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La Commissione Europea e il « gruppo dei saggi », nominato in suo seno da Romano prodi per esaminare le relazioni euro-mediterrannee, si riuniscono nella Biblioteca Alessandrina dal 12 al 14 ottobre. Membro di questo « gruppo dei saggi » e uno degli autori del progetto che loro stanno elaborando per la Commissione, l’autore « Breviario Mediterraneo » ci ha consegnato a questa occasione alcune sue riflessioni sulla situazione attuale del Mare Nostrum.

Un Mediterraneo lacerato

L’unificazione dell’Europa ha conosciuto, realizzandosi, i periodi in cui il Mediterraneo non poteva essere più che una posta in gioco di secondo ordine. Nasceva un’Europa separata dalla « culla dell’Europa ». Le spiegazioni che se ne danno, banali o ripetitive, non riescono a convincere coloro ai quali sono dirette. Non ci credono neanche quelli che le propongono. Le griglie di lettura sono diverse al Nord e al Sud. La costa settentrionale del Mare Interno ha una percezione e una coscienza differenti da quelle della costa che sta di fronte. Ai nostri giorni le rive mediterranee non hanno forse in comune che le loro insoddisfazioni. Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono prese al di fuori di esso o senza di esso: ciò genera una volta frustrazioni, un’altra fantasmi.
L’immagine che offre questo mare non è affatto rassicurante. Le frammentazioni prevalgono sulle convergenze. La riva settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord Europa. E altrettanto la riva meridionale rispetto a quella europea. Tanto a Nord quanto al Sud, l’insieme del bacino si lega con difficoltà al continente. Il mare stesso assomiglia sempre di più a una frontiera che si estende da Levante al Ponente per separare l’Europa dall’Africa e dall’Asia Minore. Tra l’Europa continentale e il suo proprio Sud si crea di più in più un fossato, tra le due sponde opposte un abisso. Non è davvero possibile considerare questo mare come un vero « insieme » senza tener conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano: Palestina-Israele, Libano, Cipro, Turchia-Grecia, Balcani ed ex-Jugoslavia, Algeria, influssi di guerre più lontane, quelle di Afganistan o Iraq ecc…
Il Mediterraneo è fatto di componenti varie che sfidano o rifiutano le idee unificatrici. Concezioni storiche o politiche si sostituiscono alle concezioni sociali o culturali, senza arrivare a coincidere o a sostenere l’una l’altra. Le categorie di civiltà o le matrici di evoluzioni non si lasciano indurre ai denominatori comuni. Gli approcci della fascia costiera a quelli proposti dall’entroterra si escludono a vicenda o si contrappongono.
Non esiste una sola cultura mediterranea, una cultura comune che possa rendere più omogeneo questo spazio: ce ne sono molte in senso ad uno solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di una mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressioni vicine. Le differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le ultime. Il resto è mitologia.
« Elaborare una cultura intermediterranea alternativa ». Mettere in atto un simile progetto, proposto da alcuni singoli pensatori, non pare imminente.
« Condividere una visione differenziata » è meno ambizioso, senza essere sempre più facile da realizzare. Tanto nei porti quanto al largo « le vecchie funi sommerse », che la cultura cerca di riannodare, sono spesso state rotte o strappate dall’intolleranza o dall’ideologia.
A cosa serve ribadire, con rassegnazione o con esasperazione, le aggressioni che continua a subire il nostro mare? Tante convenzioni firmate, tantissime conferenze tenute (fra le quali, nel 1995, quella di Barcellona che prometteva molti) hanno fallito senza gloria. I termini di scambio e di solidarietà, di coesione e di « partenariato » (questo neologismo diventa un passepartout delle commissioni internazionali) devono essere sottoposti a un esame critico. Occorre prima di tutto liberarsi da una zavorra ingombrante: ripensare le nozioni superate di periferia e di centro, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità, i significati dei tagli e delle integrazioni, le relazioni delle simmetrie a fronte delle asimmetrie. Certe concezioni euclidee della geometria hanno bisogno di essere superate dinnanzi a nuovi coordinamenti e alle prospettive diverse. Percepire il Mediterraneo partendo solamente dal suo passato rimane un’abitudine tenace e in fine dei conti inutile. Questo spazio ricco di storia è stato vittima dei vari storicismi. La « Patria dei miti » ha sofferto delle mitologie che essa stessa ha generato o che altri hanno nutrito. Un’identità dell’essere si esaurisce facilmente se non riesce a motivare un’identità del fare, analoga e complementare. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si perpetua: l’immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo stesso non si identificano affatto. La retrospettiva continua ad avere la meglio sulla prospettiva. Ed è così che lo stesso pensiero rimane prigioniero degli stereotipi. Il vasto anfiteatro del Mediterraneo ha visto per molto tempo sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi attori sono talvolta noti in anticipo e prevedibili. La sola paura dell’immigrazione proveniente dalla costa Sud non basta per determinare una politica ragionata e aperta. Non può fare nascere una cultura appropriata e necessaria.


Predrag Matvejevic´

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