IL DENARO

 

4 dicembre 2003

 

 

Due ore in mezzo a quaranta ministri

 

di Goffredo Locatelli

 

Come si organizza un summit, che aria tira dietro la cortina di riservatezza che isola dal mondo i capi delle diplomazie di quaranta paesi alle prese con decisioni storiche? Per rispondere a questa domanda ieri, seconda giornata del vertice di Napoli, tento una sortita. Mi metto in coda ad una delle tante delegazioni che di prima mattina varca i cancelli della Mostra d’Oltremare: quella egiziana diretta dal ministro Ahmed Maher El Sayed. E mentre i colleghi degli altri giornali indugiano nell’imponente sala stampa, consumando caffè, succo di frutta e brioche, oltrepasso il supercontrollato sbarramento dove sosta un nugolo di agenti in borghese. E di colpo mi ritrovo nella “zona rossa”.

Per accedere in quest’area riservata ai ministri e alle delegazioni governative, occorre avere al collo un badge rosso. Per fortuna nessuno fa caso al mio. Che è giallo. Sempre a ruota degli egiziani, varco un secondo sbarramento che immette nel padiglione pricipale, quello che in futuro, e in omaggio al vertice, si chiamerà Europa. Col taccuino in mano, mi aggiro nell’atrio dove fa bella mostra il famoso Vesuvio di Andy Warhol. E’ qui che s’intrattengono e spettegolano gli attaché, stuoli di funzionari ministeriali, segretari e bodyguard con il filo dell’auricolare che spunta dal collo della camicia. Tutt’intorno all’atrio hanno sistemato lunghi tavoli con bouquet di rose fresche e di garofani. Tra i fiori spuntano grandi caffettiere, vassoi di pasticcini, torte, castelli di brioche, caraffe con succo d’arancia. Sui quattro lati nove schermi televisivi mandano in onda contemporaneamente altrettanti programmi di Rai News, Cnn, Bbc, Channel 3… Affondati nei salotti di pelle nera, gli agenti della sicurezza, che si riconoscono per la parlata dialettale, sgranocchiano cioccolattini Otello e Cru di cacao. C’è un frenetico viavai: come api sul miele gli attaché entrano ed escono dal salone del summit. Si passano la voce: “Stanno parlando del Femip all’interno della Banca europea degli investimenti…”.

Ma è chiaro a tutti che il nodo vero è quello mediorientale. La Troika europea va ad incontrare i ministri dei paesi arabi guidati dall’ambasciatore tunisino. Subito dopo, ecco l’incontro tra Troika ed Israele.

La sede israeliana è la numero uno del settore A, sporge quasi su piazzale Tecchio. Quella dei palestinesi è esattamente dal lato opposto: settore D, insieme ad altri quattordici paesi arabi.

Mi passa davanti Nemer Hammad, rappresentante dell’Anp in Italia. “Dov’è Solana, avete visto Javier Solana?”, chiede ad una funzionaria del nostro ministero degli esteri. Con Hammad c’è il rappresentante del nuovo governo palestinese, Nabil Shaath. I palestinesi insistono sulla costruzione del muro che, a loro dire, allontana il processo di pace.

Al contrario, Silvan Shalom, ministro di Gerusalemme, dice e ripete che il muro serve a prevenire gli attacchi dei terroristi palestinesi. Come finirà? Ricevuta l’informazione che lo riguarda, Hammad si mette alla ricerca dell’alto rappresentante dell’Ue per la politica estera percorrendo a passo svelto il lungo corridoio. Entra nel settore D. Gli vado dietro. Passa innanzi alla residenza degli israeliani. La porta è aperta. Ma Shalom, a quest’ora, è da tutt’altra parte. E’ un tipo tarchiato Hammad, con le gambe da fantino, baffi bruciati e un’aureola che s’allarga tra i capelli grigi. Fatto il giro, s’infila nella rappresentanza della Germania, dove lo stanno aspettando. Ogni tanto la porta d’ingresso principale si apre e vedo all’interno, alto, magro, capelli brizzolati, il ministro francese Dominique Galouzeau de Villepin che sta dicendo qualcosa al collega tedesco Joschka Fischer. Da quando Francia e Germania parlano la stessa lingua (politica), i due sembrano diventati grandi amici.

Esce dal salone Franco Frattini. Indossa un elegante completo grigio e ha all’occhiello un vistoso distintivo dell’Ue. Si tira dietro a falcate tre angeli custodi coi capelli impomatati, ragazzi sui trent’anni, bruni, tosti. Poi esce Pat Cox col suo segretario, ed è subito bloccato da un diplomatico inglese che lo intrattiene a parlare nel corridoio. Di tanto in tanto Cox annuisce e sorride. Dietro di lui, appesa alla parete bianca, fa capolino un’opera di Gianni Pisani intitolata “Tu mi hai rubato la luna”. Ai due angoli, in quest’anticamera del potere, c’è un tavolo con dolcetti e cioccolattini. I diplomatici tirano dritto. Segretarie e agenti ingannano il tempo facendo strage di dolciumi.
Ora che Frattini ha riaperto la porta del salone corro ad osservare e annoto. Il colpo d’occhio è superbo: al centro c’è un grande tavolo infiorato, un componibile di quattro metri per diciannove inviato dalla ditta Unifor di Milano. Tutt’intorno, su quarantotto poltrone Sitland spedite a Napoli dalla Way, sbircio le quaranta delegazioni disposte venti contro venti. A capotavola: Frattini, Solana, Cox e il commissario Ue per le relazioni esterne Chris Patten. Dietro i ministri, siedono gli staff: centottanta persone che fanno da appoggio.

Il salone è foderato di pannelli di acero. A mò di soffitta c’è un velario con illuminazione d’ambiente e un grande lampadario con lampade Guzzini. Gli arredatori hanno steso a terra quattromilacinquecento metri quadrati di moquette Velour color crema. E hanno montato grandi cristalli opacizzati che fungono da eleganti separé.
Ai ministri hanno assegnato uffici nell’area circostante. A quelli europei e dei paesi arabi tre stanze con computer, telefoni e fax. Ai paesi che entreranno il 10 maggio nell’Ue solo due stanze. Tutti i servizi igienici del padiglione sono rifatti, tinteggiati i frontoni. La torre è stata coperta con pannelli di policarbonato per mascherare il degrado decennale.

Mentre annoto i particolari davanti al salone dei quaranta big, una signora mi avvicina e fa: “Ma lei è un giornalista!”.
Addio. Ha notato che il mio badge è giallo. “Come ha fatto ad arrivare fin qui con tutta la sicurezza che c’è?”
Sono le 13. Ho osservato per due ore. Le rispondo con un sorriso. Ma, ahimé, non funziona. Infatti dopo due passi vengo intercettato da un tarzan in borghese. “Sono l’ispettore Di Costanzo del commissariato S. Paolo”, si presenta. “Dica un po’, come ha fatto ad entrare?”, mi ripete e mi fulmina anche lui.

Mi accompagnano alla porta. Tra poco comincia la conferenza stampa di Frattini.

La aiuole della Mostra, con i cespugli di ibiscus, splendono al sole. I delegati cominciano ad uscire.


Sette milioni di euro. Tanto è costato l’arredamento e il maquillage della Mostra d’Oltremare per ospitare il summit euro-mediterraneo.

Quando Leonardo Visconti di Modrone un anno fa arrivò qui, si mise le mani nei capelli. “No, non è posto per il vertice”, disse sconsolato, e se ne tornò a Roma. Però come plenipotenziario e capo della delegazione per l’organizzazione della presidenza italiana della Ue sapeva che Napoli aveva tutte le caratteristiche per ospitare il summit.
Ma lo stato di abbandono in cui versava la struttura era a dir poco pietoso.

Fu Lello Cercola, il presidente della Mostra, a convincerlo e a fargli cambiare idea. E ieri la Mostra ha celebrato l’apoteosi finendo sotto i riflettori delle tv di mezzo mondo.