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DISCORSO DI PADRE ELIAS CHACOUR
Signor Segretario Generale del Consiglio d’Europa,
Signor Presidente della Regione Campania,
Signor Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo.
Signori e signore.

Sono veramente onorato del calore della vostra ospitalità e del vostro benvenuto.
Io sono un semplice cittadino della Galilea, non sono un politico, non sono un grande uomo, sono un credente nei diritti umani: se non accettiamo le differenze reciproche non raggiungeremo mai una pace comune.
Se mi permettete vorrei presentarmi in quanto credo che ciò possa aiutare a capire la complessità del conflitto israelo-palestinese.
Sono un palestinese, sono un prete palestinese ma non ho bombe nelle mie mani.
Sono anche un palestinese - arabo; la mia lingua madre è molto facile da imparare, se non mi credete venite con me in Galilea e vedrete che anche i bambini piccoli parlano arabo.
Sono anche un cristiano, un prete cristiano della chiesa bizantina cattolica e sono anche, se riuscite ad immaginarlo, un cittadino dello Stato d’Israele.
Queste quattro facce della mia identità, che altri vedono come una complicazione, io le considero come una conquista. La complessità può essere usata in modo da raggiungere un’unione delle diversità, che vengono così accettate, rispettate, e anche ricercate come un arricchimento, piuttosto che come un pericolo.
È ovvio che ad un certo punto io mi sia chiesto “chi sono”?
Innanzitutto potrei essere un cittadino israeliano, ma Israele è un paese molto giovane che ha appena 54 anni: io ne ho 63. Quindi è ovvio che non sono nato in Israele, né tanto meno sono un immigrato in Israele. È Israele che è nato nel mio Paese: la Palestina. La mia gente è stata divisa e sparpagliata prima per tutto il Medio Oriente e poi per il mondo intero, ed abbiamo così, sfortunatamente, cominciato quello che noi non ci saremmo mai sognati: l’incubo della Diaspora Palestinese. Quindi non sono neanche un cittadino palestinese, perché sono diventato un palestinese dopo la creazione dello stato di Israele, quando una piccola minoranza di palestinesi, hanno deciso di rimanere nelle loro città o nei loro dintorni. Io sono stato uno di quei palestinesi, un milione e duecentomila, che è diventato un cittadino israeliano. Spero di essere un cittadino come Shimon Peres e come tanti altri cittadini e non soltanto un uomo tollerato da questi.
La politica della tolleranza è la peggiore che si possa praticare. Voi conoscete l’orribile esito dell’olocausto; io non ho mai tollerato gli ebrei in Palestina, ma li ho accettati come compagni e allo stesso modo non ho mai accettato di essere semplicemente tollerato. Io non sono nato in Palestina, sono nato in una famiglia che vive in Palestina da tempo immemorabile; io non parlavo arabo alla mia nascita, non conoscevo nessuna lingua, non sono nato cristiano sono diventato cristiano molto tempo dopo la mia nascita.
Signore e signori voglio aiutarvi a comprendere e vi invito a capire l’importanza di cosa io sia.
Io sono nato semplicemente come bambino: non sono nato già come palestinese, nè come cristiano e nemmeno come cittadino israeliano o come arabo, ma come un semplice bambino. Niente di più e niente di meno. La mia fede come cristiano non può in nessun modo ignorare la presenza di altre due fedi, quella ebrea e quella islamica. Ecco cos’è la mia fede.
Io mi rendo conto che noi tutti siamo orgogliosi di essere palestinesi, cristiani, musulmani ed ebrei, di essere i discendenti di cittadini iracheni. Riuscite ad immaginarlo? Ebrei, musulmani e cristiani orgogliosi di essere la discendenza di un cittadino “iracheno”. Ma oggi saremmo tutti assoggettati al presidente Saddam Hussein.
Non stiamo facendo altro che usare tutti questi argomenti religiosi per la nostra esclusività, per la nostra attitudine radicale e la nostra violenza. Abbiamo usato già fin troppa violenza per affermare il nostro potere e il nostro controllo sulla terra della Palestina. La terra della Palestina non dovrebbe appartenere né ai palestinesi, né agli israeliani, ma dovrebbe essere condivisa tra di essi e noi dovremmo comprendere come appartenere ad essa.
Quindi vi invitiamo, con tutto il nostro potere di convincimento e di amore, ad aiutare entrambi, palestinesi ed ebrei a capire come condividere la terra, come stare vicini gli uni agli altri in una convivenza pacifica.
Se ognuno continua a rimanere sulle proprie posizioni, ci saranno altri funerali, da entrambe le parti. I martiri di una fazione vengono chiamati terroristi nell’altra, e abbiamo avuto fin troppi martiri. Noi non siamo terroristi e vi chiedo per favore di usare tutto il vostro potere affinché nazioni o gruppi di persone non vengano stereotipati e additati come terroristi. Ci sono palestinesi cattivi, come israeliani cattivi, ma non tutti noi siamo cattivi, non siamo terroristi. Sono nato e cresciuto nella violenza che mi ha terrorizzato. Come i bambini ebrei venivano portati nei campi di concentramento, così i bambini palestinesi vengono portati oggi nei campi dei rifugiati. Non siamo terroristi, siamo semplicemente esseri umani.

Signori e signore vi ringrazio per avermi premiato, ma non state premiando me personalmente, state premiando tutte quelle persone che lavorano con me nella scuola dove mi ritrovo ogni giorno, con i miei “figli e le mie figlie”, palestinesi e musulmani, ebrei e cristiani e io chiedo loro un solo favore: quando mi vedete donatemi un sorriso di speranza.
Il mondo d’oggi sta sviluppando una cultura di paura e di morte e la guerra può solo produrre altre tragedie.
Non c’è una sola guerra, signor presidente, ci sono tante guerre, e non c’è nessun vero vincitore in guerra, neanche nella guerra in Iraq: ci sono due perdenti.
Si prepara un’altra orribile guerra e proprio non ne abbiamo bisogno. Io devo ascoltare la voce del messaggio religioso, sia esso cristiano, arabo o ebreo: il messaggio di fiducia, di pace, shalom, salam, shlomò in aramaico.
Bisogna pagare per avere la pace, “dovete sporcarvi le mani per avere la pace”, non potete essere solo dei contemplatori della pace. Shalem significa anche perfetto, completo, integro, e per avere una completa integrità bisogna pagare.
I profeti cristiani, musulmani ed ebrei ripetono sempre che se vogliamo la pace e la sicurezza, bisogna perseguire la giustizia e l’integrità. Le armi e le guerre non ci porteranno la pace. Perseguite giustizia e integrità ed è quello che stiamo cercando di fare, molto umilmente, in quel piccolo villaggio sperduto in Galilea, tra Nazareth, ed Haifa .
Abbiamo bisogno del vostro aiuto e, molto più del vostro aiuto finanziario, abbiamo bisogno del vostro aiuto morale, della vostra solidarietà e anche del vostro coraggio nel parlare chiaramente a favore di una società pluralista, a favore della coesistenza, della convivenza civile, dei diversi popoli che non hanno paura delle loro differenze ma vengono arricchiti da quest’ultime.
Questo premio che la Fondazione Laboratorio Mediterraneo ha voluto attribuirmi è profondamente apprezzato.
Guardiamo all’Europa oggi, non come la superpotenza militare, ma come al potere dell’esperienza, dell’esperienza culturale, dell’esperienza educativa, dell’antica lotta per la libertà, per la fraternità e per l’uguaglianza.
Possa Dio benedirvi, sono orgoglioso di essere qui alla vostra presenza, mi fate sentire molto più grande di quanto in realtà io sia, grazie.
Che possiate essere benedetti ed abbiate il coraggio di vedere la verità sul volto della gente di potere.
Mi rivolgo anche allo stesso Presidente Bush e agli altri: usate le parole della verità e supererete l’odio con la pace e la sicurezza.

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