IL MATTINO SPECIALE
17 settembre 2005
Trentacinque i creativi della Campania, eterogenei e senza
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Di Francesco Galdieri
Settecentocinquanta
artisti da ventotto paesi europei e dell'area meridionale del bacino del
Mediterraneo. Centoventicinque gli under 30 italiani; trentacinque i giovani
creativi provenienti dalla Campania selezionati a declinare, ognuno secondo i
propri parametri contenutistici e stilistici, la passione come trait d'union
multidisciplinare. Macroarea tematica, «la passione anima i napoletani e la
passione rappresenta anche, e spesso, quando diventa eccesso di partecipazione,
uno dei problemi principali di questo territorio», secondo Gigiotto del
Vecchio. «Ma il fascino di Napoli è nell'essere totale, di sfuggire
volontariamente alla riconoscibilità ed allo stesso tempo di essere
profondamente cosciente dell'unicità (riconoscibile) della propria cultura -
continua il selezionatore dei giovani napoletani per le arti visive - La
selezione degli artisti campani tiene conto di tale complessità,
dell'impossibilità di riunire ogni cosa sotto un unico elemento identificativo,
sotto un solo cappello estetico, espressivo, culturale». E l'eterogeneità degli
ambiti espressivi di riferimento, delle tappe salienti dei singoli curriculum
vitae, delle soluzioni formali adottate per le opere e per le produzioni «site
specific» confermano la disomogeneità linguistica come punto di forza della
rassegna e, più in generale, come fil rouge della nuova creatività nazionale ed
internazionale. Dalle trentacinque presenze (individuali e di gruppo) di Napoli
e provincia selezionate per questa edizione - quella dei vent'anni di attività
della Biennale giovani - quasi tutti battitori liberi: esordienti, o giù di lì.
Come Clemente Capasso, venticinquenne partenopeo, laureando in Visual Design,
presente in mostra con "Senza Titolo". Un patchwork fotografico del
2004, in cui le passioni personali - messe in forma mediante l'assemblaggio di
frammenti autobiografici: biglietti di concerti, cartoline, souvenir di viaggio
e foto di gruppo montate, come un puzzle della memoria, su una tavola da
skaetboard, a parete - si traducono in un «sentire» generazionale. Una
riflessione critica sul tema della manifestazione viene da Rosaria Iazzetta,
giovane di talento - riconosciuto più oltreoceano (in Giappone e Australia) che
da noi - che per l'occasione presenta un lavoro energico nel contenuto e
nell'impatto visivo. L'immagine dell'homeless seduto su una croce lignea,
costruita dall'artista stessa, poggiata a terra, su un marciapiede di Tokyo è
straniante, intenzionalmente innaturale. In «The end of the passion», un
lightbox (125 cm. per 167 cm.), fittizia è la croce, come la posa del barbone,
protagonista, consapevole, dell'opera, emblematica di una pressante estensiva
mercificazione delle emozioni. Compresa la passione secondo Rosaria Iazzetta
che, da arguta osservatrice e portavoce della società giapponese, ci rammenta
che «tutto, ma proprio tutto, ha un prezzo». Il suo lavoro redarguisce e
denuncia che la passione ha smarrito l'identitaria componente naturale,
«omologata ad un accessorio da acquistare al supermercato, componente del
nostro makeup, e, in quanto prodotto di una società iperconsumistica,
doppiamente inarrivabile per chi è fuori dal sistema dominante». Da una preview
di insieme degli artisti napoletani, coautori dell'imponente mosaico iconico
collettivo sulla passione, che emerge, forte di un'insita plusvalenza
interpretativa, Marco Abbamondi, Federico Del Vecchio, Giovanni D'Onofrio,
Barbara La Ragione, Michele Letizia, Zak Manzi, Moio & Sivelli, Anna
Mercurio, Salvatore Rocco "Iabo" e Carlotta Sennato. Da alcuni
aspettiamo conferme. Come nel caso di Barbara La Ragione, abile interprete
della fotografia come «un implicito, continuo gioco di ricerca individuale»; e
in quello di Federico Del Vecchio, che con il suo lavoro indaga la relazione
tra naturale e artificiale. E come nel caso di Zak Manzi, protagonista di in
una sorta di protratto performativismo esistenziale, autore di opere come
strumento di denuncia a favore dei diritti umani; e di Eugenio Tibaldi,
sensibile osservatore dei territori della periferia suburbana. Da altri,
speriamo prove convincenti.