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Colombo: «Mediterraneo mare di pace»
Di Nadia Fiore


Da studioso ed esperto di politica estera, Alessandro Colombo, nell’ambito del ciclo di conferenze dedicate dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo alla politica internazionale ha proposto un’analisi della politica estera americana: dalla messa in discussione dell’unipolarismo degli Stati Uniti all’analisi del concetto stesso di democrazia, per arrivare alla vasta e complessa problematica mediorientale.

La questione della democrazia non è fondamentale in medio-oriente?
«Dal mio punto di vista risulta prioritario la costruzione di un sistema di stati che sia in grado di dare vita a un Medio Oriente diverso da quello di settanta anni fa».

Quali crede che siano le effettive prospettive di pace nel conflitto israelo-palestinese nel dopo Arafat, tenendo conto anche delle recenti elezioni in Palestina?
«Non credo, che la morte di Arafat cambi sostanzialmente le cose. Il vero elemento che rende più problabile la riapertura del negoziato, è il fatto che c’è una spropozione di potere enorme fra Israele e palestinesi. Il negoziato nasce paradossalmente su questa premessa. Ma la spinta alla democrazia nel Medio Oriente con le prime elezioni libere in Iraq si fa sempre più forte».

Come interpreta questo segnale?
«Il problema attuale dell’Iraq non è costruire una democrazia ma ricostruire uno stato. Oggi in Iraq non c’è uno stato di cui si può parlare, e la costruzione della democrazia in queste condizioni sarebbe un capolavoro nel senso che bisognerebbe riscrivere tutti i manuali di scienza politica».

Dopo l’11 settembre come spiega l’emergere dei fondamentalismi mussulmani negli ultimi decenni? E qual è l’attuale portata della tesi di Huntingon sullo scontro di civiltà?
«La tesi di Huntingon non è mai stata valida. I movimenti radicali islamici hanno una tendenza a diffondersi ogni volta che i movimenti nazionalisti laici vengono sconfitti dagli occidentali. La spinta quindi, nasce da una serie di conflitti che hanno natura politica economoca e sociale».

Ma esiste anche un islam moderato. Il recente appello di Tariq Ramadam di non violare i diritti umani in nome della sharia è un esempio. Cosa ne pensa?
«Certo esiste un islam moderato. Il mondo islamico è un mondo variegato così come altre culture. E quindi visioni totalmente diverse del grado di penetrazione dell’islam nella vita sociale e politica. E questa oscillazione dipende in parte da dinamiche interne e esterne alle quali noi non siamo estranei».

Si sostiene che il nostro sia il secolo dell´euroislam, inteso quale processo di integrazione dei musulmani immigrati con le culture europee. Ma di fronte a valori difficilmente compatibili che come afferma Bernard Lewis vanno dalla posizione della donna a partire dalla poligamia o al rapporto tra religione e stato, si pone l´interrogativo: l’islam si europeizzerà o l´Europa sarà islamizzata?
«È una domanda difficile. Il problema che ci dobbiamo porre e come gestire questa integrazione. L’interrogativo è quale deve essere il rapporto tra ciò che è comune e ciò che deve essere lasciato plurale».

Il 2005 è l’anno del Mediterraneo, inteso sia come dimensione artistica sia come metafora delle diversità: etniche, religiose, politiche, che come luogo di guerre, soprattutto quella arabo-israeliana. Dialogo, cooperazione, ricerca di interessi comuni per i paesi dell’area mediterranea, necessitano di scelte politiche precise. Qual è la sua opinione?
«I paesi europei e gli Stati Uniti fra di loro non hanno mai avuto una politica comune nei confronti del Mediterraneo. Anche se in Europa c´è forte questo desiderio di aprire questo processo di cooperazione con il Mediterraneo, il nostro problema è che ci mancano alcune risorse di cui dispongono solo gli americani che non vogliono le stesse cose che voglamo noi».

Ad esempio?
«Il problema è che sul tavolo politico l’Europa non ha le carte giuste».

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