamento siderurgico dell’Italsider, mal tollerato, un “picco basso” del vivere sociale. Ecco dunque che la bonifica di Bagnoli e la Coppa America costituiscono un’occasione irripetibile di riscatto.
Napoli rivela le enormi contraddizioni del suo sviluppo urbanistico con tante sovrapposizioni e fratture. Come l’apertura del Rettifilo, che mutò radicalmente la funzione urbanistica ed il contenuto umano del quartiere. L’isolato di Sant’Agostino alla Zecca, ad esempio, sito tra il Rettifilo e la via Pietro Coletta, costituisce uno degli esempi più eclatanti dei guasti di questa modifica urbana che, pur non intaccando il complesso religioso, ne ha modificato la funzione epicentrica, isolandolo dal nuovo contesto urbano creatosi.
Le città cambiano, talvolta troppo presto, senza adattarsi al cambiamento. Paragonando le città al corpo umano, si potrebbe affermare che molte trasformazioni sono assimilabili a “trapianti” seguiti da infiniti rigetti.
“Les formes d’une ville changent plus vite que le cœur d’un martel”, affermava con rimpianto Baudelaire in seguito alle imprese di Haussmann a Parigi che pure furono di tutt’altro tenore rispetto a quelle del Rettifilo che dall’esperienza francese trassero spunto. Queste trasformazioni vengono accettate (o subite) con nostalgia e con protesta, specialmente in quelle città che hanno radici antiche.
Ciò vale ancora di più per Napoli, che è una città fondata su una verticalità unica, stratificatasi nei secoli. In questa città confluiscono le più deliziose radici orientali ed occidentali possibili. L’espressività della sua gente può sembrare una caricatura dell’Europa viennese, ma appare del tutto concreta in un qualunque mercato mediterraneo, dove invece la seriosità di un britannico può scatenare il riso.
Napoli, Neápolis o Città Nuova, quale neo-ammesso membro alla moltiplicata espansione della Grecia, mantenne la sua armonia anche quando Roma già imparava, quando la lingua greca continuò ad essere la lingua normale di Napoli: come oggi il napoletano è la lingua popolare.
Ma la caratteristica principale di questa città è l’unicità del suo capitale sociale e umano. L’esperienza dei napoletani in materia di dominio politico, quasi sempre straniero, con il conseguente salasso economico del popolo, è lunga e varia. A tal punto che il napoletano, ormai saturo e impoverito, non crede più a nessuno. E credo allora solo in se stesso perché è durato nel tempo assorbendo e rigettando tante forme di sovrastruttura e di fame, accumulando così un sostrato etnico la cui originalità deriva dalla sua affinata capacità vitale.

La Coppa America a Napoli può ottenere un grande successo proprio grazie all’applicabilità, nel tessuto di questa città, di queste due condizioni poco praticate, nella storia e oggi, negli altri siti candidati a questo evento: il coinvolgimento e la partecipazione.
Il coinvolgimento, a Napoli soprattutto, è quel processo attraverso cui le persone, i gruppi, i soggetti in genere, vengono “toccati” emotivamente da un evento, da un problema e assumono la propensione a fare qualcosa. Il coinvolgimento comporta il passaggio dalla passività ad assumere impegni e rischi precisi. Il coinvolgimento è un ingrediente fondamentale per il buon esito della Coppa America: da non confondersi con il concetto di partecipazione.
La partecipazione implica un esercizio del potere, la possibilità reale di decidere, di controllare: sia nel senso di determinare, che nel senso di verificare le azioni di coloro che hanno o ricevuto o accettato deleghe. La discriminante centrale che permette di distinguere la partecipazione dal coinvolgimento è la misura del potere e il suo reale esercizio.
Il coinvolgimento è una condizione per la partecipazione, ma non ne esaurisce la sua funzione: entrambi, in quanto fenomeni pluralistici, si basano sulla creazione continua di connessioni tra i soggetti e gli attori sociali presenti nella comunità: nessun’altra città possiede questi requisiti come Napoli.
Un’altra dote essenziale della città di Napoli, che le ha consentito il pieno successo di eventi importanti, è la sinergia tra il senso di responsabilità sociale e il potere.
Il senso di responsabilità sociale ha da sempre accompagnato, a Napoli, i momenti più importanti della sua storia, sia in positivo che in negativo.
Il senso di responsabilità sociale è la consapevolezza che le condizioni di vita della collettività e i problemi che in essa si verificano chiamano in causa tutti e non permette di defilarsi di fronte ai problemi definendoli come problemi altrui. Indipendentemente dalle cause che concorrono a determinarli, questa condizione impone di fare qualcosa e in questo senso è a fondamento di comportamenti attivi e solidali.
Se il senso di responsabilità sociale è sentire che si deve fare qualcosa, il potere è la reale possibilità di farlo. È la possibilità di contare, di decidere realmente, di produrre dei cambiamenti. Potere e senso di responsabilità, possono assicurare a Napoli, grazie alle sperimentata sinergia istituzionale (nel G7 – 1994, idem Berlusconi+Bassolino), il pieno successo della Coppa America.

La possibilità di azione, di mobilitazione, di impegno, di partecipazione presuppone un alto senso di responsabilità e una percezione di un adeguato livello di potere. In caso contrario, le persone si percepiscono come senza potere, con modalità diverse, impiegando alibi o difese, e si produce un disinvestimento che comunque porta alla delega, alla dipendenza, all’immobilismo. Un elevato senso di responsabilità sociale non può durare a lungo in una condizione in cui si pensa di non poter fare nulla per cambiare la situazione. La spinta all’azione che ne deriva e l’impossibilità di fare qualcosa per cambiare producono una forte frustrazione, dalla quale si può uscire sia accentuando la delega e la passività, quindi abbassando il senso di responsabilità, sia acquisendo il potere necessario per fare qualcosa.

Per lo sviluppo della partecipazione, per il suo pieno dispiegamento risultano fondamentali pertanto tutte quelle strutture intermedie, fra le quali le organizzazioni di comunità le associazione ecc., che permettono ai cittadini di uscire dalle condizioni di isolamento e di sentire di avere quel potere che è in grado di sostenere il senso di responsabilità.
Infine, la connessione, il coinvolgimento e la partecipazione permettono lo sviluppo di competenze, attraverso il processo di apprendimento basato sulla soluzione dei problemi, l’effetto sinergico dovuto all’integrazione delle forze, lo scambio di esperienze e il raggiungimento degli obiettivi. La consapevolezza del proprio potere e delle proprie competenze aumenta la capacità di rischiare, di tentare soluzioni innovative, di trasgredire e di percorrere strade sconosciute.
Il sentirsi in tanti aumenta, infatti, la capacità di rischio.
La sintesi, il coinvolgimento, la partecipazione e le connessioni determinano la crescita della comunità le cui caratteristiche fondamentali sono la garanzia per uno sviluppo sostenibile e per la gestione armonica di “picchi alti” della città, quali il G7 e la Coppa America.
E’ una sfida che non possiamo permetterci di perdere.

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