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Fondazione Mediterraneo - La stampa IL DENARO
16 settembre 2003

Le emozioni africane di Fathi Hassan


di Raffaella de Cillis

Il Capri Palace Hotel ospita la mostra “Emozioni africane” dell’artista egiziano Fathi Hassan.L’esposizione, a cura di Antonina Zaru, è organizzata dalla Capricorno Gallery e dal Capri Palace Hotel & Spa, con il patrocinio della Fondazione Laboratorio Mediterraneo e dell’Accademia del Mediterraneo.Questo evento segue la Cerimonia di assegnazione del “Premio Mediterraneo di Cultura” attribuito il 9 Settembre, a Napoli, a Suzanne Mubarak dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo. In questo modo è iniziato l’anno “Italia-Egitto 2003-2004” al quale, questa Mostra, intende apportare il proprio contributo per la promozione del dialogo e della pace attraverso il linguaggio universale dell’arte.“Emozioni africane” è un ciclo pittorico di grande suggestione nel quale il maestro nubiano ripercorre, con le sue sofisticate e splendide tecniche miste, il suo intero universo poetico: la ricchezza di suggestioni della cultura popolare africana; il fruttuoso connubio tra istanze metatestuali delle avanguardie novecentesche e il gesto puro e spontaneo del folk: e, soprattutto, un gusto straordinario per il colore e una perizia formale affatto rara il cui ultimo obiettivo resta il canto lirico per il rimpianto di un’origine edenica, dell’arte (e, forse, della società tutta) irrimediabilmente scomparsa.Una perdita d’innocenza ed un bisogno di memoria che Hassan racconta in mille modi: ready-made, foto ritoccate, scrittura, azioni e installazioni, ma, soprattutto, pittura. Una pittura che vive attraverso un segno scarno che costruisce suggestioni ed eleganze grazie ad un ornato primitivo e una connotazione sempre fortemente poetica. Un segno di per sé poetico nel senso, anche, di un segno che, sull’egida di un lucido sincretismo, è capace di lavorare, contemporaneamente, sulle tante suggestioni dell’estetica occidentale combinate alle chimere e le figure mitiche dell’Africa. In tal senso esempio particolarmente chiaro è un lavoro quale Monafricana del 2002 dove la Gioconda è riletta alla luce della figurazione simbolica africana.Ad Hassan non è aliena una certa maniera concettuale che si estrinseca anche nell’uso stilizzato ed intellettualizzato del colore sempre di forte impatto visivo ed impiegato — come fa anche un altro dei maestri assoluti del tardo Novecento europeo quale Mimmo Paladino — in funzione archetipa.Nella pittura di Hassan, allora, gli ori — stesi su ampie superfici e sovente presenti come sfondi, di rappresentazioni sulle quali si stagliano scarne silhouette - sono come il lascito umbratile di un sogno regale, ma anche il ricordo delle distese del deserto rovente come uno scudo infuocato; e il rosso bruno, un altro dei colori preferiti della tavolozza dell’artista, la traccia sanguigna del rimpianto; e il blu cobalto, il refrigero di una gioia inattesa come quella dell’acqua dall’oasi o quella, dal cielo terso, di un imbrunire africano…Concettualismo e rara sapienza estetica ulteriormente chiari nell’uso che Hassan fa delle sabbie. Sabbie del deserto, segno tangibile della nostalgia della terra magrebina, ma anche elemento fisico che concede colore puro e lo spunto per — come dire? — inventare una qualità tridimensionale addirittura al segno. La sabbia è polvere di roccia, ritorno all’atomo solingo della materia assemblata da Dio: è segno dello scorrere del tempo, del disperdersi nel nulla e dell’eterno ritorno di ogni cosa all’infinito del mondo. Ogni granello di sabbia è segno e testimone, insomma. Tahar Ben Jelloun nel suo capolavoro Creatura di sabbia ha scritto: “Il testimone è la pietra. Lo stato della pietra. Ogni pietra è una pagina scritta, letta e cancellata. Tutto si attacca ai granelli della terra.”Tutto si attacca ai granelli della terra. È proprio questo tutto che Fathi Hassan assembla da vent’anni per tentare di respirare il divino che è ogni cosa.

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