28
settembre 2005
Zagabria, 25 novembre 2000.
La Francia — presidente di turno dell’Unione — “coopta” questo evento: quasi
come se si trattasse di un’azione esclusivamente francese. Dopo il
Mediterraneo, Chirac va alla conquista dei Balcani ed il presedente della
Commissione europea Prodi sembra essere, in molti momenti della riunione, un
“assistente” di Chirac. L’azione francese si inscrive in un disegno complesso e
precostituito che prevede un’azione di contrasto nei Balcani alla posizione
assunta dalla Germania.
Se dovesse cedere l’asse franco-tedesco — che fino ad oggi ha accentrato dubbi
e gelosie in altri Paesi dell’Unione ma che, in buona sostanza, ha fatto
avanzare l’Europa - vi saranno ripercussioni serie anche in ambito euromediterraneo.
Fu un compromesso — quello si storico! — tra Mitterand e Khol ad avviare questo
processo: il Presidente francese “sopportò” l’unificazione delle due
“Germanie”, il Cancelliere tedesco sacrificò, per questo, il marco. Da questa
transazione potè nascere l’euro, considerato da molti — Stati Uniti compresi —
un sogno irrealizzabile, una pazzia.
In questo clima nacque anche il Processo di Barcellona che avviò, nel novembre
1995, il partenariato euromediterraneo.
Oggi, dieci anni dopo, questo processo è seriamente compromesso.
Uno dei problemi è affidato ai numeri: la Germania conta oggi 86 milioni di
cittadini, la Francia 58 milioni. Viene da domandarsi: devono contare le
Nazioni o i Cittadini?
Barcellona, 24 novembre 2000. Hotel Juan Carlos I . E’ lo stesso luogo dove nel
novembre 1995 si svolse la prima Conferenza euromediterranea ed il I Forum
Civile Euromed: eventi ai quali la nostra Fondazione collaborò ereditandone un
ruolo significativo specialmente per il terzo “volet” relativo alla Società civile.
Celebriamo il V anniversario di questi due eventi.
La nostra Fondazione è presente con Predrag Matvejevic’, Tahar Ben Jelloun e
chi scrive. Pochi gli italiani presenti: tra essi Francesco Cossiga. Con lui
parlo di molte cose, dell’importanza assunta dalla nostra Fondazione e delle
difficoltà per l’Italia ad avere un ruolo significativo nel processo di
partenariato che, oggi, assegna alle regioni una parte determinante.
Il senatore, felice per la sua ultima pubblicazione “La politica e la
passione”, esprime sfiducia e sconcerto sulla scarsa sensibilità delle
istituzioni italiane verso un’area — quale quella mediterranea — in cui
geograficamente il nostro Paese è immerso e mi dice: “non farti illusioni,
vedrai che anche tra cinque anni, per il decennale di questo partenariato, ci
ritroveremo in una fase di stallo: non ti invidio, ci vuole coraggio per
dedicarsi a quest’area con l’entusiasomo e l’energia che impieghi”..
L’avvenire dell’Italia — e, in generale, degli altri Paesi dell’Unione europea
— si gioca sulle capacità innovative delle Società e sull’attitudine a
mobilitare intelligenza e denaro. Nuove tecnologie dell’informazione,
biotecnologie, ricerca, tutela dell’ambiente, sviluppo del turismo culturale,
valorizzazione del patrimonio storico-artistico: è questa la posta in gioco per
preparare il futuro, trainando in questo processo i Paesi dell’Est europeo ed i
partner mediterranei.
Lo sviluppo e l’innovazione trovano ostacolo soprattutto nelle frammentazioni
nazionali dell’insegnamento superiore e della ricerca, a questo occorre
aggiungere che l’Europa politica manca ancora all’appello e, faticosamente,
cerca di sostenere i processi già avviati. Barcellona, 23 novembre 2000. Un
milione di persone sfilano per le vie della capitale catalana. In prima fila il
presidente catalano Pujol, il premier Aznar, il sindaco Clos ed il segretario
del partito socialista Zapatero: insieme tengono uno striscione con la scritta
“No Eta”.
La manifestazione è stata indetta per protestare contro l’assassinio di Ernest
Lluch, ex ministro socialista, mediterraneista convinto, amico della nostra
Fondazione. Gemma Nierga, conduttrice del programma “La Ventana”, del quale
Lluch era assiduo frequentatore, legge un messaggio commovente: “Condanniamo
con assoluta fermezza l’assassinio di un uomo che, come tutti noi, difendeva il
dialogo con intelligenza e promuoveva la valorizzazione delle diverse identità.
I terroristi, in Spagna come in tutto il mondo, non potranno alimentare
sentimenti di odio e vendetta. Noi rappresentiamo un popolo di pace e
chiediamo, per gli altri popoli, la pace”.
25 novembre, ore 12. Palazzo della Generalitat. Jordi Pujol richiama queste
parole durante l’atto solenne di commemorazione del Processo di Barcellona e
del Forum Civile: associa le tensioni in Medio oriente ad un processo globale
di destabilizzazione che trova radici in ambiti economici e politici.
Chi scrive sottolinea la coincidenza tra le tensioni in Medio oriente — e non
solo: l’Algeria, i Balcani, la Grecia, la Turchia e Cipro non sono proprio
luoghi tranquilli! - ed il persistere di “interregni” — veri e propri vuoti di
potere — che difficilmente sono riscontrabili in altri periodi storici: il
primo è il caos delle elezioni americane, che di fatto delegittimano la guida
della più importante potenza mondiale; il secondo è la crisi istituzionale di
Israele, dalla mancata elezione di Peres all’attuale probabile caduta del
Governo Barak; il terzo interregno è legato alla crescita dei prodotti
petroliferi con il mancato corrispondente sviluppo nei paesi produttori del
livello di vita e del benessere; il quarto è la crisi del mondo arabo, con
l’assenza di personalità di spicco quali Hussein di Giordania e Hassad di
Siria.
Miguel Angelos Moratinos, delegato dell’Ue per il Medio Oriente, nel suo intervento
sottolinea che è la stessa violenza ad uccidere in Medio Oriente e in Spagna.
Il ministro degli Esteri tunisino dice che il partenariato è nato 3000 anni fa
con Annibale: allora lo strumento era il campo di battaglia, oggi deve essere
il dialogo e la comunicazione; il processo di Barcellona deve continuare ma
deve consolidare le economie dei Paesi della riva Sud.
Guido de Marco, presidente di Malta, evidenzia il paradosso odierno in cui il
“mare nostrum” è diviso da noi e costituisce una frontiera, quasi una zona di
separazione: per questo occorre sottoscrivere la "Carta per la pace e la
stabilità”. Per accelerare questo processo occorre sviluppare il dialogo
“popolo a popolo”, la tolleranza, la comprensione e, soprattutto, la lotta alla
disoccupazione: Malta — crogiuolo di popoli, culture e tradizioni — costituisce
un buon esempio.
Il ministro degli Esteri spagnolo Piquet sottolinea le difficoltà della recente
Conferenza euromediterranea di Marsiglia ma auspica che il Processo di
Barcellona possa continuare.
Piquet evidenzia le difficoltà nell’applicare il programma Meda ma, su questo
tema, sottolinea che una corretta applicazione e l’impiego ottimale delle
risorse dipendono non solo da una maggiore agilità burocratica ma, soprattutto,
dalla capacità di elaborare progetti e dalla successiva competenza a seguirli
secondo le regole comunitarie.
Il sindaco di Barcellona Clos è il più pessimista: sostiene che la crisi in
Medio Oriente blocca il Processo di Barcellona perché quando vi è un conflitto
violento è difficile parlare di cooperazione culturale, economica, turistica,
ecc.
Pujol conclude la celebrazione contestando, con la consueta raffinatezza, il
pessimismo di Clos. Elogia Piquet — definendolo un “buon ministro catalano”,
anche se si è espresso in castigliano! — ma chiarisce che il merito dell’inizio
del Processo di Barcellona e di buona parte della politica estera
euromediterranea è da riconoscere alla Catalogna (e, quindi, allo stesso
Pujol!). Sorrisi in sala tra gli oltre 2000 partecipanti. Pujol continua: “è
vero, vi sono conflitti nel Mediterraneo: ma vi sono pure migliaia di miliardi
non utilizzati nel precedente quinquennio ed altri stanziati con il nuovo Meda
II. Io sono catalano e vado al sodo: se le politiche nazionali hanno difficoltà
ad agire nelle aree di conflitto, la Società civile può sostituirsi ed operare
orizzontalmente con la cooperazione decentrata.
Le Regioni devono essere protagoniste di questo processo: specialmente quelle
di Italia, Francia e Spagna”. Nelle conclusioni il presidente catalano richiama
ancora una volta la necessità di dare rappresentatività alla Società civile
euromediterranea, ricorda l’importanza della Fondazione Mediterraneo ma —
guardando Cossiga seduto in prima fila — rimprovera anche la lentezza e lo scoordinamento
delle istituzione italiane nell’attuare gli impegni assunti per questa
prestigiosa istituzione.
Ho riassunto questa storia perché domani a Malaga cominciano, con un “Incontro
della Società Civile”, le celebrazioni del decennale del Partenariato euromediterraneo:
in un momento in cui vi è un livello di sconnessione di disarticolazione
aberrante:
“Non vorremmo assistere all’ennesima ‘messa cantata’” è il commento di uno dei
diplomatici coinvolti nel partenariato.
L’Europa si è disgiunta dalla “culla” della sua civiltà e ha concetti confusi
sul termine “partenariato”: solo un riscatto di orgoglio e di identità da parte
dei Paesi europei mediterranei potrà riaccendere le speranze in questo processo
in cui l’Italia deve svolgere un ruolo sostanziale.
Sarà possibile tutto ciò? E’ l’auspicio di tutti coloro che perseguono il
dialogo e la pace.