PRO E CONTRO DELL'ASSOCIAZIONE ECONOMICA EUROMEDITERRANEA

 

Il concetto di associazione è stato uno degli aspetti più nuovi che sono emersi dalla Conferenza Euromediterranea. Si tratta di un'idea che può arricchire, con una dimensione più complessa e suggestiva, il mero obiettivo della cooperazione commerciale che fino ad ora aveva dominato la strategia comunitaria nell'area mediterranea. Su questa linea si colloca l'impegno dell'UE per sostenere la transizione economica sulle coste sud ed est del bacino. Lo scopo è quello di promuovere la creazione di uno spazio euromediterraneo basato su di un'area di libero scambio. Questa meta dovrà essere raggiunta gradualmente rispettando, a partire da ora e fino all'anno 2010, le obbligazioni derivate dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).

La Dichiarazione di Barcellona propone un piano d'azione per fissare lo schema e le priorità della cooperazione euromediterranea. Tra queste ultime si ricordano: la continuazione delle riforme strutturali per il riequilibrio socioeconomico; il sostegno all'integrazione regionale; gli investimenti e l'esplicita promozione della cooperazione tra imprese.

La proposta della UE per la costituzione di un'associazione euromediterranea ha generato una serie di aspettative riguardo ai benefici ottenibili. In tal senso, si capisce che il conseguimento di detti benefici, e il corrispondente interesse per la realizzazione dell'associazione, riguarda tanto le economie mediterranee quanto il nord dell'Unione Europea. Tuttavia, l'annuncio di un'associazione euromediterranea è causa anche di pregiudizi rispetto alla possibilità di un impatto negativo in alcuni settori. Nasce così l'esigenza di adeguare preventivamente i settori produttivi, sia per una effettiva integrazione degli stessi nel settore commerciale, sia per tamponare le conseguenze causate dalla concorrenza dei nuovi produttori.

Le dichiarazioni e i progetti presentati nel corso di questo foro hanno contribuito positivamente ad avvicinare le posizioni degli agenti economici dei vari paesi. Si tratta di interessi che, pur non essendo direttamente contrapposti, diventano occasionalmente motivo di conflitto: a volte per l'assenza di una discussione globale; altre volte per la carenza dell'informazione che si richiede affinché gli accordi vengano accettati.

Il dibattito nel foro dedicato al Commercio senza frontiere si è svolto tra i membri della società civile rappresentati da: organizzazioni imprenditoriali, organizzazioni di agricoltori, camere di commercio, sindacati, oltre ai vari  esperti sul tema, e imprenditori a titolo personale. Nel corso delle quattro sessioni di lavoro sono stati discussi i vantaggi e i possibili ostacoli relativi allo sviluppo dell'area di libero scambio, i problemi principali con le relative conseguenze, così come i progetti che si dovrebbero realizzare per garantire uno sviluppo economico basato sul libero scambio e sulla cooperazione.

Come punto di riferimento per il dibattito, è stata proposta un'interpretazione realistica di quello che si intende per "spazio di cooperazione economica". L'esperienza stessa della Comunità Economica Europea è servita come esempio di un obbiettivo non privo di difficoltà. In tal senso, è stato notato che a dispetto del titolo del foro, Commercio senza frontiere, le frontiere che si dovranno abolire necessariamente per realizzare gradualmente una zona di libero scambio sono quelle che riguardano le tariffe doganali e i limiti di quantità. Questa abolizione è indispensabile per gli scambi. E tuttavia esistono altre frontiere che ostacolano il libero scambio di beni e servizi e che sono fissate dalle norme statali al fine di tutelare il benessere e la sicurezza dei cittadini in quanto consumatori. Queste norme sono, ad esempio, quelle fitosanitarie di origine e di qualità. Per eliminare tali barriere non solo è opportuno che le norme da entrambi i lati della frontiera siano equivalenti, ma pure che le autorità nutrano fiducia reciproca sul rigore con cui vengono applicate.

E' noto che, nonostante gli accordi di associazione,  in realtà gli ostacoli non scompaiono. Una zona di libero scambio nasce dall'accordo politico e dallo sforzo delle parti per superare gli ostacoli e le pressioni settoriali che si oppongono al raggiungimento di un buon risultato globale. La fiducia reciproca si rivela un elemento indispensabile, altrettanto importante della vicinanza tra i soci potenziali. Ma proprio la mancanza di fiducia costituisce una delle maggiori pecche dei rapporti tra i paesi mediterranei.

Il progetto della zona euromediterranea di libero scambio rappresenta una  scommessa per il futuro. Nei suoi confronti le posizioni dei singoli paesi appaiono fortemente differenziate. In sintesi, i principali elementi di differenziazione sono i seguenti:

 

     Esiste un rapporto da 1 a 20 tra il PIL dei Paesi Terzi Mediterranei (PTM) e quelli dell'Unione Europea.

     Gli scambi tra i PTM e la UE presentano un'asimmetria troppo pronunciata. L'eccedente commerciale della UE risulta troppo elevato: nel 1993 raggiungeva i 14.000 milioni di ECU, e l'anno successivo i 12.000 milioni.

FONTE: ICM, Camera Ufficiale del Commercio, Industria e Navigazione di Barcellona, L'Economia Euromediterranea, sulla base dei dati Eurostat, 1995.

 

     La struttura degli scambi sarà, nonostante tutto, pressoché obliqua. La UE esporta principalmente manufatti, mentre il 35% degli scambi dei PTM si basa sui prodotti energetici.

     Le possibilità di accesso e di utilizzo dei ritrovati scientifici e tecnologici appaiono molto disuguali e si risolvono in una produttività diversa. Nel caso europeo, il risultato è quello di una specializzazione crescente e di una produzione con maggiore valore aggiunto.

 

La zona di libero scambio presuppone anche una sfida importante perché porta allo scoperto varie  contraddizioni.

 

     Innanzitutto, troviamo la contraddizione a livello macro-micro, generata dalle distinte situazioni e dai diversi obiettivi degli Stati da un lato, e delle imprese dall'altro. Le politiche statali incoraggiano le imprese ad orientare sul Mediterraneo i propri interessi, ma l'obiettivo delle imprese è quello di garantire la sicurezza e la proficuità dei propri investimenti, mentre gli Stati vedono in questa integrazione un progresso e una possibilità di miglioramento per le proprie economie. Le politiche statali sono rivolte alla riorganizzazione ed al riorientamento, strategie che comprendono anche i finanziamenti  e le sovvenzioni. Ma le imprese si mantengono su posizioni più conservatrici perché devono fare i conti con una situazione di sicura incertezza, devono introdurre cambiamenti e correre rischi non calcolabili, tenendo sempre in considerazione i possibili concorrenti dei paesi di integrazione.

     In secondo luogo, abbiamo la contraddizione settoriale. Come si può pretendere l'apertura dei mercati dei PTM alle esportazioni europee e allo stesso tempo mantenere dei margini di protezione rispetto ad alcune politiche, ad esempio la Politica Agraria Comune (PAC), che per loro sono tanto importanti?

     La libera circolazione pone anche un'altra questione: è concepibile un Mediterraneo nel quale i beni, i servizi ed i capitali possono circolare liberamente mentre si mantengono in piedi le frontiere per le risorse umane?

 

Considerato tutto questo, il successo della collaborazione avrà molto a che vedere con: la capacità dell'Europa di aprire i mercati, compreso quello agricolo; gestire i problemi migratori in modo realistico ed umano; contribuire alla soluzione del problema del debito, trasformando parte di questo in moneta locale; affrontare in modo globale il problema ecologico, proteggendo la natura e l'ecosistema mediterraneo; promuovere lo sviluppo delle regioni più arretrate.

La zona di libero scambio può comportare anche alcuni rischi. Può generare effetti negativi in alcuni settori, come l'industria protetta dei PTM, il settore di frutta ed ortaggi di alcune regioni europee e, inoltre, l'industria tessile europea, un settore sensibile e fortemente esposto alla concorrenza dei paesi che hanno un costo del lavoro molto inferiore.

Per venire a capo di queste difficoltà, la creazione di uno spazio economico comune dovrebbe avvenire in presenza di alcune condizioni atte a produrre circostanze favorevoli. Le più importanti sarebbero: l'istituzione ed il consolidamento della democrazia in tutta l'area mediterranea, la creazione di istituzioni efficaci, la presenza di mano d'opera qualificata, l'applicazione delle innovazioni scientifiche e tecnologiche, la mobilità degli investimenti nazionali ed esteri, pubblici e privati e, infine, l'adozione di misure quali la captazione del risparmio locale e dei capitali degli emigranti, parte dei quali sono investiti fuori della regione mediterranea.

L'analisi di tale contesto spesso conduce a degli atteggiamenti schematici. Da un lato, c'è quello che considera la zona di libero commercio come un progetto neocoloniale il cui scopo è quello di rinforzare l'asse europeo, aumentare le sue esportazioni e trasformare la regione mediterranea in semplice appendice, e non in socio regionale.  C'è poi l'attitudine a considerare questa proposta come una frattura nella politica tradizionale mediterranea della UE e come una nuova pagina nelle relazioni euromediterranee. Entrambe le posizioni sono emerse quando si è venuti ad analizzare lo stato della zona in questione. Malgrado tutto, c'è stato un accordo quasi generale nel considerare l'importanza della Dichiarazione di Barcellona, nata dalla Conferenza Euromediterranea, soprattutto nel senso che, se è vero che sono gli Stati a promuovere i rapporti euromediterranei, è compito delle società civili che tali rapporti siano condotti a buon fine.