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IL PORTO MEDITERRANEO, LA SUA STORIA, IL SUO MITO




TRIESTE 14 OTTOBRE 1995


CONVEGNO “ MARE E...”
Intervento di Michele Capasso


La storia del Mediterraneo è la storia dei suoi porti. La storia dei Paesi che si affacciano sul bacino Mediterraneo è fatta di popoli di naviganti, di rotte, di scoperte, di pirati, di meravigliosi viaggi e avvincenti conquiste.
In Francia, in Italia si vive sul mare ma il problema è si vive con il mare?
Se andiamo alle origini, affondando nella notte dei tempi vediamo che il cristianesimo non ha mai avuto un buon rapporto con il mare, Noè lotta per strappare il mondo alla furia del mare e dell’acqua, Mosè addirittura fa allontanare il mare dal suo cammino, non usa imbarcazioni, apre le acque. La distesa d’acqua salata è minacciosa, pericolosa e sarà l’arma contro gli egiziani inseguitori. Nel cristianesimo non c’è una mitologia positiva del mare, cosa che invece si ritrova nel paganesimo, pensiamo ad Omero che ambientava i suoi poemi su grandi distese marine da attraversare: grandi distese che celavano luoghi da scoprire, popoli da conoscere, avventure da vivere e da narrare. Nell’Olimpo, poi, c’era un posto d’onore per Nettuno, il dio del mare che l’iconografia classica ci ha tramandato munito di tridente, corona e lunga e fluente barba bianca. Nettuno o Poseidone che signore incontrastato di tutte le acque, il tridente ha un suo significato, è come il lampo per Zeus, è l’origine, il luogo primo da cui scaturiscono le sue azioni, e con esso, infatti, che agita i flutti e indirizza le onde e le maree.
E’il più volubile fra gli dei, incline alla collera, ed è quello che si è legato di più ai mortali generando, quasi sempre, mostri o banditi.
Poseidone però non è solo il dio delle acque ma esercita anche un potere sulla terra; gli antichi, infatti, credevano che i terremoti derivassero da uno sconvolgimento marino. Egli simboleggia la forza creativa, è il dio dei mari e delle terre che tremano, il simbolo delle acque primordiali, delle acque del basso e non dell’alto dove la vita nasce in modo tempestoso.
Nettuno ed Eolo decidevano il destino dei valorosi eroi che peregrinavano da un paese all’altro, da un’isola all’altra per fondare dinastie e imperi.
Tutto avveniva, nel grande, azzurro, calmo Mediterraneo delimitato dalle colonne di Ercole oltre le quali c’era il nulla. Il Mediterraneo ha il pregio di essere quasi un mare chiuso che non conosce quindi i devastanti tifoni oceanici ma che ha la fortuna di avere, nello stretto di Gibilterra, il monte di Tarik il conquistatore, l’accesso all’infinito, al resto del mondo, uno stretto attraverso cui c’era una costante rigenerazione delle acque.
Sappiamo dagli studi compiuti dai geologi che i continenti hanno cambiato la loro fisionomia nel corso dei secoli, grazie ai movimenti delle zolle tettoniche e delle placche, continenti che prima erano uniti ora sono divisi, ma ciò che è rimasto è la presenza del Mediterraneo che rappresenta per i popoli che vi abitano una sorta di liquido amniotico, una costante, rassicurante presenza.
Certo, a volte, c’è stato poco di rassicurante, pensiamo agli sbarchi dei turchi , dei mori e di tutti quelli che dal mare arrivavano con intenti bellicosi così da spingere gli abitanti costieri a costruire torrette d’avvistamento e ad arroccarsi sui pizzi delle montagne per sfuggire all’attacco. Ma non sempre lo straniero venuto dal mare ha solo distrutto; la storia delle popolazioni costiere è fatta di scambi, contaminazioni, condivisioni di lingua, architettura, usi e costumi. C ’è stata una tale sedimentazione che la storia delle città mediterranee è oggi una stratigrafia, i fenici, gli assiri, i sumeri, i romani, i greci, i mori e tanti altri.
Imbarcazioni di forme e colori diversi hanno solcato questo mare in lungo e in largo seguendo l’istinto primordiale dell’uomo: la sfida all’ignoto, la ricerca di tesori inestimabili. Ciò che Dante disse con “ Fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”.
Il porto dovrebbe essere uno dei luoghi della conoscenza per antonomasia perché è il punto di contatto fra rappresentanti di culture diverse, lo scambio diventa un veicolo per lo scambio di usanze, lingue, dialetti e informazioni in genere. Il porto è la cerniera tra la città, la terra ferma e tutto il resto, l’universo intero, è la porta d’accesso ad ogni dimensione dell’alterità , a tutto ciò che esiste fuori, lontano.Ecco perché lo identifichiamo con il viaggio, si parte per esplorare, per conoscere, per fuggire, scappare, si parte per mille diverse ragioni ma in ogni caso si consegna il proprio destino al mare, lasciandosi alle spalle, nel porto, tutto ciò che c’era prima. Sono stati tanti quelli che hanno affidato il proprio futuro al mare emigrando, tanti quelli che hanno sognato e agognato di poter salire su di un imbarcazione, un bastimento e noi italiani questo lo sappiamo bene, lo abbiamo vissuto nei tempi non troppo lontani da essere offuscati dalla memoria. Da qualche parte del mondo c’è sempre qualcuno che sogna di raggiungere la propria America salendo su una nave, oggi tocca agli albanesi, alle popolazioni della Ex Jugoslavia e agli abitanti del Terzo Mondo. Mediterraneo quindi anche come luogo di speranza , approdo per una nuova vita. Come dice il mio amico Predrag Matvejevic’: “ Anche le apparenze mediterranee sono significative. L’estensione dello spazio, la peculiarità del paesaggio, la compattezza d’assieme creano l’impressione che il Mediterraneo sia ad un tempo un mondo a sé e il centro del mondo: un mare circondato da terre, una terra bagnata dal mare. Il sole che gli sta sopra e lo illumina generosamente come fosse in cielo solo per amor suo o appartenesse unicamente ad esso.( I cosmografi e i geografi dal mondo antico trasferirono probabilmente qualcosa di queste illusioni nelle loro teorie e sulla carte). L’effetto dei raggi solari provoca determinati atteggiamenti psicologici, di durata stabile o passeggera. L’apertura e la trasparenza della volta celeste provocano stati di misticismo e paura dell’aldilà. Il Mediterraneo ha innalzato monumenti alla fede e alla superstizione, alla grandezza e alla vacuità. A proposito delle città del Mediterraneo di cui gli esperti dicono che non si sono formate come altrove dai villaggi, ma che invece hanno creato esse stesse dei villaggi attorno a sé per sé, è stato già detto praticamente tutto: delle polis e della politica, di piante e catasti, di costruzioni e stili, di pietre e tagli di pietre, di scultura e architettura, dei templi e dei cerimoniali, degli edifici e delle istituzioni, di scale, portali, facciate e palazzi, capitelli e castelli, di piazze e fontane, rive e corsi, di strade e di vita che si svolge appunto sulla strada. Le città di mare avevano le proprie forme di governo, i loro cittadini e sudditi, leggi e prigioni, diplomi e sigilli, bandiere e stemmi. Si distinguono le città con il porto dalle città – porto.
Nelle prime i porti sono stati costruiti per necessità, nelle altre si sono creati secondo la natura dei luoghi; qui sono una mediazione o un completamento, là l’inizio o il centro; ci sono porti che restano per sempre soltanto degli approdi o ancoraggi, mentre altri diventano palcoscenici e infine mondi. In questi ultimi si raccoglie di tutto e le cose vi affluiscono da ogni dove, si possono raggiungere da terra e vi si accede anche dal mare: si tratta dei porti franchi. Ogni vero porto aspira a diventare franco, ad acquisire e ottenere tutto ciò che serve per tale scopo. I loro saggi abitanti costruivano i lazzaretti e stabilivano i periodi di quarantena. Lungo il Mediterraneo spuntarono anche i primi asili per quelli il cui spirito era salpato per il vasto mare o aveva perduto l’ancora. Possiamo altresì distinguere i porti da altri elementi: se sono stati aperti dal corso di un fiume, se l’ hanno scelto o imposto le spinte di terraferma o addirittura dell’entroterra o se infine è stato proprio voluto dal mare. La natura del porto dipende dal modo in cui il mare gli sta dentro, dai soggetti cui è accessibile: l’Atlantico o il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è il mare della vicinanza, l’Adriatico il mare dell’intimità. Nei porti franchi si sente meglio la presenza del mare. In essi non si svolgono solo operazioni commerciali o almeno non solo quelle più vantaggiose. (Da alcuni porti delle isole Ionie s’importavano fino a non molto tempo fa solo conchiglie e coralli per le collane delle giovani donne.
La credenza che le città sommerse abbiano i loro porti esiste da tempo sul Mediterraneo”.
Il Mediterraneo è anche un luogo di luci, disseminato di fari che illuminano la scura e fonda notte, anche questo va interpretato come un segnale di speranza, il faro è la grande luce che ci segnala il pericolo ma è anche la sicurezza, la consapevolezza dell’esistenza di punti fermi, certi, pensiamo al faro di Alessandria. Ma qual è il rapporto che esiste tra i porti e le città? Non esiste uno standard, ogni città è un caso a sé, ogni città vive in modo diverso e particolare il rapporto con il mare. Ci sono città che sono cresciute e si sono sviluppate intorno al porto, ci sono città che vivono con esso un rapporto di interdipendenza come Genova, Barcellona, Marsiglia e ci sono città che lo ignorano e lo spingono verso i margini, come Napoli. Ecco, io sono napoletano quindi posso parlarvi della mia quotidiana esperienza, noi viviamo un rapporto tormentato con il nostro scalo, un rapporto di amore-odio. Ma forse è sempre così, c’ è sempre un rapporto molto complesso con il mare che bagna la propria città. Non esiste più il porto come borgo o il porto emporio, una vera e propria cittadella in cui le merci non solo sostavano ma, a volte venivano anche trattate , prima di essere reimbarcate o smistate. Una cittadella in cui viveva e lavorava una moltitudine di artigiani, maestri d’ascia, carpentieri, calafatori. Prima guardando un’imbarcazione, una nave, s’intuiva la sua provenienza da un particolare della lavorazione, come un marchio, un sigillo che lo distingue da tutti gli altri; oggi la produzione è in serie, standardizzata, non c’è più traccia di nessuna peculiarità. C’è stata una tendenza all’omologazione che ha appiattito ogni differenza.
Una cosa simile è avvenuta nei porti dove esiste l’area archeologica del vecchio porto e quella nuova dei terminal. E’ cambiata la logica che è alla base del porto, inteso non più come luogo di stoccaggio in cui i mercanti tenevano ferme le proprie merci anche per tenerle al sicuro, oggi il porto è un luogo di transito in cui le navi, le merci e gli uomini devono sostare il minor tempo possibile, perché il tempo è danaro. Siamo ben lontani da una visione romantica, dei docks, dei moli o dei viaggi di Conrad, quella romantica è una dimensione che forse, in parte, possiamo recuperare passeggiando sulle banchine di un porto turistico. I porti che si trovano all’interno dell’area urbana, inglobati nella sua cinta, sono considerati dagli operatori del settore, una realtà superata perché è il concetto stesso di porto che sta cambiando. In Italia il cambiamento è vissuto in modo travagliato, il progetto di riforma portuale si presenta come un cammino irto di ostacoli, la legge definitiva approvata nel gennaio ’94 si fonda su alcuni principi generali, al potere pubblico è affidata una funzione di programmazione, coordinamento e controllo e non più il potere gestionale, inoltre si prevede la presenza di imprese private che investano durevolmente al fine di ottenere uno sviluppo omogeneo e lineare dello scalo. Una riforma che ha suscitato molte polemiche lasciando parecchi scontenti ma che è tutt’ora in itinere sugli ottomila chilometri di costa della nostra penisola. Una riforma che ha prodotto un immediato cambiamento sociale nel panorama della portualità italiana sancendo l’abolizione delle condizioni di monopolio in cui operavano i camalli, gli operatori portuali, dopo le ripetute richieste della Comunità Europea. Chiusa la parentesi giuridica, che pure andava fatta per rendere conto dell’evoluzione della materia portuale, ritorniamo ad un tenore più discorsivo e mitologicamente caratterizzante dei porti. Sempre il mio amico Predrag Matvejevic’ in questo suo libro che io trovo molto bello, molto solare ed in questo senso mediterraneo più che mai, che è appunto il “ Breviario Mediterraneo”, fa una distinzione, una differenziazione soffermandosi sulle caratteristiche dei porti insulari che dice “ non sembrano avere le stesse ambizioni di quelli collocati sugli orli dei continenti: i primi sono fatti soprattutto per i naviganti, gli altri sono più per le navi. Le città e i porti sulle isole non sono nati come quelli che si trovano in altri punti, anche se spesso ne imitano forma e uso: li costruiva di solito la riva più forte, il mare doveva accettarli. Anch’essi possiedono il loro retroterra, ma lo hanno molto più ravvicinato: la città e il villaggio hanno qualcosa di più comune fra loro – di insulare appunto. I luoghi su cui sono state edificate alcune città erano un tempo delle isole: dapprima il braccio di mare fu chiuso e colmato, l’istmo fu poi allargato e nascosto con discrezione. Anche il porto dell’antica Atene era stato in origine un’isola: il Pireo. Questo non dipende unicamente da scopi pratici: ci sono isole alle quali il proprio destino resta scomodo e altre che invece ne vanno fiere. Il disagio e la fierezza sono tratti che s’individuano spesso nei caratteri degli isolani. Sono dati dai quali possiamo riconoscere anche determinate gealogie presenti sulle coste e più lontane da esse, nell’entroterra. Le caratteristiche degli isolani si addicono alle personalità più forti nei luoghi più diversi. Emergono sul Mediterraneo , da dove forse provengono. Esistono anche ambiti insulari nel territorio continentale, con porti affondati o invisibili o senza di essi”.
Il porto è anche il luogo del mistero, dell’intrigo e delle notti brave trascorse a bere e ad intrattenersi con le donne, a giocare a carte, il fronte del porto è sempre una zona movimentata, calda, è una frontiera senza essere un confine! Quello che ho appena detto può sembrare illogico ma è vero esattamente il contrario, il porto costituisce una frontiera ai fini legali, tant’è vero che si esercita un controllo doganale, e una frontiera in senso figurato, morale, perché costituisce la line a di demarcazione tra il luogo che si lascia e quello che si vuole raggiungere. Intorno ai porti ci sono sempre marinai in cerca di donne, di svaghi, un microcosmo di varia umanità spaccato di un mondo che gravita intorno ai moli, lo stesso spaccato, in fondo, che lasciò Cristoforo Colombo quando si avventurò con le sue caravelle per scoprire un mondo nuovo fatto di persone, animali, piante, suoni e colori diversi e mai né visti né mai immaginati prima. Magellano, Cristoforo Colombo e Vasco da Gama sono andati alla ricerca delle terre aldilà del loro mare, di quello che gli era noto. Erano considerati dei pazzi, dei visionari. Giorni e giorni in mezzo all’acqua, solo acqua, nella speranza di avvistare la terra, il porto, l’approdo. Purtroppo è andata persa l’opera di Timostene, ammiraglio di Tolomeo II autore di ben dieci libri sui porti, cosa di cui si rammarica anche Matvejevic’” Se non fosse andata così sapremmo di più sui porti antichi. Non bisogna guardare ad essi solo dal lato pratico , pensando a i carichi che venivano scaricati, al trasporto e all’uscita delle merci sulle navi. Essi infatti esistevano anche prima delle navi. Da lì i primi naviganti uscirono per raggiungere le rive opposte, su semplici tronchi di legno. I greci distinguevano il porto nato in modo spontaneo, in rapporto alla natura dei luoghi, per volontà del mare: limen autofnes, è un riferimento tra quelli primordiali ricordati dallo storico Tucidide. Pelago – limen secondo la descrizione dello stratega Polieno, era il porto che si trovava ad essere realizzato tramite una diga di pietre, con lunghi moli. I Fenici avevano l’abitudine di costruire dei porti che avessero due accosti, per venti che soffiavano in direzioni opposte. Scelsero i migliori posti del Mediterraneo indicandoli con le consonanti MHVZ (non sappiamo però le vocali che inserivano fra queste consonanti nel pronunciare la parola) . Sono molti quelli che nel nostro secolo si sono messi a cercare gli antichi porti, immergendosi in profondità fino a raggiungere i moli affondati, coperti di alghe, conchiglie e piante marine, o ancora scavando nel fango o nella sabbia che li ha completamente ricoperti. Un gruppo di archeologi francesi ha svolto degli scavi nella località dove si trova Byblos; mi ha preso quasi un senso di paura leggendo il resoconto di tutto ciò che venne colà ritrovato, di tutte le cose che c’erano e di come siano andate in rovina nel porto dal quale probabilmente ha preso nome il libro più letto del mondo. Gli scritti dell’Ingegner Gaston Jondet, che ha svolto ricerche sottomarine sui resti del porto di Faros, presso Alessandria, ci testimoniano l’abilità degli antichi costruttori: due grandi dighe, lunghe due chilometri e mezzo, larghe ognuna più di sessanta metri, su massi trasportati dalla cava di pietre di Mex, tenuti insieme senza cemento né intonaco, sistemati secondo il modello minoico, fra quella che doveva essere un tempo un’isoletta e la montagna di Abu- bakar. A Pozzuoli, vicino Napoli, le cui rive sono affondate, dove la storia annovera uno dei più grandi interventi di ingegneria portuale, realizzato con l’aiuto della sabbia vulcanica che a contatto dell’acqua , dolce o salata, si trasforma nel cemento più duro: la menzionano come una delle meraviglie di questo mondo sia Seneca, sia il conoscitore dell’architettura Vitruvio. Non lontano dal tempio di Se rapide, parzialmente sommerso e affondato in mare, circa dieci metri di profondità, si trova quella che doveva essere l’officina di uno scultore. Vicino a questi luoghi sbarcò San Paolo nel suo viaggio verso Roma,di lì passava la via Domitiana. Quella è la zona scelta da Petronio come cornice del suo Satyricon, per la cena di Trimalcione. Partendo da Pozzuoli ho trovato un epigramma dedicato alle matrone della non lontana località estiva di Baia, dove giungevano come delle Penelopi per ripartire come delle Elene. Il molo di Pozzuoli era uno dei più famosi”. Dalla storia ricaviamo anche l’informazione di uno stretto legame tra i porti e le festività, è il caso della festa di Portunas, la divinità dei porti e il protettore delle porte e qui il collegamento è lampante, il porto è la porta da cui si entra e si esce, l’accesso al vecchio e il nuovo, il passato e il futuro, il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest. Il porto è il crocevia, lo snodo, il passaggio, e non c’è mare che sia stato più solcato, che abbia visto più viaggiatori nel corso dei Millenni di questo nostro Mediterraneo. Ha assistito impassibile alle conquiste, le scoperte, l’avanzare del progresso o regresso,questo dipende dai punti di vista, ai mutamenti dei popoli che si sono avvicendati sulle sue rive. Quando si parla di porti si parla anche di luoghi strategici, non è un caso che in guerra i porti sono considerati un punto nevralgico, perché se è relativamente facile controllare un aeroporto non lo è altrettanto nel caso di un porto quando la natura abbia reso la costa difficile da sorvegliare. Questi cannoneggiamenti dal mare hanno scosso le città quanti ammiragli hanno deciso la vittoria o la disfatta del proprio Paese nelle grandi battaglie navali. E di battaglie oggi ce ne sono davvero troppe. Coda dire della Ex Jugoslavia, così vicina a noi eppure così lontana dall’Europa, quando eravamo a scuola ci insegnavano che i Balcani sono una polveriera e siamo cresciuti con la convinzione che fosse un grande barile di polvere da sparo. Poi siamo diventati adulti, e quasi ce ne siamo dimenticati. E oggi? Per quanto tempo ancora vogliamo ignorare, fare finta che nulla stia succedendo?
Le nostre coscienze sono diventati impermeabili e siamo ancora all’acqua, uno dei modi in cui possiamo diventare permeabili a quello che sta succedendo è quello di considerare il mare che ci unisce, il mere è un elemento unificante, il mare non odia, dal mare si può ricostruire, si può navigare da un porto all’altro, riannodando i fili che si sono così drammaticamente spezzati. Il mare può essere la rotta per riallacciare, ricomporre, far rivivere. Il grande Leonardo diceva che da Oriente ad Occidente in ogni punto è divisione, non nel mare, l’acqua unisce ciò che gli altri elementi distruggono, allontanano. Un viaggio dal mare non mostra tutti gli orrori della distruzione e ci spinge a vedere il futuro in un’ ottica diversa, le vie del mare sono come quelle del Signore, sono infinite, tutto e nulla sembra possibile dal mare, ogni cosa sembra facile o difficile, ogni porto raggiungibile o perso per sempre.
C’è una dimensione dell’anima che riguarda i mari e i porti, ed è quella che io oggi ho cercato di trasmettervi, la storia e la mitologia sono lo strumento, il veicolo attraverso cui noi dobbiamo recuperare il significato del mare e dei porti che è quello di un Mediterraneo di pace, un Mediterraneo culla e non bara della civiltà, di cui in queste acque sono sorti e tramontati grandi imperi, grandi uomini e grandi idee, ora spetta a noi saper raccogliere questa eredità e costruire un Mediterraneo di pace, di speranza, di cultura e di sapere.

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