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Colloquio con... Michele Capasso
27 dicembre 2004

Michele Capasso è nato a Torre del Greco (Napoli) nel 1954. Inizia la sua carriera nel 1964 come fotografo, gallerista e pittore. Si laurea in Architettura e inaugura uno studio a Napoli e uno a Roma. Tra i vari progetti messi a punto, il restauro della biblioteca di Sarajevo. È presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo - Maison de la Méditerranée, attraverso cui promuove il dialogo tra le società e le culture dello spazio euro-mediterraneo.

È possibile rintracciare un elemento costante rimasto immutato nei secoli nel bacino del Mediterraneo?
Il Mediterraneo è un mare in cui sin dall’antichità si sono incontrate e scontrate così tante culture da divenire la culla della nostra civiltà e dell’Europa intera. Purtroppo gli scontri che hanno caratterizzato il Mediterraneo hanno avuto luogo soprattutto per ignoranza, per mancanza di conoscenza. Bisogna riconoscere che dopo il felice periodo dell’epoca greca, del tempo degli dèi, i guai nel Mediterraneo sono cominciati con il diffondersi delle tre religioni monoteistiche. Sovrapponendosi e spesso confondendosi, il Cristianesimo, l’Islamismo e l’Ebraismo, riferendosi ad un unico Dio, attraverso differenti interpretazioni legate ai popoli, agli usi e alle tradizioni, hanno portato ad un conflitto religioso che non è tale in linea di principio, ma lo diviene con la politicizzazione diffusa della religione. Cristiani, musulmani ed ebrei nel Mediterraneo hanno condiviso le stesse terre per secoli. La Pira negli anni ’50 diceva che “la Sinagoga, la Cattedrale e la Moschea, sono i luoghi intorno ai quali si costruiscono le nazioni, i popoli e le civiltà”. Una delle azioni principali della nostra istituzione è “Un Mare, tre Fedi”, che vuole sottolineare proprio l’importanza di recuperare il valore comune a queste tre religioni per promuovere il dialogo e, con esso, la pace.

Di cosa si occupa la Fondazione Laboratorio Mediterraneo?
La nostra Fondazione è una ONLUS ed una rete euro-mediterranea di organismi – Università, Città, Accademie, Associazioni, ecc - che ha il fine di promuovere il partenariato euromediterraneo attraverso lo sviluppo del dialogo tra le società e le culture per assicurare la pace, lo sviluppo condiviso e la costruzione di un’area di libero scambio. Dal 1994, anno di nascita della Fondazione, innumerevoli sono state le attività organizzate. Dagli appelli per la pace alle rassegne cinematografiche sul Cinema dei paesi dell’Europa centro-orientale e dei paesi arabo-mediterranei, dai seminari di alta formazione alle conferenze euro-mediterranee, dai forum della società civile ai master ai “Premi Mediterraneo”. E ancora va ricordata l’intensa attività di ricerca svolta in collaborazione con le università, le innumerevoli pubblicazioni, le mostre d’arte e i concerti per la pace. E lungo sarebbe l’elenco dei membri che hanno aderito alla Fondazione, delle sedi sparse nei vari Paesi euro-mediterranei e quello dei riconoscimenti ricevuti in questo decennio.

In che modo è possibile fare delle differenze un motivo di ricchezza, piuttosto che di divisione?
Paradossalmente il Mediterraneo, il mare dell’amore, con la sua dolcezza, la sua storia, i suoi colori, non ha l’infinità dell’oceano. In un momento in cui tutto sembra perduto, il sangue versato ogni giorno lascia tutti con un senso di frustrazione. È proprio questo il momento di allargare il nostro orizzonte, che è giusto che non sia infinito e drammaticamente immenso. Oggi è indispensabile creare un ampio orizzonte che comprenda la storia per progettare il nostro futuro basato sulla speranza: per far ciò occorre procedere ad un’azione di addomesticamento dell’infinità dell’orizzonte. E’ importante comprendere che un orizzonte ben disegnato – come quelli godibili nel Mediterraneo - appare come una necessità per costruirsi un senso di vita, ancor più necessario soprattutto quando le tragedie quotidiane, le amoralità, la mancanza di etica - in particolare a livello politico - ci inducono spesso a pensare al peggio. Il Mediterraneo è la culla della nostra civiltà, è il mare dell’amore e della cultura e da qui deve partire un messaggio forte. Bisogna essere capaci di trasformare l’amore per il potere, nel potere dell’amore. E per fare ciò è indispensabile far sì che la Cultura diventi una forza buona capace di incidere nei processi della storia, guidati troppe volte solo dalla parte deteriore della politica e dell’economia. Cultura significa bellezza, bellezza significa amore: il Mediterraneo è la più grande cassaforte per questi valori. Occorre promuovere il dialogo tra le culture, dando voce alle differenze e creare occasione di incontro. Elementi questi che poi devono trasformarsi in strumenti di sinergia e conoscimento reciproco attraverso il superamento di distanze e differenze e di immagini distorte dell’altro. Attività finalizzate a questo scopo possono essere il “Premio Mediterraneo”, le mostre d’arte di donne e giovani del mondo islamico, la realizzazione di forum virtuali attraverso Internet, come il nostro Euromed Cafè, che dà spazio alla creatività di tutti i giovani…

C’è, poi, un appuntamento fisso rappresentato dal “Premio Mediterraneo” al Concerto dell’Epifania…
Il decennale rapporto con Oltre il Chiostro è estremamente sentito, realizzato, tra l’altro, pochi mesi dopo la nascita dei nostri rispettivi organismi. Si sentiva l’esigenza di creare una voce che desse spazio alle differenze. Ho sempre sostenuto il Concerto dell’Epifania abbinandolo al “Premio Mediterraneo”, perché le diverse forme artistiche, attraverso un gioco di sottofondo e di protagonismo reciproco, favorissero il dialogo delle varie espressioni individuali e la sinergia di una sapiente coralità, una coralità nel rispetto delle singole voci che concorrono a creare un concerto comune, possibile solo grazie a una produzione in cui l’insieme non è dato dal susseguirsi di brani reciprocamente tolleranti, ma dalla realizzazione di un prodotto comune rispettoso delle particolarità e delle specificità. Laddove gli identitarismi e i narcisismi falliscono, il miracolo della musica, unendo emozione e ragione, riesce.

Qual è l’impegno della politica, delle università per la diffusione della cultura del Mediterraneo?
Il problema è a monte. Già dieci anni fa affermammo che era impostata male l’azione di partenariato che aveva iniziato l’Unione Europea, la quale dichiarò di voler raggiungere la sicurezza attraverso politiche di sostegno anche alla NATO, attraverso un’impostazione strategica anche militare, per ottenere scambi economici e commerciali proficui che avrebbero portato di conseguenza dialogo e scambio tra le società civili. All’epoca ci opponemmo sottolineando lo schema totalmente sbagliato che era stato proposto. Ad una lettura attenta e colta del Mediterraneo, si capisce che è attraverso il dialogo tra le culture e la conoscenza che si ottiene, poi, lo scambio economico e commerciale. Il processo è, quindi, completamente inverso. L’11 settembre ci ha dato ragione. L’UE ha così deciso di costituire una fondazione euromediterranea per il dialogo tra le culture, un dialogo che si afferma tra i giovani, le università, in una regia fatta in maniera coordinata che racchiude i venticinque paesi dell’Unione Europea e i dieci della riva sud del Mediterraneo. Il nostro scopo è quello di evitare chiacchiere, per far parlare la gente. Un’azione fondamentale è quella di essere strumento di interconnessione e potenziamento di strutture e progetti già esistenti. Attraverso la creazione di partenariati multilaterali, strutturazione di agreement di collaborazione, partnership con istituzioni e organismi della società civile.

Il dialogo è, quindi, indispensabile…
È indispensabile, ma bisogna fare attenzione affinché non passi esclusivamente attraverso le burocrazie o gli incontri di esperti, che corrono da una città all’altra, da un convegno all’altro. È necessario che si dialoghi approfondendo lo studio di nodi focali a livello di politica, religione, diritto e formazione. Le notizie forti di morti e attentati governano i media, proponendo una forte riflessione: è la minoranza di quello che accade che governa il mondo dell’informazione. I media sulla minoranza di notizie forti costruiscono difese e intolleranze che stimolano integralismi producendo sicurezze ancestrali nella memoria delle rispettive tradizioni. Il dialogo tra le culture è la medicina. Intrinseco ad ogni società, richiede l’efficienza e la tecnologia, unitamente a quella della relazione dell’espressione. Non è e non deve essere un dialogo freddo: bisogna miscelare l’efficienza e la tecnologia con il calore della relazione e l’intimità dell’espressione.

A proposito di tecnologia, come vede l’avvento della modernità?
Con i suoi miti di efficienza e razionalità, la modernità ha perso il contatto con i valori della democrazia e dei diritti umani. È questa la grande defaillance della modernità, bisogna assolutamente evitare l’appiattimento e l’omologazione. Se questa globalizzazione non governata non assume una adeguata democratizzazione, finirà per snaturare la democrazia stessa. La modernità è la parte essenziale della globalizzazione. L’efficienza e la razionalità in una prospettiva liberista, deve portare a un uso delle risorse umane che deve sì sottostare alle regole del mercato, ma non deve perdere i principi dell’uguaglianza, dei diritti umani, dell’etica e dei valori. Non deve assorbirsi in un solo sistema di misure, ma le misure devono sempre concorrere ad un sistema più grande di valori che sono la parte prioritaria.

A quale immagine ricorre per trasmettere al meglio la Sua idea di Mediterraneo?
Il Mediterraneo non è un mare chiuso da terre, ma un insieme di terre bagnate dal mare. Non si può parlare del Mediterraneo se non si parla delle terre che lo circondano. Il simbolo della nostra istituzione unisce quattro piante come la vite, il lauro, la palma e l’ulivo. Quello che cresce di più è l’ulivo che si espande oltre la Mauritania a Sud e arriva a toccare le regioni più settentrionali. Volendo agire promuovendo dialogo e pace nel grande spazio del Mediterraneo, potremmo dire che il Mediterraneo esiste laddove esiste l’ulivo. Che è poi anche simbolo di pace.

Quali argomenti porrebbe all’ordine del giorno per “domani”?
Al primo punto, l’eliminazione della burocrazia. Bisogna gridare al mondo che il dialogo e la pace non sono un affare burocratico e politico. Costituiscono un senso, una visione di vita che parte dal credere in un sistema di valori. Annegare questa azione nelle sabbie mobili della burocrazia e della politica più meschina, significa affogare il processo di pace e distruggere il nostro futuro. Bisogna combattere con tutte le forze la miopia della burocrazia e della politica che con le sue briglie e con i suoi tentacoli affoga lo sforzo che la società civile sta facendo. Da questa azione prioritaria dipende il futuro delle nostre generazioni e anche la difesa del pianeta, su tre grandi assi. Dal dialogo, dalla salvaguardia dell’ambiente e dallo sviluppo sostenibile, dipendono la pace e quindi il nostro futuro. In una società globale, il Mediterraneo rappresenta la culla e il cuore pulsante. Mi piace paragonare il mar Mediterraneo ai porti, visti come strutture che attraggono e respingono in un ritmo frenetico. I porti attraggono e respingono culture, religioni, mestieri, saperi d’arte, commercio. Se non restituiamo al Mediterraneo questa sua ritmicità, avremo perso una partita anche in considerazione di nuove dimensioni geo-politiche e geografiche che si stanno rafforzando.

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