IL DENARO

10 marzo 2005

 

 

A Roma per stracciare i veli delle differenze

Al complesso del vittoriano la mostra di artiste dal mondo islamico fino al prossimo 3 aprile

 

Un segno di speranza per le donne, dalle donne del mondo arabo: arriva con questo ulteriore messaggio a Roma la mostra 'Stracciando i veli: donne artiste dal mondo islamico che, pensata per trasmettere un'idea di pace e dialogo contro stereotipi e differenze tra culture, è stata inaugurata proprio nel giorno della festa della donna. La mostra rimarrà nel Complesso del Vittoriano fino al 3 aprile. Nel corso della conferenza stampa, il sindaco di Roma Veltroni ha sottolineato che “La mostra è giunta in Italia a cura della Fondazione Laboratorio Mediterraneo nell’ambito delle celebrazioni per il decennale della sua costituzione e diventa ora un evento romano in occasione del 2005 Anno del Mediterraneo”. L’assessore alle Pari opportunità del Comune di Roma Mariella Gramaglia, ringraziando la Fondazione per aver consentito a Roma di celebrare l’8 marzo con un evento altamente significativo, ha sottolineato che “la mostra conferma ancora di più che il linguaggio universale dell’arte può anticipare ed accompagnare mutamenti sociali e politici di più vasta portata”. Alla cerimonia d’inaugurazione - presente la principessa Wijdan Ali di Giordania, presidente della Royal Society of Fine Arts di Amman, sede tematica della Fondazione Laboratorio Mediterraneo, e promotrice della mostra itinerante che ha già toccato Asia, Europa e Stati Uniti —erano presenti gli ambasciatori di Giordania e Siria, il responsabile esteri dell'Ansa, Giulio Pecora, e il presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo, Michele Capasso. L’esposizione nel Complesso del Vittoriano a Roma raccoglie una settantina di dipinti di 51 donne artiste che vivono in 21 paesi islamici, dall'Indonesia allo Yemen: tutte donne, tutte arabe, ma di fedi e di generazioni diverse. Ed è anche questo che vogliono dire con le loro opere: far capire, cioè, che il mondo arabo non significa solo Islam e che la donna islamica non è sempre donna con il velo. Per farlo usano un linguaggio universale, l'arte: oli e acquerelli, ma anche incisioni, collage e serigrafie che diventano corpi, volti, ombre e astrazioni per raccontare il proprio mondo, dalla tradizione araba alla denuncia politica, senza dimenticare ovviamente la condizione della donna. "Questa mostra vuole essere un'occasione per abbattere stereotipi e imparare a guardare con spirito aperto", ha sottolineato la principessa Ali. "Il velo non è quello che copre le donne musulmane, perché solo una minoranza lo porta e chi lo porta è spesso intelligente e acculturata. Il velo che vogliamo rompere è quello che oscura la mentalità di quelli che guardano le donne del mondo islamico con questi pregiudizi". "Oltre ai contenuti importanti, che richiamano forme di libertà - ha poi aggiunto Mariella Gramaglia -colpisce soprattutto la ricchezza delle forme espressive, che ci confermano una volta di più che le donne del mondo arabo possono emergere con un rinnovamento politico straordinario". "Perché ci sia una fine del terrorismo in Medioriente serve una soluzione giusta in Palestina e anche in Iraq. Serve giustizia". A chiederlo è la principessa Wijdan Ali di Giordania. "Se non c'é giustizia nel Medioriente, non ci sarà fine al terrorismo - spiega parlando a margine della Mostra - e se l'Occidente ne vuole la fine, deve trovare una soluzione per i nostri problemi in Iraq e in Palestina. E' l'occupazione, in particolare, la drammatica realtà che più tormenta gli abitanti della regione: Come ti sentiresti se una grande potenza occupasse l'Italia? Reagiresti o la percepiresti come una 'democrazia'? - chiede, retorica - non è possibile accettare qualcuno che viene dall'esterno ad occupare il tuo paese". E tanto più, "non è possibile accettare che l'unica via per portare la democrazia sia l'azione militare", aggiunge. Per questo c'é una preoccupazione diffusa, che contagia anche lei, principessa e suocera di una ragazza palestinese: "Voglio esprimere il mio dolore per la famiglia dell'agente italiano ucciso - dice - perché capisco quel dolore, perché noi lo viviamo ogni giorno, in Iraq e in Palestina". Il suo messaggio di pace, è quindi quello di "parlare, parlare tra di noi e soprattutto di imparare ad ascoltarci". Un dialogo, cioè, che vada oltre le differenze: un dialogo come quello che può fare l'arte, il linguaggio che tante donne arabe hanno scelto per raccontarsi al di là degli stereotipi che spesso fanno coincidere il mondo arabo con l'Islam e la donna islamica con il velo. "Solo una minoranza delle donne musulmane porta il velo - precisa la principessa - e alcune di quelle che lo portano sono istruite, hanno studiato: il progresso non significa portare la minigonna. E il velo che vogliamo stracciare, quindi, è quello che copre la mente di quelli che guardano le donne del mondo musulmano con questi stereotipi". Contro questi pregiudizi e per costruire ponti tra culture, "l'arte è il miglior linguaggio", ha concluso la principessa, che con un passato da diplomatica oggi si occupa d'arte, e dipinge lei stessa, affidando alla tela il suo messaggio: "Dipingo l'amore. Perché nel mio tentativo di dare un messaggio di pace, credo che l'amore sia l'unico soggetto possibile. Credo fortemente nell'amore e sono da dieci anni vicino al mio caro amico Michele Capasso che lavora, tenacemente, per trasformare “l’Amore per il Potere” nel “Potere dell’Amore”.