APPELLO PER LA CULTURA E LA RICERCA NELL'ITALIA
MERIDIONALE
La tendenza, attualmente sempre più diffusa anche presso
la classe dirigente, a sottovalutare la funzione decisiva della
cultura e della ricerca rischia di diventare gravida di conseguenze
negative per il futuro del nostro Paese. Le nazioni più avanzate
del mondo industrializzato dedicano già da tempo molte più
risorse dell'Italia alla ricerca, e soprattutto alla ricerca di
base, che è sganciata da applicazioni pratiche immediate,
ma si dimostra decisiva in una scala temporale più lunga.
Tra l'altro essa permette l'acquisizione di competenze che non si
possono conseguire in tempi brevi e che possono manifestarsi decisive
per la floridezza, la modernità, l'indipendenza stessa del
Paese: di questo passo l'Italia diventerà sempre più
tributaria all'estero per ciò che attiene alla ricaduta tecnologica
della ricerca di base, con gravi ripercussioni sul sistema industriale.
Alla luce delle più recenti teorie economiche appare evidente
che le società industriali, basate finora sul binomio materie
prime - lavoro di manifattura, sempre più invece si fonderanno
sul binomio conoscenza-lavoro, dipenderanno cioè dal continuo
sviluppo della ricerca in ogni suo aspetto.
Ben a ragione Carlo Bernardini ha ribadito che: "II valore
culturale della ricerca scientifica e il suo carattere formativo
(delle specializzazioni a livelli elevati di competenze) devono
essere riconosciuti dallo Stato come beni pubblici permanenti, oggetto
d'investimento e promozione a lungo termine".
La prosperità, lo sviluppo di un Paese, infatti, dipendono
sempre più dagli indirizzi della ricerca e da provvidenze
di ampio respiro nel campo della cultura umanistica e scientifica.
La vera ricchezza delle nazioni è l'intelligenza. Saper incoraggiare,
coltivare mettere a frutto l'intelligenza delle nuove generazioni
sarà sempre più il fattore decisivo di progresso per
i popoli. Se è vero che la vita pubblica deve essere costantemente
richiamata ai valori alti della giustizia e dell'istruzione, intendendoli
come necessità da cui non si può prescindere, altrettanto
vale per la cultura e la ricerca. Una classe dirigente degna di
questo nome dovrebbe sempre tener presente il monito di Erasmo da
Rotterdam, per il quale investire nella cultura è il segreto
delle comunità più avvedute, la cui ricchezza non
si appaga dell'oro sonante delle monete.
E' ben difficile che vi sia salvezza per una nazione se le sue forze
più fresche e generose non vengono cresciute nella luce dell'intelligenza,
del sapere, della cultura.
Per "ricerca" naturalmente non deve essere inteso soltanto
lo studio naturalistico. Sempre più è necessaria una
visione unitaria della cultura che comprenda tanto la ricerca naturalistica
quanto quella umanistica: tutti i cultori di studi sono costruttori
di scienza. Tra l'altro va rilevato che la ricerca nelle discipline
umanistiche, che ha i costi decisamente più esigui, è
indispensabile per creare le premesse culturali e metodologiche
per ogni altro tipo di ricerca. La ricerca non significa soltanto
acquisizione di nuovi dati e critica dei medesimi ma anche assidua
cura delle creazioni dell'ingegno umano che includono così
le opere dell'uomo come l'immagine del mondo fisico entro cui l'uomo
costruisce la sua storia.
In una prospettiva strategica su tempi lunghi, tutta la vita di
un paese, tanto quella delle sue istituzioni, quanto quella privata
dei suoi cittadini si rinvigorisce e le sue università, scuole,
imprese, professioni prosperano solo se la scienza e la cultura
svolgono la loro ineliminabile funzione trainante. I giovani devono
essere messi in condizione di attingere al patrimonio culturale
nazionale e internazionale, di scambiare esperienze ai livelli più
avanzati, di confrontarsi con fiducia e sicurezza con i problemi
della ricerca contemporanea.
Per la propria prosperità, per il proprio futuro, la comunità
nazionale, nella sua massima forma organizzata, lo Stato, deve dunque
essere lungimirante e sostenere con ogni mezzo, come fattore essenziale
di civiltà e non come lusso superfluo, le forme più
degne della scienza e della cultura, tanto quelle coltivate nelle
istituzioni statali, quanto quelle che fioriscono, spesso tra enormi
difficoltà, nella società civile.
E per misurare il divario nella distribuzione delle risorse per
la ricerca tra il Centro Nord e il Mezzogiorno, è d'uopo
tener presente il contenuto della Relazione della Commissione Nazionale
per il Mezzogiorno al Ministero per la Ricerca dalla quale si apprende
che nel Mezzogiorno operano 35 ricercatori per ogni 100.000 abitanti
e nel Centro Nord 243, con un rapporto di 1 a 7. E' opportuno anche
riprendere le considerazioni della medesima Relazione sulle prospettive
che si aprono di fronte alla constatazione di cui sopra: "Se,
ad esempio, si volesse pervenire in 10 anni dall'attuale 1,45 per
cento sul PIL al 2,5 per cento o al 3 per cento, occorrerebbe un
aumento delle risorse destinate alla ricerca del 5,6 per cento all'anno
e rispettivamente del 7,5 per cento in termini reali. Se in questa
ipotesi si volesse passare dall'attuale ripartizione (93 per cento
al Centro-Nord e 7 per cento al Sud) ad una del 70 e rispettivamente
30 per cento occorrerebbe concentrare nel Sud quasi tutto l'incremento
di risorse, più precisamente l'aumento annuo dovrebbe essere
pari a 3 per cento nel Centro-Nord e 23 per cento nel Sud".
La forte ripresa della cultura umanistica e di quella scientifica
potrà essere la spina dorsale di un nuovo, più moderno
e prospero Mezzogiorno, i cui problemi non sono stati risolti, anzi
sono stati aggravati negli ultimi decenni della Repubblica dalla
monocultura dei lavori pubblici, che in molti casi è stata
anche seminatrice di corruzione e causa di grave sperpero del danaro
pubblico, così come la continua approvazione di leggi in
deroga alla legislazione sulla contabilità dello Stato provoca
gravosi oneri al pubblico Erario.
Il forte potenziamento della cultura e della ricerca nell'Italia
Meridionale è inoltre indispensabile per dare al Mezzogiorno
un ruolo e una funzione importanti e specifici nel generale processo
di integrazione europea. Com' è stato rilevato nella citata
Relazione della Commissione Nazionale per il Mezzogiorno: "Il
mondo arabo e africano che insiste sul Mediterraneo non si collegherebbe
al sistema scientifico del Sud d'Europa se quest'ultimo non fosse
di qualità: lo salterebbe. E quindi in realtà la scelta
di vocazioni specifiche, come può essere quella di un ruolo
speciale rispetto ai paesi del Mediterraneo, è legata comunque
alla qualità del sistema ed alla sua capacità di collegamento
anche con l'Europa".
Alla luce delle considerazioni svolte appare quanto mai urgente
e improrogabile, ai fini della tenuta civile delle regioni meridionali
e della preparazione di una classe intellettuale a livello europeo,
una vera e propria svolta di fondo a favore della cultura e della
ricerca scientifica nell'Italia meridionale, dove il creativo lavoro
intellettuale non ha conosciuto interruzione e un vivo senso storico
ha tratto lume dalla memoria del passato per la comprensione del
presente e per l'orientamento del futuro in una costante cooperazione
nell'unità della nazione italiana formatasi nel corso di
un secolare processo storico in cui il Mezzogiorno ha portato uno
straordinario contributo di pensiero e di azione. La civiltà
dell'Italia meridionale e delle sue grandi isole è civiltà
dell'intera nazione nel cui patrimonio civile si possono riconoscere
distinzioni ma non si possono operare separazioni antistoriche.
I sottoscritti chiedono al Presidente della Repubblica, al Presidente
del Consiglio e al Parlamento che prima della prossima finanziaria
vi sia un segnale nella direzione invocata.
Napoli, 13 marzo 1996
|