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Dall’Egitto: Voci per la Pace

di Michele Capasso
Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo


Un giorno un uomo vestito di bianco, pulito, che non sembrava avere su di sé i segni di un lungo viaggio, comparve improvvisamente, come uscito dal nulla, al cospetto del profeta Mohammad, mentre questi era attorniato dai suoi discepoli. L’uomo si avvicinò, si sedette di fronte al profeta, gli pose le mani sulle gambe e incominciò ad interrogarlo: “”Che cos’è l’Islam?”, e il profeta rispose enumerando gli obblighi formali della religione; “e cos’è l’iman?”, incalzò l’uomo vestito di bianco, ottenendo come risposta che si trattava dei principi fondamentali della fede; la domanda finale fu: “Che cos’è l’ihsan?”. “L’ihsan è che tu adori Dio come se Lo vedessi, perché anche se non Lo vedi, Egli vede te”. Quell’uomo – rivelò più tardi il profeta ai suoi compagni – non era altri che l’arcangelo Gabriele in persona, venuto a mostrarsi sotto forma umana a quei primi musulmani, affinché potessero meglio comprendere attraverso quelle domande le basi fondamentali della nuove rivelazione.
Islam – iman – ihsan: in questo trinomio è contenuta l’essenza del messaggio spirituale coranico. Il primo termine, che è quello usualmente utilizzato per definire la religione nel suo complesso, significa alla lettera “sottomissione” e designa un insieme di precetti rituali e di norme legali, come preghiere e digiuni, leggi sociali e diritto famigliare. L’iman è invece la fede, che si manifesta nel professare le verità religiose basilari: Dio, gli angeli, i profeti, i libri sacri, la resurrezione e l’aldilà. Ihsan è il termine più problematico da tradurre con una singola parola italiana, ma in ogni caso allude ad una virtù più intima delle altre due, a un rapporto diretto e privilegiato fra l’uomo e Dio. Il Sufismo, spesso definito come la mistica dell’Islam, si propone appunto di esplorare questa dimensione spirituale più profonda, che va al di là dei precetti della legge o degli articoli del credo.

La realtà in trasparenza
Tutto quello che ci circonda, secondo i sufi, è segnato da una polarità di fondo: c’ò che cade più evidentemente sotto i nostri occhi è la superficie, l’esteriore (zahir), ma dietro quest’apparenza vi è sempre una realtà più profonda, occulta e interiore (batin). Ciò vale per tutti gli ordini dell’esistenza, per le idee come per gli oggetti: compito del sufi è quello di vedere sempre in trasparenza la realtà più vera delle cose (haqiqa) e non fermarsi al guscio esterno che la racchiude. Ogni versetto coranico, ogni precetto della legge, ogni articolo del credo rischiano di diventare oggetti inanimati se vi cogliamo solo la lettera che li esprime, trascurando il significato che giace sotto quelle forme e dà loro vita. Questa ricerca dell’essenza non deve però distruggere la forma che la riveste, poiché la perfezione sta proprio nel salvaguardate l’equilibrio fra l’esteriore e l’interiore, fra la lettera e lo spirito. Il Sufismo non ha così mai deprezzato gli atti del culto e le osservanze formali, proprio perché queste hanno una loro ragion d’essere e racchiudono una sostanza che va ben al di là del loro mero aspetto apparente. Non vi può quindi essere vero Sufismo senza Islam. L’uno non è comprensibile senza l’altro, perché entrambi attingono alla fonte della stessa rivelazione.

I recenti attacchi terroristici a Madrid, come quelli negli Stati Uniti dell’11 settembre, sono una sfida alla legge dell’umanità. Di conseguenza occorre rifiutare di seguire la legge della giungla sulla quale quegli attacchi erano basati. Occorre trovare una soluzione non con mezzi militari ma dando avvio a un esteso dialogo con il mondo arabo. Invece di gettare benzina sulle fiamme dell’odio, bisogna sommergere quelle fiamme con un grande flusso di dialogo che arricchirà e recherà beneficio a tutta l’umanità. Questa terribile tragedia ha avuto inizio nel primo anno del XXI secolo; ricorderemo quel triste evento facendo del 2001 il primo anno di una nuova era di dialogo con il mondo arabo. Questa è la migliore e l’unica scelta per garantire che simili orrori non si ripetano mai più e questo è il modo più adeguato per onorare la memoria di tutti coloro cha hanno perso la vita, ultimi gli innocenti spagnoli.

In questo contesto si inserisce il Concerto per la Pace della Compagnia El Saita, specializzata nella rappresentazione del repertorio mistico-religioso egiziano, svoltosi ieri sera a Napoli. Lo sheik Yassine El Tuhamy ha cantato poesie scritte da pionieri del sufismo quali Iben El Fared – Al Imam El Nafry e poesie dei moderni poeti. Il gruppo musicale che lo accompagna è costituito da musicisti che suonano diversi strumenti orientali: il liuto, il violino, il kawalla, il kanun oltre a strumenti di percussione. I musicisti hanno partecipato al canto in qualità di coro dello sheik che rappresenta con il suo canto non solo un caso di melodie ma un rito religioso caratterizzato da solennità e glorificazione divina.
Molta commozione si è avuta quando lo sheik Yassine El Tuhamy ha proposto una sua interpretazione dell’Inno del Mediterraneo quale messaggio di Pace.





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