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L’eredità del Professore
Cultura e politica insieme per il bene comune


di Michele Capasso



San Sebastiano al Vesuvio, 20 settembre 1990. Muore mio padre Raffaele, sindaco per 35 anni del paese alle falde del Vesuvio. L’Avanti titola l’articolo che lo commemora “Una vita per il Socialismo”. Tra le varie lettere che numerosi amici e compagni mi scrivono in suo ricordo vi è quella di Francesco De Martino: “Sono commosso per la perdita di Raffaele, tanto più giovane di me! E’ stato uno dei pochi, veri socialisti che hanno onorato il Partito. Il necrologio che hai scritto è la sua grande eredità per tutti quelli che perseguono il bene comune”.

Napoli, 18 novembre 2002. Muore Francesco De Martino. Commosso rileggo quella sua lettera e quel necrologio, quasi a cercare spunti per scriverne uno per lui.

Eppure non riesco a scrivere nulla. E’ come se mio padre fosse morto nuovamente, né desidero mischiare le considerazioni di un modesto lettore delle pietre e del mare quale sono, con le commemorazioni di politici e studiosi ben più illustri di me.

Mi affido quindi alla memoria e ad alcuni ricordi significativi.

Napoli, 16 giugno 1993: ho tra le mani la prima bozza del libro dedicato a mio padre che titolerò Il viaggio del Signor Niente. Francesco De Martino mi accoglie nel suo studio di Via Aniello Falcone: è meravigliato che in un periodo in cui tutto “corre veloce” abbia trovato il tempo di scrivere quelle pagine che ricostruiscono la vita di mio padre e, con essa, quella di un pezzo di storia del socialismo campano e nazionale durata mezzo secolo. Il “professore” prima legge distratto, poi si appassiona e si commuove. A poco a poco inizia a correggere imperfezioni dovute al collage di reperti, fotografie, bozze di discorsi, testimonianze, articoli di giornali e riviste, atti amministrativi ed altro materiale riordinato con una logicità istintiva, dettata però – a suo dire – “da un onesto desiderio di essere il più possibile fedele alla verità dei fatti”. Con la sua penna corregge sulla bozza alcune inesattezze relative alla scissione di Palazzo Barberini del 1947, quando egli stesso aderì al Partito Socialista; mi ricorda la lontana parentela con la mia famiglia da parte di sua madre Angrisani, ed episodi singolari vissuti con mio padre accanto ai compagni dell’epoca: Lelio Porzio, Renato Sansone, Pietro Lezzi. Ricorda i moti di Via Medina del 1946 - una risposta violenta che i monarchici prepararono allo scopo di condizionare lo svolgimento delle elezioni per il referendum istituzionale - e mi racconta con orgoglio l’attività di vigilanza democratica e l’azione posta in essere da molti compagni, tra cui mio padre. E via così: un viaggio nel passato ricordando la grande manifestazione a San Sebastiano (per festeggiare l’unificazione del PSI e del PSDI con De Martino segretario), la delusione per il suo “Raffaeluccio” (che con Giolitti costituì “Impegno Socialista”, gruppo parzialmente in disaccordo con De Martino), e tanti altri episodi che aggiungeranno nuove pagine a quel libro.

Napoli, 6 dicembre 1994: consegno a Francesco De Martino la prima copia de Il viaggio del Signor Niente scrivendogli questa dedica: “A Francesco, padre del Socialismo, questo modesto libro: è la storia di quella ‘gggente’ con ‘3g’ che vuole ostinatamente continuare a credere nel bene comune”. Lui mi guarda e, commosso, mi abbraccia. A quel punto gli chiedo un consiglio “paterno”, quello che non potevo più chiedere a mio padre.

Negli ultimi mesi del 1994 – gli racconto – ero rimasto scosso dagli eccidi in ex Jugoslavia e desideravo dedicarmi con altri amici (tra i quali Predrag Matvejevic’) ad attività di solidarietà verso quelle popolazioni. Per far ciò seriamente avrei dovuto abbandonare il mio mestiere di architetto e di ingegnere: una scelta difficile. Il “professore” mi rispose semplicemente: “E perché no?”.

Queste tre parole mi hanno accompagnato a lungo, fino a convincermi che la scelta giusta, il senso della mia vita, era quello di dedicarmi al “bene comune”: inizialmente con azioni a favore delle popolazioni della ex Jugoslavia e poi a favore di quelle appartenenti all’area mediterranea. Da quella scelta, molto condizionata dall’opera di Francesco De Martino, scaturisce il lavoro complesso, duro ma significativo che portiamo avanti con la Fondazione Laboratorio Mediterraneo.

L’eredità di Francesco De Martino consiste in un nuovo rapporto tra cultura e politica. Ancora oggi la politica viene vista come acquisizione del potere, riservato solo agli addetti ai lavori. Dopo Tangentopoli, in tutti gli schieramenti, assistiamo all’occupazione sistematica dei posti di potere che contrasta apertamente con il principio di coinvolgimento della Società civile. Per rivitalizzare il “bene comune”è necessario saper coniugare cultura e politica seguendo l’esempio di De Martino. Occorre cioè che una minoranza vitale e consapevole sappia identificarsi in un progetto concreto di politica lontano dalle banali posizioni di “destra/sinistra” o “maggioranza/opposizione”, disposta ad iniziare un percorso difficile ed irto di difficoltà. E’ una battaglia culturale, prima che politica, da intraprendere con la consapevolezza che le sorti dell’Italia – e quindi di Napoli e della Campania – dipendono da noi. Se questo progetto dovesse fallire, a perdere saranno tutti: politici, classe dirigente, cittadini.

Quando in occasione del suo 95° compleanno a De Martino fu chiesto se fosse pessimista per il futuro dell’Italia, egli rispose: “Non si può essere pessimista per l’eterno, anche se le difficoltà sono notevoli: occorre rimboccarsi le maniche e risalire la china”.

Oggi possiamo assicurare al grande maestro che molti di noi lo stanno facendo e continueranno a farlo.

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