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“La politica della Pesca e il Mediterraneo: problemi attuali e prospettive future. Il ruolo della cooperazione”

Napoli, 25 ottobre 2002

Contributo del Presidente della Delegazione italiana
e Vice Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, on. Claudio Azzolini



Alcuni impegni precedentemente assunti mi impediscono purtroppo di partecipare a questa occasione di dibattito e di approfondimento sulle problematiche della pesca nel Mediterraneo: mi permetto tuttavia di sottoporre all’attenzione dei partecipanti alcune brevi note sul ruolo che la collaborazione tra Paesi euromediterranei può svolgere in questo delicato settore produttivo e sulle linee di indirizzo emerse, in questo ambito, in seno all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

Devo ammettere, peraltro, che si tratta di considerazioni che riflettono largamente, oltre al mio presente impegno nella più antica organizzazione di cooperazione europea, qual è il Consiglio d’Europa, anche l’esperienza maturata come parlamentare europeo, nel corso della quale ho potuto approfondire i problemi della politica comunitaria della pesca (PCP).

In quegli anni ho acquisito una consapevolezza dei limiti e delle inadeguatezze del progetto di “Europa blu” elaborato principalmente dalla Commissione europea: una strategia che, a mio parere, ha fatto gravare sul settore ittico un eccessivo carico di responsabilità, con una grave sottovalutazione del peso che l’inquinamento marino sta svolgendo nel constante depauperamento della fauna marina, e, per contro, una vera e propria colpevolizzazione del ruolo delle flotte pescherecce.

Non intendo, in questa sede, soffermarmi sugli obiettivi e sui programmi della PCP, al centro della relazione del prof. De Simone: mi preme soltanto richiamare il fatto che, a partire dalla IV Legislatura del Parlamento europeo (1994-1999), le questioni connesse all’attuazione dei programmi comunitari del settore ittico sono entrate a far parte pleno iure dei grandi dibattiti di quella Assemblea che ha cercato di svolgere, nei limiti delle proprie competenze, un’azione di controllo politico sull’operato della Commissione.

La conservazione delle risorse, l’adattamento delle capacità alle possibilità di cattura, il controllo e la sorveglianza delle attività di pesca sono stati i principali aspetti della PCP sui quali l’Europarlamento ha costantemente richiamato l’attenzione, sottolineando altresì l’esigenza del rispetto – sia a livello nazionale che internazionale – dei princìpi di precauzione e di sostenibilità delle risorse alieutiche.

Il Parlamento europeo è stato inoltre uno dei principali fautori dell´integrazione della politica strutturale della pesca nei Fondi strutturali, raccomandando la creazione di un obiettivo autonomo per la pesca nel loro ambito. Costante è stato poi il monitoraggio del procedimento di creazione dello Strumento finanziario di orientamento alla pesca (SFOP), con l’evidenziazione di numerosi problemi dimenticati o non adeguatamente trattati nelle proposte della Commissione, tra cui l’impatto sociale della ristrutturazione del settore, il sostegno alla pesca artigianale, gli aiuti alle campagne di pesca sperimentale, il miglioramento dei canali di distribuzione, etc.

Inoltre, nell’ampio dibattito che ha fatto seguito alla presentazione dell’Agenda 2000, è stato stigmatizzato il rischio che i problemi strutturali delle zone dipendenti dalla pesca vengano tralasciati nel nuovo obiettivo n. 2 dei Fondi strutturali.

E’ stato soprattutto nel campo degli accordi internazionali di pesca che il Parlamento europeo ha potuto far conoscere i suoi orientamenti: in particolare, con una risoluzione del 15 maggio 1997 si è sottolineata l’importanza di queste intese per soddisfare la domanda di prodotti ittici della Comunità, per le Regioni comunitarie più dipendenti dalla pesca e per l’occupazione del settore. Il documento ha posto altresì in rilievo l’esigenza che l’impiego delle risorse delle zone economiche esclusive dei Paesi terzi sia sostenibile e pienamente conforme alle convenzioni internazionali ed ai codici di condotta, affinché gli interessi delle comunità locali di pescatori siano rispettati e gli stessi accordi di pesca siano coerenti con le politiche dell’Unione negli altri settori.

D’altra parte, se la piena integrazione del Sistema Pesca italiano nel più vasto contesto comunitario si presenta ormai come un dato acquisito, pur con i suoi limiti e le sue specifiche problematiche, ancora incerti appaiono i contenuti di una strategia del settore ittico nell’ambito del Mediterraneo, in grado di coordinare le politiche nazionali di gestione, evitare discriminazioni tra Paesi e garantire un’efficace tutela delle risorse ittiche.

Si sconta, anche in questo settore, una complessiva carenza di progettualità, che consideri la “dimensione mediterranea” - accanto a quella nordica e a quella mitteleuropea - una concreta direttrice di sviluppo per l’Europa comunitaria ed un fattore di coesione tra quest’ultima e gli Stati del Mediterraneo. Un vuoto di progetti sui quali è tempo che i ceti dirigenti di questo Paese avviino una riflessione critica e responsabile.

Questa inadeguatezza strategica condiziona le prospettive di sviluppo di diversi settori produttivi, tra cui quello ittico: nondimeno i dati economici del settore, nella loro immediatezza, testimoniano della sua rilevanza nell’assetto produttivo dei Paesi euromediterranei: si tratta di circa 50.000 imbarcazioni e più di 100.000 addetti (pari al 40% dei pescatori della Comunità europea) soltanto per i 4 Stati rivieraschi aderenti all’UE (Francia, Grecia, Italia e Spagna). Parimenti imponenti sono i dati sulle condizioni ambientali del Mare nostrum: pur rappresentando soltanto lo 0,7% della superficie totale dei mari e degli oceani, esso “sopporta” il 35% dei trasporti petroliferi mondiali. Ogni anno le sue acque sono contaminate da 800.000 t. di fosfati, 320.000 t. di composti azotati, 120.000 t. di residui petroliferi, 3.800 t. di piombo, 2.400 t. di cromo, 550 t. di pesticidi, 100 t. di mercurio, provocando, tra l’altro, i noti fenomeni di eutrofizzazione di numerose regioni del Mediterraneo (fonte: Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa).

Assai limitata appare, a questo proposito, l’efficacia dei diversi accordi e programmi internazionali finalizzati alla riduzione dell’inquinamento marino (Convenzione di Barcellona sulla protezione del Mediterraneo dall’inquinamento, del 1976, Programma di protezione del Mediterraneo – Medap, etc.).

Il Consiglio d’Europa, ed in particolare la sua Assemblea parlamentare, ha da tempo richiamato l’attenzione dei Governi nazionali sulla “situation inquiétante” che caratterizza il bacino mediterraneo sotto il profilo ambientale e della gestione delle risorse ittiche.

Un primo rapporto, del marzo 2002, dedicato alla preservazione ed alla gestione delle risorse ittiche in Europa (presentato dal parlamentare maltese Francis Agius) delinea lucidamente i pericoli che gravano sull’avvenire del settore ittico in Europa ed evidenzia la necessità di potenziare la dimensione sociale, economica ed ambientale della PCP, fino ad oggi notevolmente sottovalutate.

Un secondo rapporto dell’Assemblea di Strasburgo (“La pesca nei mari semi-chiusi d’Europa” predisposto dal parlamentare tedesco Wolfgang Behrendt), dell’aprile scorso, ricostruisce dettagliatamente tutti i fattori di criticità che pesano oggi sull’habitat del Mediterraneo e sottolinea l’esigenza di un approccio integrato che colleghi i problemi del settore ittico mediterraneo a quelli del suo ecosistema, alla luce delle peculiarità dei 18 Stati rivieraschi in materia di assetto territoriale, struttura demografica, infrastrutture, sistema produttivo.

La raccomandazione approvata su tale argomento il 25 aprile 2002 (n. 1558 del 2002) prospetta ai Governi degli Stati membri alcune efficaci linee operative:

  • un impegno attivo per il coordinamento dei diversi programmi nazionali di ricerca scientifica, al fine di una loro migliore “leggibilità” e comparabilità;


  • l’individuazione di zone ittiche protette, per la salvaguardia di talune specie;


  • la razionalizzazione dimensionale delle flotte pescherecce;


  • la promozione dello sviluppo economico nelle regioni e nei settori particolarmente toccati dai problemi della pesca, mediante l’elaborazione di strategia per un impiego durevole delle risorse marine che parta da una valutazione dei bisogni specifici e degli interessi della pesca artigianale e delle comunità locali


  • l’adozione di un programma a lungo termine volto a migliorare la protezione dell’ambiente marino ed a salvaguardare le specie ittiche, anche attraverso la definizione di tassi ammissibili di cattura (TAC) e l’adattamento permanente di questi ultimi alle condizioni biologiche


Si tratta di una sfida importantissima che i Paesi euromediterranei non possono perdere pena la costante degradazione dei loro eco-sistemi ed una pesante riduzione delle loro capacità produttive: essa costituisce al contempo uno dei terreni sui quali si misura concretamente la volontà di dialogo e di cooperazione tra il Nord ed il Sud del pianeta che, al di là delle tante e troppe enunciazioni di principio, deve trovare espressione in chiari accordi internazionali che fissino equi standard produttivi e severi vincoli ambientali.

Sono convinto che l’unico modello compatibile con questa prospettiva sia quello, definito dalla FAO già nel 1995, di una “Pesca Responsabile” in cui si contemperino le istanze delle categorie produttive con quelle della salvaguardia delle risorse marine rinnovabili, secondo i princìpi dello sviluppo durevole.

Il movimento cooperativo della pesca, con le sue tradizioni ed il suo forte legame con le realtà produttive del Paese, può fare molto per diffondere e radicare nella consapevolezza dei suoi associati questo nuovo modello, promuovendo il confronto tra le Istituzioni e gli operatori del settore.





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