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Un giorno di ordinaria (in)tolleranza

L’intolleranza è uno stato di disordine. Quando il mondo è intollerante c’è un fuoco sotterraneo che cova e a tratti esplode dai criteri che come tante ferite si aprono nel tessuto compatto di paesi lucidi e ordinati. Sono questi crateri, delle bocche spalancate che vomitano le loro urla fino al cielo. Urla, proteste, odio: intolleranza, appunto.
Il fuoco che ribolle nei sotterranei è paragonabile ad uno stato di eccitazione perpetua: l’eccitazione di uomini e donne che vogliono fortemente amare la vita, che vogliono seguire il sogno, la passione, che vogliono parlare, ridere e piangere delle loro passioni di uomini e di donne. Però non hanno bocche per parlare, non hanno corpi per muoversi e andare dove il loro umore li sospingerebbe. Murata viva l’anima dentro le prigioni dei loro corpi, ai quali altri insegnano e comandano cosa fare, questi uomini e queste donne camminano fra la gente come tanti vulcani in fermento. E quando si svegliano lo fanno senza una ragione, per una alterazione atmosferica, per un mutamento repentino dell’equilibrio geomorfico.
In Algeria un uomo pugnala una donna, domenica 7 aprile. Questa donna, presumibilmente, urla. E per la prima volta, dopo anni e anni di vita tranquilla, di gesti monotoni e quieti, gli uomini della sua tribù prestano orecchio a ciò che ha da dire. Il coltello del Fulano che affondava nelle carni della donna karjdio minacciava l’equilibrio geomorfico, apriva una crepa nella prigione compatta di un corpo abituato ad ubbidire muto e l’urlo di un fuoco sotterraneo fuoriusciva.
Da quel momento, il caos. Una reazione a catena: uomini e donne che per frazioni di secondo, secondi, minuti vogliono sentirsi anche loro uomini e donne liberi. Afferrano i pugnali, li affondano nelle rispettive carni, fuoco e sangue cha si mischiano al suolo. Hanno urlato, si sono odiati, si sentono liberi. E sono morti.
La reazione a catena all’uccisione della donna karjdio perpetrata domenica 7 aprile, ha prodotto ben 80 morti nello Stato di Taraba. La notizia è giunta a Lagos soltanto 8 giorni dopo: lunedì 15 aprile. E ormai era tutto a posto. I movimenti tellurici si erano arrestati. L’ordine era ristabilito.
“il rapporto da 1 a 80 può sembrare già come un franco successo”. Questo il commento di Bernard Heidsieck. E in verità, per la maggioranza di noi, di numeri si tratta. Le cifre dell’intolleranza sono le stesse in tutte le guerre e sono gli strumenti dell’oblio. Servono a coprire il fuoco, il sangue, le urla. L’ordine del numero si sovrappone all’eruzione ingovernabile degli umori venefici che spargono il caos a piene mani sulla bruna terra d’Africa. L’ordine del numero perde la memoria del disordine. E questa asserzione ovvia diventa paradosso quando la leggiamo così: l’ordine del numero, la realizzazione delle esplosioni di violenza è il motore delle guerre che all’improvviso si abbattono su popoli e terre senza memoria.


Michele Capasso
Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo

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